Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/119: differenze tra le versioni

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capaci d’appestare una provincia, e conosco io una famiglia patriarcale di quei paesi, dove anche adesso prima di chiamar il medico si recitano alquante orazioni alla Madonna, per pregarla che ne accompagni la visita colla buona fortuna. Il dottor Sperandio (bel nome per un dottore e che dava di per sè un buon consiglio ai malati) non aveva nulla nella sua figura che si opponesse alla fama stregonesca di cui egli e i suoi colleghi erano onorati. Portava un parruccone di lana o di crine di cavallo, nero come l’inchiostro, che gli difendeva bene contro il vento la fronte, le orecchie e la nuca; e per di più un cappellaccio a tre punte, nero anch’esso e vasto come un temporale. A vederlo venir da lontano sul suo cavalluccio magro, sfinito, color della cenere come un asinello, somigliava più un beccamorto che un medico. Ma quando smontava e davanti al letto del malato inforcava gli occhiali per osservargli la lingua, allora pareva proprio un notajo che si preparasse a formulare un testamento. Per solito egli parlava mezzo latino, e mezzo friulano; ma il dopopranzo ci metteva del latino per tre quarti; e verso notte, dopo aver bevuto il boccale dell’Avemaria, la dava dentro in {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Cicerone}} a tutto pasto. Così se la mattina ordinava un lenitivo, la sera non adoperava che i drastici; e le sanguette del dopopranzo si mutavano all’ora di notte in salassi. Il coraggio gli cresceva colle ore; e dopo cena avrebbe asportato la testa d’un matto, colla speranza che l’operazione lo avrebbe guarito. Nessun dottor fisico nè chirurgo o flebotomo ha mai avuto lancette più lunghe e rugginose delle sue. Credo le fossero proprio vere lancie di Unni o Visigoti disotterrate negli scavi di Concordia; ma egli le adoperava con una perizia singolare; tantochè nella sua lunga carriera non ebbe a stroppiare che il braccio ad un paralitico e l’unico sconcio che gli intervenisse di frequente era la difficoltà di stagnare il sangue, tanto erano larghe le ferite{{SAL|119|3|Alex brollo}}
capaci d’appestare una provincia, e conosco io una famiglia patriarcale di quei paesi, dove anche adesso prima di chiamar il medico si recitano alquante orazioni alla Madonna, per pregarla che ne accompagni la visita colla buona fortuna. Il dottor Sperandio (bel nome per un dottore e che dava di per sè un buon consiglio ai malati) non aveva nulla nella sua figura che si opponesse alla fama stregonesca di cui egli e i suoi colleghi erano onorati. Portava un parruccone di lana o di crine di cavallo, nero come l’inchiostro, che gli difendeva bene contro il vento la fronte, le orecchie e la nuca; e per di più un cappellaccio a tre punte, nero anch’esso e vasto come un temporale. A vederlo venir da lontano sul suo cavalluccio magro, sfinito, color della cenere come un asinello, somigliava più un beccamorto che un medico. Ma quando smontava e davanti al letto del malato inforcava gli occhiali per osservargli la lingua, allora pareva proprio un notajo che si preparasse a formulare un testamento. Per solito egli parlava mezzo latino, e mezzo friulano; ma il dopopranzo ci metteva del latino per tre quarti; e verso notte, dopo aver bevuto il boccale dell’Avemaria, la dava dentro in {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Cicerone}} a tutto pasto. Così se la mattina ordinava un lenitivo, la sera non adoperava che i drastici; e le sanguette del dopopranzo si mutavano all’ora di notte in salassi. Il coraggio gli cresceva colle ore; e dopo cena avrebbe asportato la testa d’un matto, colla speranza che l’operazione lo avrebbe guarito. Nessun dottor fisico nè chirurgo o flebotomo ha mai avuto lancette più lunghe e rugginose delle sue. Credo le fossero proprio vere lancie di Unni o di Visigoti disotterrate negli scavi di Concordia; ma egli le adoperava con una perizia singolare; tantochè nella sua lunga carriera non ebbe a stroppiare che il braccio ad un paralitico e l’unico sconcio che gli intervenisse di frequente era la difficoltà di stagnare il sangue, tanto erano larghe le ferite