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con le cime bianche. Morivamo tutti di fame, il pane pareva che fondesse. Coretti padre ci porgeva le porzioni di salsicciotto su delle foglie di zucca. E allora cominciammo a parlare tutti insieme, dei maestri, dei compagni che non avevan potuto venire, e degli esami. Precossi si vergognava un poco a mangiare e Garrone gli ficcava in bocca il meglio della sua parte, di viva forza. Coretti era seduto accanto a suo padre, con le gambe incrociate: parevan piuttosto due fratelli, che padre e figlio, a vederli così vicini, tutti e due rossi e sorridenti, con quei denti bianchi. Il padre trincava con gusto, vuotava anche le barchette e i bicchieri che noi lasciavamo ammezzati, e diceva: - A voi altri che studiate, il vino vi fa male; sono i rivenditori di legna che n’han bisogno! - Poi pigliava e scoteva per il naso il figliuolo, dicendoci: - Ragazzi, vogliate bene a questo qui, che è un fior di galantuomo, son io che ve lo dico! - E tutti ridevano, fuorché Garrone. Ed egli seguitava, trincando: - Peccato, eh! Ora siete tutti insieme, da bravi camerati; e fra qualche anno, chi sa, Enrico e Derossi saranno avvocati e professori, o che so io, e voi altri quattro in bottega o a un mestiere, o chi sa diavolo dove. E allora buona notte, camerati. - Che! - rispose Derossi, - per me, Garrone sarà sempre Garrone, Precossi sarà sempre Precossi, e gli altri lo stesso, diventassi imperatore delle Russie; dove saranno loro, andrò io. - Benedetto! - esclamò Coretti padre, alzando la fiaschetta; - così si parla, sagrestia! Toccate qua! Viva i bravi compagni, e viva anche la scuola, che vi fa una sola famiglia, quelli che ne hanno e quelli che non ne hanno! Noi toccammo tutti
zurre con le cime bianche. Morivamo tutti di fame, il pane pareva che fondesse. Coretti padre ci porgeva le porzioni di salsicciotto su delle foglie di zucca. E allora cominciammo a parlare tutti insieme, dei maestri, dei compagni che non avevan potuto venire, e degli esami. Precossi si vergognava un poco a mangiare, e Garrone gli ficcava in bocca il meglio della sua parte, di viva forza. Coretti era seduto accanto a suo padre, con le gambe incrociate: parevan piuttosto due fratelli, che padre e figlio, a vederli così vicini, tutti e due rossi e sorridenti, con quei denti bianchi. Il padre trincava con gusto, vuotava anche le barchette e i bicchieri che noi lasciavamo ammezzati, e diceva: - A voi altri che studiate, il vino vi fa male; sono i rivenditori di legna che n’han bisogno! - Poi pigliava e scoteva per il naso il figliuolo, dicendoci: - Ragazzi, vogliate bene a questo qui, che è un fior di galantuomo, son io che ve lo dico! - E tutti ridevano, fuorché Garrone. Ed egli seguitava, trincando: - Peccato, eh! Ora siete tutti insieme, da bravi camerati; e fra qualche anno, chi sa, Enrico e Derossi saranno avvocati e professori, o che so io, e voi altri quattro in bottega o a un mestiere, o chi sa diavolo dove. E allora buona notte, camerati. - Che! - rispose Derossi, - per me, Garrone sarà sempre Garrone, Precossi sarà sempre Precossi, e gli altri lo stesso, diventassi imperatore delle Russie; dove saranno loro, andrò io. - Benedetto! - esclamò Coretti padre, alzando la fiaschetta; - così si parla, sagrestia! Toccate qua! Viva i bravi compagni, e viva anche la scuola, che vi fa una sola famiglia, quelli che ne hanno e quelli che non ne hanno! Noi toccammo tutti