La Beatrice di Dante: differenze tra le versioni

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La quale si ridusse in breve a tal partito, che non la si potea guardare senza dolorosamente pensare alla morte.
 
Il veder lentamente, e dirò così a goccia a goccia, disfare la vita della donna amata, e il più gran supplizio che possa infligger la natura ad un'anima gentile. Vedere assottigliare sermpre più, come una piccola face che manchi dell'alimento, l'esi
Vedere assottigliare sermpre più, come una piccola face che manchi dell'alimento, l'esistenza carissima di una donna a cui tutta è legata la trama dei nostri destini, e non esser buoni con tutta la potenza del nostro amore ad impedire il disfacimento e la morte di lei, e qualcosa di così terribile, che mentre ci dispera, ci umilia.
 
L'amore, che nei momenti delle nostre più belle illusioni abbiamo creduto onnipossente operator di miracoli, ci si cambia a un tratto in una larva impotente ed inutile: la grande e fredda fatalità delle leggi naturali, posta di fronte alla nostra debolezza e al nostro impotentissimo amore, uccide tutto il nostro orgoglio in un punto; ci porta a disprezzare noi stessi.
L'uomo che nel pieno vigore delle sue forze si confonde in un amplesso di tutta l'anima e di tutto il corpo con la donna che ama, è assai più che Dio: crede poter schiacciare l'universo e crearlo poi di nuovo più bello, più sereno, più luminoso, ad immagine dell'anima sua riboccante di speranze e d'amore.
L'uomo che vede struggere lentamente l'esistenza della donna diletta, e non può spirare nelle viscere amate insieme ai baci la salute e la vita; che non può dividere in due l'anima sua per darne a lei la miglior parte, e, dinanzi a se stesso, assai meno che uomo: la potenza del suo amore è un'amara ironia; egli ha le forme d'Ercole e la forza di un eunuco.
Il suo supplizio somiglia a quello di quei poveri martiri che la crudeltà raffinata dei nemici condannava a morire di dolore e di fame legandoli strettamente al cadavere d'un'amata persona.
 
La bellezza d'una donna giovane, consumata da un morbo fatale ed occulto che la divora, ha una potente e misteriosa attrattiva: fa sentire la vita e la morte ad un tempo, la voluttà del momento e la paura dell'eternità: ha la vertiginosa attratti-va degli abissi.
 
Dante non poteva non sentir tutto questo. Il presentimento della morte di Beatrice gli s'affaccia nell'anima, e lo atterrisce. Infermo e giacente nel letto dei suoi dolori egli non s'affligge di sè: pensa ''quanta sia deboletta la vita, quanta leggero lo suo durare,'' e comincia a piangere fra se stesso di tanta miseria e a sospirar forte e a dire disperatamente: ''« Di necessità conviene che la gentilissima Beatrice alcuna volta si muoia!».''
E in questo pensiero chiude gli occhi, e si travaglia come farnetica persona, ed immagina di vedere il cielo e gli angeli e la sua donna assunta alla gloria del paradiso, ''che non avea altro difetto, che di aver lei''.