Trionfi (Bortoli)/Trionfo della fama/Capitolo I: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 9:
 
<poem>
Da poi che Morte triunfò nel volto
che Che di me stesso triunfar solea,
eE fu del nostro mondo il suo sol tolto,
partissi Partissi quella dispietata e rea,
pallida Pallida in vista, orribile e superba
cheChe ’l lume di beltate spento avea:
quando Quando, mirando intorno su per l’erba,
vidi Vidi da l’altra parte giugner quella
cheChe trae l’uom del sepolcro e ’n vita il serba.
Quale in sul giorno un’amorosa stella
suol Suol venir d’orïente inanzi al sole
cheChe s’accompagna volentier con ella,
cotal Cotal venia; et oh! di quali scole
verrà Verrà ’l maestro che descriva a pieno
quelQuel ch’io vo’ dir in semplici parole?
Era d’intorno il ciel tanto sereno,
che Che per tutto ’l desir ch’ardea nel core
l’occhioL’occhio mio non potea non venir meno.
Scolpito per le fronti era il valore
de De l’onorata gente, dov’io scorsi
moltiMolti di quei che legar vidi Amore.
Da man destra, ove gli occhi in prima porsi,
la La bella donna avea Cesare e Scipio,
maMa qual più presso a gran pena m’accorsi:
l’un L’un di vertute, e non d’Amor mancipio,
l’altro L’altro d’entrambi. E poi mi fu mostrata,
dopoDopo sì glorïoso e bel principio,
gente Gente di ferro e di valore armata;
siccome Siccome in Campidoglio al tempo antico
taloraTalora o per Via Sacra o per Via Lata,
venian Venian tutti in quell’ordine ch’i’ dico,
e E leggeasi a ciascuno intorno al ciglio
ilIl nome al mondo più di gloria amico.
Io era intento al nobile pispiglio,
ai Ai volti, agli atti: ed ecco, i primi due,
l’unL’un seguiva il nipote e l’altro il figlio,
che Che sol senz’alcun pari al mondo fue;
e E quei che volser a’ nemici armati
chiudereChiudere il passo co le membra sue,
duo Duo padri da tre figli accompagnati:
l’un L’un giva inanzi e due venian dopo,
eE l’ultimo era il primo fra’ laudati.
Poi fiammeggiava a guisa d’un piropo
colui Colui che col consiglio e co la mano
aA tutta Italia giunse al maggior uopo:
di Di Claudio dico, che notturno e piano,
come Come il Metauro vide, a purgar venne
diDi ria semenza il buon campo romano.
Egli ebbe occhi a vedere, a volar penne;
et Et un gran vecchio il secondava appresso,
cheChe con arte Anibàle a bada tenne.
Duo altri Fabii e duo Caton con esso,
duo Duo Pauli, duo Bruti e duo Marcelli,
unUn Regol ch’amò Roma e non se stesso,
un Un Curio ed un Fabrizio, assai più belli
con Con la lor povertà che Mida o Crasso
conCon l’oro onde a virtù furon rebelli;
Cincinnato e Serran, che solo un passo
senza Senza costor non vanno, e ’l gran Camillo
diDi viver prima che di ben far lasso,
perch’a Perch’a sì alto grado il ciel sortillo
che Che sua virtute chiara il ricondusse
ondeOnde altrui cieca rabbia dipartillo.
Poi quel Torquato che ’l figliuol percusse,
e E viver orbo per amor sofferse
deDe la milizia perché orba non fusse;
l’un L’un Decio e l’altro, che col petto aperse
le Le schiere de’ nemici: o fiero voto,
cheChe ’l padre e ’l figlio ad una morte offerse!
Curzio venia con lor, non men devoto,
che Che di sé e de l’arme empié lo speco
inIn mezzo il Foro orribilmente voto;
Mummio, Levino, Attilio; et era seco
Tito Flamminio che con forza vinse,
maMa vie più con pietate, il popol greco.
Eravi quei che ’l re di Siria cinse
d’un D’un magnanimo cerchio, e co la fronte
eE co la lingua a sua voglia lo strinse;
e E quel ch’armato, sol, difese un monte,
onde Onde poi fu sospinto; e quel che solo
contraContra tutta Toscana tenne un ponte;
e E quel che in mezzo del nemico stuolo
mosse Mosse la mano indarno, e poscia l’arse,
seco irato che non sentì il duolo;
e E chi ’n mar prima vincitor apparse
contra’ Contra’ Cartaginesi, e chi lor navi
fraFra Cicilia e Sardigna ruppe e sparse.
Appio conobbi agli occhi, e’ suoi, che gravi
furon Furon sempre e molesti a l’umil plebe.
Poi vidi un grande con atti soavi,
e E se non che ’l suo lume a lo stremo ebe,
forse Forse era il primo, e certo fu fra noi
qualQual Bacco, Alcid’e Epaminonda a Tebe;
ma Ma ’l peggio è viver troppo. E vidi poi
quel Quel che da l’esser suo destro e leggero
ebbeEbbe nome, e fu ’l fior degli anni suoi;
e E quanto in arme fu crudo e severo,
tanto Tanto quei che ’l seguia, Corvo, benigno,
nonNon so se miglior duce o cavaliero.
Poi venia que’ che livido maligno
tumor Tumor di sangue, bene oprando, oppresse,
nobilNobil Volumnio e d’alta laude digno;
Cosso e Filon, Rutilio, e da le spesse
luci Luci in disparte tre soli ir vedeva,
rottiRotti i membri e smagliate l’arme e fesse:
Lucio Dentato e Marco Sergio e Sceva,
que’ Que’ tre folgori e tre scogli di guerra,
maMa l’un rio successor di fama leva;
Mario poi, che Jugurta e’ Cimbri atterra
e E ’l tedesco furore, e Fulvio Flacco,
ch’aCh’a l’ingrati troncar a bel studio erra,
et Et il più nobil Fulvio, e solo un Gracco
di Di quel gran nido garrulo inquïeto
cheChe fe’ il popol roman più volte stracco,
e E quel che parve altrui beato e lieto,
non Non dico fu, ché non chiaro si vede
unUn chiuso cor profondo in suo secreto:
Metello dico, e suo padre, e suo’ rede,
che Che già di Macedonia e de’ Numidi
eE di Creta e di Spagna addusser prede.
Poscia Vespasïan col figlio vidi,
il Il buono e bello, non già il bello e rio,
eE ’l buon Nerva, e Traian, principi fidi,
Elio Adriano e ’l suo Antonin Pio,
bella Bella successïone infino a Marco,
chéChé bono a buono ha natural desio.
Mentre che vago oltre cogli occhi varco,
vidi Vidi il gran fondatore e i regi cinque;
l’altroL’altro era in terra di mal peso carco,
come Come adiven a chi virtù relinque.
</poem>