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gran riputazione, oltre all’aver esercitato un consolato straordinario. Quantunque egli se ne stesse ritirato per la malvagità de’ tempi che correano, pure si vide accusato davanti al senato, per avere, secondochè diceano, in un suo poema sotto i nomi di Paride e di Enone messo in burla il divorzio di Domiziano705, il quale altrove abbiam detto che prese in moglie Domizia Longina. Questa poi la ripudiò, perchè perduta di amore verso Paride istrione, ch’egli fece uccidere in mezzo ad una strada. Contuttociò non si potè contenere dal ripigliarla poco dipoi: del che fu assai proverbiato. Publicio Certo, dianzi pretore, ed ora uno de’ giudici dati ed Elvidio, per mostrare il suo zelo adulatorio verso Domiziano, commise la più vergognosa azione che si possa mai dire; perchè mise le mani proprie addosso ed Elvidio, e il trasse alle prigioni. Fu condannato Elvidio, e l’infame Publicio per ricompensa destinato console, senza però giugnere a godere di quella dignità, perchè Domiziano tolto di vita non gli potè mantener la parola. Contra di costui si fece accusatore Plinio il giovine; e tal terrore gli mise in corpo, che disperato finì i suoi giorni. Errenio Senecione, per avere scritta la vita di Elvidio Prisco seniore, somministrò assai ragione al crudel Domiziano e al timido senato, per condannarlo a morte e far bruciare pubblicamente l’opere composte da quel felice ingegno. Un altro personaggio, tenuto in sommo credito per la professione della stoica filosofia706, fu Lucio Giunio Aruleno Rustico. Aveva egli in un suo libro lodati Peto Trasea ed Elvidio Prisco, uomini insigni, dei quali si è parlato di sopra. Di più non occorse, perchè egli fosse condannato e fatto morire. Plutarco attribuisce la di lui disgrazia all’invidia portata da Domiziano alla gloria di quest’uomo illustre. Sappiamo parimente, che Fannia, moglie di Elvidio Prisco, in tal occasione fu mandata in esilio, e spogliata di tutti i suoi beni; siccome ancora Arria vedova di Peto Trasea; e Pomponia Gratilia, moglie del suddetto Rustico. Fece anche Domiziano morire Ermogene da Tarso, perchè in una storia di lui scritta si figurò di essere stato punto sotto certe maniere di dir figurate. I copisti di quella storia furono anch’essi fatti morire in croce. Di questo passo camminava la crudeltà di Domiziano, e Dione707 ebbe a dire, che non si può sapere a qual numero ascendesse la serie degli uccisi per ordine suo, perchè non voleva che si scrivesse negli atti del senato memoria alcuna delle persone da lui tolte di vita. E con questa barbarie congiungeva egli un’abbominevole infedeltà, perchè servendosi di molti iniqui o per accusare altrui di lesa maestà, o per rapire le altrui sostanze, dopo averli premiati con dar loro onori e magistrati, da lì a poco faceva ancor questi ammazzare, acciocchè sembrasse che da essi soli, e non da lui fossero procedute quelle iniquità. Altrettanto facea coi servi e liberti da lui segretamente mossi ad accusare il padrone, facendoli poi morire anch’essi. Molte arti usò inoltre, per indurre alcuni ad uccidersi da sè stessi, acciocchè si credesse spontanea e non forzata la morte loro. Peggiore ancor di Nerone fu per un conto708, perchè assisteva in persona agli esami e ai tormenti delle persone accusate, e si compiaceva di udire i loro sospiri, e di mirar quei mali che facea lor sofferire, il maggior dei quali era il veder presente l’autore iniquo de’ medesimi lor tormenti. Aggiungeva inoltre la dissimulazione all’inumanità, usando finezze e carezze a chi fra poche ore dovea per suo comandamento perdere la vita. Lo provò tra gli altri709 Marco Arricino Clemente, già prefetto del pretorio sotto Vespasiano,
