Pagina:Rivista italiana di numismatica 1888.djvu/76: differenze tra le versioni

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burgo che non allungò le mani in zecca, come sarà provato di Lodovico il Bavaro, o del suo ministro. Nella Signoria dei tre primi Visconti, Azone, Luchino e Giovanni Arcivescovo, il biglione regge con loro onore alla prova del fuoco. Non così è dei loro successori Bernabò e Galeazzo, dei quali sono buoni li denari e adulterati li mezzi soldi. Ma il sovvertimento vero del sistema accadde col primo duca Giovanni Galeazzo. Noi in parte l’abbiamo già accennato, ed ora aggiungeremo, che se l’arbitrio nelle argentee grandi fu di 1/3, nelle minori non ebbe confine, giunto essendo alla metà ed anche a qualche cosa di più. Per il rimanente evo Visconteo non fa bisogno, ch’io mi estenda in dettagli; ognuno può figurarsi qual sia stato il biglione di quel periodo di tempo dallo scadimento, che si fece ognora maggiore delle monete d’argento dimostrato, come dissi poc’anzi, all’alzamento del fiorino d’oro. Nominerò lo Sforza II del 400 per ripeterne gli encomj e tirerò un velo sopra gli altri di quella casa per le sciagure che pesarono sovr’essi e la patria nostra infelicissima di quella età consegnate nella storia generale d’Italia. Sorpasserò similmente una monetina irregolare della Repubblica, transitoria dal 1447 al 1450 meritevole di compatimento per le dure circostanze che l’afflissero. Ma mi farò lecito alzare francamente la voce contro del potentissimo imperatore Carlo V, che non ebbe vergogna di falsificare il biglione, componendone ragguardevol porzione, che tutt’ora riempie i gabinetti, di rame, ed inargentandolo al di fuori per farlo parere ciò che non era. Ma passeggeri più o meno erano stati questi abusi e cagionati da guerre o da principi malvagi, e nessuno fin allora si era immaginato di convertire la frode, che cautamente aveva serpeggiato fra le tenebre, in una teoria stabile ed {{SAL|76|3|Carlomorino}}
burgo che non allungò le mani in zecca, come sarà provato di Lodovico il Bavaro, o del suo ministro. Nella Signoria dei tre primi Visconti, Azone, Luchino e Giovanni Arcivescovo, il biglione regge con loro onore alla prova del fuoco. Non così è dei loro successori Bernabò e Galeazzo, dei quali sono buoni li denari e adulterati li mezzi soldi. Ma il sovvertimento vero del sistema accadde col primo duca Giovanni Galeazzo. Noi in parte l’abbiamo già accennato, ed ora aggiungeremo, che se l’arbitrio nelle argentee grandi fu di 1/3, nelle minori non ebbe confine, giunto essendo alla metà ed anche a qualche cosa di più. Per il rimanente evo Visconteo non fa bisogno, ch’io mi estenda in dettagli; ognuno può figurarsi qual sia stato il biglione di quel periodo di tempo dallo scadimento, che si fece ognora maggiore delle monete d’argento dimostrato, come dissi poc’anzi, all’alzamento del fiorino d’oro. Nominerò lo Sforza II del 400 per ripeterne gli encomj e tirerò un velo sopra gli altri di quella casa per le sciagure che pesarono sovr’essi e la patria nostra infelicissima di quella età consegnate nella storia generale d’Italia. Sorpasserò similmente una monetina irregolare della Repubblica, transitoria dal 1447 al 1450 meritevole di compatimento per le dure circostanze che l’afflissero. Ma mi farò lecito alzare francamente la voce contro del potentissimo imperatore Carlo V, che non ebbe vergogna di falsificare il biglione, componendone ragguardevol porzione, che tutt’ora riempie i gabinetti, di rame, ed inargentandolo al di fuori per farlo parere ciò che non era. Ma passeggeri più o meno erano stati questi abusi e cagionati da guerre o da principi malvagi, e nessuno fin allora si era immaginato di convertire la frode, che cautamente aveva serpeggiato fra le tenebre, in una teoria stabile ed