La Beatrice di Dante: differenze tra le versioni

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E tale istinto non solo e principalmente ci si rivela in tutte le azioni del vivere suo, non solo fra le assurde utopie della ''Monarchia'' e nelle epiche rappresentazioni del gran poema, ma è in questo libro del ''Convito'', dove le più astratte speculazioni non sono mai scompagnate da un certo senso di pratica utilità, che dà loro talvolta quel valore che forse intimamente non hanno.
 
La filosofia infatti, non essendo, per lui, che amoroso culto di sapienza, è per natura nemica dei neghittosi e dei pusillani- mi; sola amica dello studio e del lavoro; fonte di vera nobiltà, non già di quella che ci viene infusa o tramandata dagli avi, ma di quella che si acquista con le proprie azioni e con la propria virtù; e benchè parta dal cielo, secondo il suo pensiero, ami sia figlia della mente di Dio, pure essa non esercita meglio altrove la sua attività che fra gli uomini.
Essa infatti è necessaria così alle operazioni della vita individuale, come all'esercizio dei poteri sociali e dell'autorità dell'impero.
 
E da questa idea dell'autorità filosofica congiunta all'imperiale, passando subito al fatto, e gettando uno sguardo sull'Italia, il Poeta non si può trattenere dall'esclamare contro a coloro che tenevano allora le verghe dei nostri reggimenti, facendo loro osservare, « esser meglio come rondine volare basso, che come nibbio altissime ruote fare sopra cose vilissime» ''(Ivi, IV, 6)''
 
E così, dopo che ha lungamente migrato di là dal reale e dal vero, egli torna in terra, si mette in contatto immediato con la realtà; racquista il vigore dei polsi, la fierezza della sua personalità, la sua ira superba, i suoi fulmini.
Sollevato oltre ai regni della natura, il suo pensiero è come campato in aria; si regge a pena sull'ala prepotente, è costretto a ridiscendere, a vivere con gli uomini, a turbinare nel seno della società: rassomiglia all'Anteo della favola, che allora solo riprendea lena e coraggio, che toccava la terra materna.
 
Come potea l'anima tempestosa di Dante crogiolarsi lungamente nel calduccio della metafisica? gingillarsi fra le astruse vanità della scolastica?
 
L'aria delle scuole popolate di tisiche e va-nitose chimere non si confaceva alla ferrea tempra dei suoi polmoni; quel mondo fatto di carta pesta e di calze disfatte non era per lui, anima di Titano.
 
E di fatti, quando per virtù di quell'istinto che ho più sopra notato, egli s'avvide, che la sua Beatrice, divenuta già troppo diafana nel laboratorio del suo pensiero tramontava quasi del tutto nella sfera glaciale delle astrazioni; che egli non era intero e non viveva completamente fra le pallide larve del suo ''Convito'', abbandonò disdegnoso quelle regioni insalubri, si gettò a capo fitto nella vita reale, nella società procellosa che gli ondeggiava terribilmente d'intorno, e si accinse al gran poema come ad una battaglia.
 
V
 
Nel ''Convito'' il pensiero fa divorzio dalla natura; lo scrittore si divide dall'uomo: le sue passioni stagnano per così dire, nelle infette maremme della scolastica; l'amore di Beatrice si mummifica fra le fasce incerate dei sillogismi.
 
Nella ''Divina Commedia'' l'uomo, il filosofo, il cittadino, il poeta si unificano mirabilmente, e da questa onnipotente unità si diffonde intorno un lume , un'armonia, una vita non mai fino allora provata.
Tutto si colora, si muove, si avviva d'intorno a questo iracondo taumaturgo, che rianima i morti ed annienta i vivi con la possente magia della sua parola; e tutto questo popolo di resuscitati e di estinti, tutto questo universo che gli si agita nell'anima, egli lo trapianta in un mondo favoloso e fantastico; sì che tu hai dinanzi agli occhi intrecciato e compenetrato in originalissima guisa tutto ciò che vive nella tradizione e nella coscienza; ciò che vola nella fantasia e ciò che si petrifica nella storia: il mondo reale insomma e il fantastico armonizzati ed unificati in una sola vita, nella vita multiforme di un'arte nuova.
 
E Beatrice? ''Ella vivea in cielo con gli angeli e in terra con l'anima'' del suo poeta.
La sua azione, ora manifesta, ora latente, muove ed anima dall'un capo all'altro tutto l'elaborato congegno del triplice poema; è come lo spirito, la ragione e lo scopo d'esso.
 
Dante è smarrito nella ''selva selvaggia''; si è lasciato adescare da quelle false immagini di bene
 
Che nulla promission rendono intera ''(Purg., XXX, 132)'' .
 
Travolto dall'ambizione, dalla superbia, dall'ira, egli gavazza, dimentico di sè stesso e di tutto; smarrisce l'immagine di quella
 
donna di virtu sola per cui
L'umana spezie eccede ogni contento [...]''(Inf., II, 76)'';
 
si abbandona alla ridda vertiginosa delle cose mondane; nè a