gran riputazione, oltre all’aver esercitato un consolato straordinario. Quantunque egli se ne stesse ritirato per la malvagità de’ tempi che correano, pure si vide accusato davanti al senato, per avere, secondochè diceano, in un suo poema sotto i nomi di Paride e di Enone messo in burla il divorzio di Domiziano<ref>{{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Sueton.}} in Domitiano, cap. 3.</ref>, il quale altrove abbiam detto che prese in moglie Domizia Longina. Questa poi la ripudiò, perchè perduta di amore verso Paride istrione, ch’egli fece uccidere in mezzo ad una strada. Contuttociò non si potè contenere dal ripigliarla poco dipoi: del che fu assai proverbiato. ''Publicio Certo'', dianzi pretore, ed ora uno de’ giudici dati ed Elvidio, per mostrare il suo zelo adulatorio verso Domiziano, commise la più vergognosa azione che si possa mai dire; perchè mise le mani proprie addosso ed Elvidio, e il trasse alle prigioni. Fu condannato Elvidio, e l’infame Publicio per ricompensa destinato console, senza però giugnere a godere di quella dignità, perchè Domiziano tolto di vita non gli potè mantener la parola. Contra di costui si fece accusatore {{AutoreCitato|Gaio Plinio Cecilio Secondo|''Plinio'' il giovine}}; e tal terrore gli mise in corpo, che disperato finì i suoi giorni. ''Errenio Senecione'', per avere scritta la vita di ''Elvidio Prisco'' seniore, somministrò assai ragione al crudel Domiziano e al timido senato, per condannarlo a morte e far bruciare pubblicamente l’opere composte da quel felice ingegno. Un altro personaggio, tenuto in sommo credito per la professione della stoica filosofia<ref>{{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dio.}}, lib. 67. {{AutoreCitato|Plutarco|Plutarchus}} de Curios.</ref>, fu ''Lucio Giunio Aruleno Rustico''. Aveva egli in un suo libro lodati ''Peto Trasea'' ed ''Elvidio Prisco'', uomini insigni, dei quali si è parlato di sopra. Di più non occorse, perchè egli fosse condannato e fatto morire. {{AutoreCitato|Plutarco|Plutarco}} attribuisce la di lui disgrazia all’invidia portata da Domiziano alla gloria di quest’uomo illustre. Sappiamo parimente, che ''Fannia'', moglie{{Pagina Annali|Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/210|360}} di Elvidio Prisco, in tal occasione fu mandata in esilio, e spogliata di tutti i suoi beni; siccome ancora ''Arria'' vedova di Peto Trasea; e ''Pomponia Gratilia'', moglie del suddetto Rustico. Fece anche Domiziano morire ''Ermogene'' da Tarso, perchè in una storia di lui scritta si figurò di essere stato punto sotto certe maniere di dir figurate. I copisti di quella storia furono anch’essi fatti morire in croce. Di questo passo camminava la crudeltà di Domiziano, e {{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dione}}<ref>{{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dio.}}, in Excerptis Valesian.</ref> ebbe a dire, che non si può sapere a qual numero ascendesse la serie degli uccisi per ordine suo, perchè non voleva che si scrivesse negli atti del senato memoria alcuna delle persone da lui tolte di vita. E con questa barbarie congiungeva egli un’abbominevole infedeltà, perchè servendosi di molti iniqui o per accusare altrui di lesa maestà, o per rapire le altrui sostanze, dopo averli premiati con dar loro onori e magistrati, da lì a poco faceva ancor questi ammazzare, acciocchè sembrasse che da essi soli, e non da lui fossero procedute quelle iniquità. Altrettanto facea coi servi e liberti da lui segretamente mossi ad accusare il padrone, facendoli poi morire anch’essi. Molte arti usò inoltre, per indurre alcuni ad uccidersi da sè stessi, acciocchè si credesse spontanea e non forzata la morte loro. Peggiore ancor di Nerone fu per un conto<ref>{{AutoreCitato|Publio Cornelio Tacito|Tacitus}} in Vita Agricolae, cap. 45.</ref>, perchè assisteva in persona agli esami e ai tormenti delle persone accusate, e si compiaceva di udire i loro sospiri, e di mirar quei mali che facea lor sofferire, il maggior dei quali era il veder presente l’autore iniquo de’ medesimi lor tormenti. Aggiungeva inoltre la dissimulazione all’inumanità, usando finezze e carezze a chi fra poche ore dovea per suo comandamento perdere la vita. Lo provò tra gli altri<ref>{{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Sueton.}} in Domitiano, cap. 11.</ref> ''Marco Arricino Clemente'', già prefetto del pretorio sotto Vespasiano,