Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/715: differenze tra le versioni

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C. XXVI — v. 19-24. In questi due ternari F autor nostro pone

C. XXVI — ''v''. 19-24. In questi due ternari l’autor nostro pone
lino bello notabile, dicendo che, quando vide quel ch’era nell’ottava
lino bello notabile, dicendo che, quando vide quel ch’era nell’ottava
bolgia, elli si dolse, et ora si riduole quando si ricorda di quel che
bolgia, elli si dolse, et ora si riduole quando si ricorda di quel che
vide, dicendo: Allor mi dolsi; io Dante quando vidi l’ottava bol¬
vide, dicendo: ''Allor mi dolsi''; io Dante quando vidi l’ottava bolgia, ''et ora mi ridoglio''; che sono nel mondo, ''Quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi''; cioè quand’io Dante mi ricordo di quel che vidi
gia, et ora mi ridoglio; che sono nel mondo, Quando drizzo la mente
a ciò ch’io vidi; cioò quand’io Dante mi ricordo di quel che vidi
nell’ottava bolgia; cioè la pena de’ fraudulenti, che aveano operato
nell’ottava bolgia; cioè la pena de’ fraudulenti, che aveano operato
loro ingegno al male, E più lo ingegno a/freno ch’io non soglio; cioò
loro ingegno al male, ''E più lo ingegno affreno ch’io non soglio''; cioè
tempero et affreno lo mio ingegno, che non scorra alle sottigliezze
tempero et affreno lo mio ingegno, che non scorra alle sottigliezze
delli inganni, Perchè non corra, che virtù noi guidi; cioò perchè
delli inganni, ''Perchè non corra, che virtù nol guidi''; cioè perchè
non adoperi la sua sottigliezza, se non nelli atti virtuosi; Si che, se
non adoperi la sua sottigliezza, se non nelli atti virtuosi; ''Sì che, se stella buona''; questo dice per satisfare a coloro che dicono che lo
ingegno nostro adopera, secondo che è illustrato di sopra dalle influenzie delle stelle, ''o miglior cosa''; e questo dice, seguendo coloro
stella buona; questo dice per satisfare a coloro che dicono che lo
che dicono che è dato da Dio immediatamente, ''M’à dato il ben'';
ingegno nostro adopera, secondo che è illustrato di sopra dalle in-
cioè la bontà e la sottigliezza dello ingegno, ''ch’io stesso nol m’invidi''; cioè per invidia non mel guasti, adoperandolo al male et a’ vizi; e parla qui transuntivamente che, come lo invidioso converte il
lluenzie delle stelle, o miglior cosa; e questo dice, seguendo coloro
che dicono che è dato da Dio immediatamente, M’à dato il ben;
cioè la bontà e la sottigliezza dello ingegno, ch’io stesso noi m’in¬
vidi; cioè per invidia non mel guasti, adoperandolo al male et a’ vi¬
zi; e parla qui transuntivamente che, come lo invidioso converte il
bene altrui in male, s’elli può; così fa colui che converte lo ingegno
bene altrui in male, s’elli può; così fa colui che converte lo ingegno
buono e sottile ad aoperare il male. Et è qui da notare che l’autore
buono e sottile ad aoperare il male. Et è qui da notare che l’autore
dimostra qui lo ingegno umano esser dato da Dio sanza mezzo al¬
dimostra qui lo ingegno umano esser dato da Dio sanza mezzo all’uomo, quando l’anima si congiugne col corpo, di grazia speziale, o
l’uomo, quando l’anima si congiugne col corpo, di grazia speziale, o
per mezzo delle costellazioni che ànno ad aoperare nelle cose di qua
per mezzo delle costellazioni che ànno ad aoperare nelle cose di qua
giù, secondo che Idio à operato (') et imposto loro: e questo ingegno
giù, secondo che Idio à operato <ref>C. M. à ordinato</ref> et imposto loro: e questo ingegno
è quello che i Poeti chiamano genio, che fìngono che è uno idio sin-
è quello che i Poeti chiamano genio, che fìngono che è uno idio singulare a ciascuno uomo, col quale nasce e muore; et è mutabile, secondo che dice Orazio, e così veggiamo di fatto che alcuna volta sta
l’uomo con uno ingegno grosso un pezzo, e poi s’assottiglia; e così
gulare a ciascuno uomo, col quale nasce e muore; et è mutabile, se¬
condo che dice Orazio, e così veggiamo di fatto che alcuna volta sta
l’uomo con uno ingegno grosso un pezzo, e poi s’assottiglia; c così
ancora nell’altre cose, come può essere manifesto a chi considera le
ancora nell’altre cose, come può essere manifesto a chi considera le
parole dell’autore predette (l).
parole dell’autore predette <ref>C. M. de l’ autore preditto.</ref>.

C. XXVI — v. 25-33. In questi tre ternari l’autor nostro, fingendo
C. XXVI — ''v''. 25-33. In questi tre ternari l’autor nostro, fingendo
10 suo poema, pone una similitudine, dicendo che come la state da
lo suo poema, pone una similitudine, dicendo che come la state da
sera si veggono da colui che è in sul poggio la valle piena di luc¬
ciole (8): così elli d’in sul ponte dell’ottava bolgia vedea tutta la
sera si veggono da colui che è in sul poggio la valle piena di lucciole <ref>C. M. lucciule:</ref>: così elli d’in sul ponte dell’ottava bolgia vedea tutta la
bolgia piena di fiamme, che volavano oltre per la bolgia, e però dice:
bolgia piena di fiamme, che volavano oltre per la bolgia, e però dice:
Quante il villan; cioè lo contadino, ch’ai poggio si riposa; cioè nel
''Quante il villan''; cioè lo contadino, ''ch’al poggio si riposa''; cioè nel
monte ove elli abita la sera, quando è tornato stanco dal lavorio,
monte ove elli abita la sera, quando è tornato stanco dal lavorio,
Nel tempo che colui che il mondo schiara; cioè nella state, nella quale
''Nel tempo che colui che il mondo schiara''; cioè nella state, nella quale
11 sole che illumina il mondo, La faccia sua a noi tien meno ascosa:
il sole che illumina il mondo, ''La faccia sua a noi tien meno ascosa'':
imperò che d’istate sta più nel nostro emisperio, che di verno ; e così
imperò che d’istate sta più nel nostro emisperio, che di verno; e così
mono tempo ci s’appiatta, o vuogli, si nasconde meno a noi, che i di’
meno tempo ci s’appiatta, o vuogli, si nasconde meno a noi, che i di’
(*) G. M. à ordinato (2) C. M. de l’autore preditto. f) C. M. lucciule:
672 INFERNO XXVI. [