Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/153: differenze tra le versioni

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Pisana il miracolo ch’ella avea tentato sul giovine còrso, e sollevar l’animo suo a quell’altezza dove l’amore diventa cagione di opere grandi e di nobili imprese. Ma non mi dava il cuore di pensar solamente ad una separazione; e quanto al farla compagna della mia vita, del mio esiglio, della mia povertà non credeva averne il diritto. Soprastava dunque ad ogni deliberazione aspettando consiglio dagli avvenimenti, e compensato abbastanza delle mie interne torture dalla felicità che risplendeva bella e raggiante sulle sembianze di lei. A vedere come il suo umore s’era cambiato, e ammorbidito in quei pochi giorni beati, io non
Pisana il miracolo ch’ella avea tentato sul giovine còrso, e sollevar l’animo suo a quell’altezza dove l’amore diventa cagione di opere grandi e di nobili imprese. Ma non mi dava il cuore di pensar solamente ad una separazione; e quanto al farla compagna della mia vita, del mio esiglio, della mia povertà non credeva averne il diritto. Soprastava dunque ad ogni deliberazione aspettando consiglio dagli avvenimenti, e compensato abbastanza delle mie interne torture dalla felicità che risplendeva bella e raggiante sulle sembianze di lei. A vedere come il suo umore s’era cambiato, e ammorbidito in quei pochi giorni beati, io non potea ristare dalle grandi maraviglie; mai un rimpianto, mai uno sguardo bieco, mai un atto di stizza, un movimento di vanità. Pareva si fosse prefissa di ravvedermi dal tristo giudizio altre volte fatto di lei. Una fanciulla uscita allora allora di convento, e affidata alle cure d’una madre amorosa, non sarebbe stata più serena, più allegra ed ingenua. Tutto ciò che era fuori dell’amor nostro, o che in qualche modo non si rappiccava ad esso, non la occupava punto. I racconti che la mi faceva della sua vita passata, ad altro non tendevano che a persuadermi dell’amor suo continuo e fervoroso benché vario e bizzarro per me. Mi narrava degli eccitamenti di sua madre a far bel viso a questo o a quello de’ suoi corteggiatori, per accalappiarne un buon partito.
potea ristare dalle grandi maraviglie; mai un rimpianto,
mai uno sguardo bieco, mai un atto di stizza, un movimento di vanità. Pareva si fosse prefissa di ravvedermi dal tristo giudizio altre volte fatto di lei. Una fanciulla uscita allora allora di convento, e affidata alle cure d’una madre amorosa, non sarebbe stata più serena, più allegra ed ingenua. Tutto ciò che era fuori dell’amor nostro, o che in qualche modo non si rappiccava ad esso, non la occupava punto. I racconti che la mi faceva della sua vita passata, ad altro non tendevano che a persuadermi dell’amor suo continuo e fervoroso benché vario e bizzarro per me. Mi narrava degli eccitamenti di sua madre a far bel viso a questo
o a quello de’ suoi corteggiatori, per accalappiarne un
buon partito.


— E cosa vuoi! — soggiungeva. — Più erano splendidi,
— E cosa vuoi! — soggiungeva. — Più erano splendidi, belli, graziosi; più mi venivano in uggia; laonde se mai dava segno di qualche gentilezza o di aggradimento, l’era
belli, graziosi; più mi venivano in uggia; laonde se mai
dava segno di qualche gentilezza o di aggradimento, l’era
sempre verso i più brutti e sparuti, con gran maraviglia mia e di quelli che mi circondavano; e credevano quella stranezza un’arte squisita di civetteria. In verità io lusingava quelli che mi parevano troppo sgraziati per lusingarsi alla lor volta; e se quelle mie gentilezze erano insulti, Dio mel perdoni, ma non potea fare altrimenti! —
sempre verso i più brutti e sparuti, con gran maraviglia mia e di quelli che mi circondavano; e credevano quella stranezza un’arte squisita di civetteria. In verità io lusingava quelli che mi parevano troppo sgraziati per lusingarsi alla lor volta; e se quelle mie gentilezze erano insulti, Dio mel perdoni, ma non potea fare altrimenti! —