Pagina:Il dottor Antonio.djvu/252: differenze tra le versioni

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Aubrey s’era tanto infatuato della miserabile osteria, che nè i pressanti inviti del Conte, nè le esortazioni del padre che andasse sul suo cavallo a godere del bel paesaggio, poterono ottenere da quel colossale dragone che abbandonasse solo un istante quelle mura. Non usciva che con Lucy, d’ordinario la sera; e prendendola sotto braccio, ne sosteneva affettuosamente i passi. Il rimanente del giorno, dalle sette della mattina fino alle undici della sera, Aubrey se lo passava dentro in casa: la maggior parte del tempo steso lungo a fumare, e gustandosi la sua bevanda favorita: o a far tremare la povera osteria co’ pesanti suoi passi. Il suo più grazioso sorriso, e la stretta di mano più cordiale erano per Antonio. Aveva preso tanta affezione per lui, che per nulla al mondo avrebbe lasciato per un sol minuto la compagnia del suo nuovo amico. Questo giovane Davenne era una creatura un po’ rumorosa, piuttosto volgare; vivace, di buon naturale, compagnevole, facilmente accontentabile di ogni cosa e di ogni persona; poco curantesi degli incomodi della sua tutt’altro che comoda camera sotto le scale; non accennando mai, in atto o in parola, al menomo desiderio di lasciare il suo quartiere attuale. La sua conversazione con sir John si aggirava quasi esclusivamente, è vero, su Londra (intendesi di quella Londra la cui esistenza è riconosciuta solo da gente di alto rango e alla moda), sui piaceri di Londra, le illustri relazioni e le conoscenze della famiglia dei Davenne; sul dispiacere generale per la prolungata assenza del Baronetto, e via discorrendo. Ma nove volte su dieci era lo stesso sir John che entrava in argomento; e poi non era egli naturale e conveniente per un figlio doveroso, di trattenersi in discorsi evidentemente piacevolissimi pel padre suo?
Aubrey s’era tanto infatuato della miserabile osteria, che nè i pressanti inviti del Conte, nè le esortazioni del padre che andasse sul suo cavallo a godere del bel paesaggio, poterono ottenere da quel colossale dragone che abbandonasse solo un istante quelle mura. Non usciva che con Lucy, d’ordinario la sera; e prendendola sotto braccio, ne sosteneva affettuosamente i passi. Il rimanente del giorno, dalle sette della mattina fino alle undici della sera, Aubrey se lo passava dentro in casa: la maggior parte del tempo steso lungo a fumare, e gustandosi la sua bevanda favorita: o a far tremare la povera osteria co’ pesanti suoi passi. Il suo più grazioso sorriso, e la stretta di mano più cordiale erano per Antonio. Aveva preso tanta affezione per lui, che per nulla al mondo avrebbe lasciato per un sol minuto la compagnia del suo nuovo amico. Questo giovane Davenne era una creatura un po’ rumorosa, piuttosto volgare; vivace, di buon naturale, compagnevole, facilmente accontentabile di ogni cosa e di ogni persona; poco curantesi degli incomodi della sua tutt’altro che comoda camera sotto le scale; non accennando mai, in atto o in parola, al menomo desiderio di lasciare il suo quartiere attuale. La sua conversazione con sir John si aggirava quasi esclusivamente, è vero, su Londra (intendesi di quella Londra la cui esistenza è riconosciuta solo da gente di alto rango e alla moda), sui piaceri di Londra, le illustri relazioni e le conoscenze della famiglia dei Davenne; sul dispiacere generale per la prolungata assenza del Baronetto, e via discorrendo. Ma nove volte su dieci era lo stesso sir John che entrava in argomento; e poi non era egli naturale e conveniente per un figlio doveroso, di trattenersi in discorsi evidentemente piacevolissimi pel padre suo?