Pagina:Rivista di Scienza - Vol. II.djvu/268: differenze tra le versioni

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a quest’ordine di fatti». Non voglio omettere di ricordare che il suo predecessore {{AutoreCitato|Carl Friedrich Wenzel|0. F. Wenzel}} nella sua ''Teoria delV\taffinità chimica'' (1777) definisce il processo di soluzione come «una conseguenza naturale della configurazione e della mobilità, che da essa dipende, delle sue ultime particelle (del solvente)», rimettendo in campo così la teoria corpuscolare e le vedute di {{AutoreCitato|Robert Boyle|Bob. Boyle}}.
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La teoria di {{AutoreCitato|Claude Louis Berthollet|Berthòllet}} considera il processo di soluzione come un processo chimico e le soluzioni come vere combinazioni chimiche, benché esse non obediscano alla legge di {{AutoreCitato|John Dalton|Dalton}} delle proporzioni definite. Nonostante si siano sollevate obiezioni di ogni fatta contro questa teoria, pure essa è riuscita a farsi strada sempre più; {{AutoreCitato|Joseph Louis Gay-Lussac|Gay-Lussac}} la accolse e la protesse in tutta la sua integrità (1808), mentre {{AutoreCitato|Martin Heinrich Klaproth|Klaproth}} (1810), contrariamente al parere di {{AutoreCitato|Antoine-Laurent de Lavoisier|Lavoisier}}, non faceva differenza tra soluzione in senso fìsico e soluzione in senso chimico (solution e dissolution, Losung e Auflosung) e considerava ogni soluzione come conseguenza di un’azione chimica; egli si esprimeva, come già aveva fatto {{AutoreCitato|Herman Boerhaave|Boerhave}}, letteralmente così: «L’azione tra il mezzo solvente ed il corpo solido ò reciproca; essi si disciolgono reciprocamente» È vero che {{AutoreCitato|Jöns Jacob Berzelius|Berzelius}} (1823) crede che la soluzione sia «piuttosto un fenomeno meccanico» e distingue la causa del processo di soluzione da quella forza che provoca la formazione dei composti chimici; è vero che anche {{AutoreCitato|Eilhard Mitscherlich|E. Mitscherlich}} (1831) intravede una differenza tra l’affinità chimica e la forza che presiede al processo di soluzione ed ammette per questo e per il fenomeno di capillarità una medesima causa: ciò non ostante son sempre le vecchie idee di Boerhave che ritornano a galla e riprendono dominio. Inoltre {{AutoreCitato|Jean-Baptiste Biot|Biot}}, lo scopritore del potere rotatorio ottico nelle sostanze organiche amorfe, cerca di spiegare le variazioni della rotazione, a seconda della concentrazione e della natura del solvente otticamente inattivo, ammettendo la formazione di composti molecolari tra sostanza disciolta e solvente. {{AutoreCitato|Johann Christian Poggendorff|Poggendorff}} (1837) non accetta la distinzione fatta tra «solution» e «dissolution»; egli crede che la stessa forza, che entra in azione allorché si formano i composti chimici secondo la legge delle proporzioni definite (affinità chimica), presieda anche al processo di soluzione; e ciò lo dimostrerebbe specialmente il fatto «che i diversi corpi si disciolgono nei differenti liquidi in maniera diversa»; d’altra parte le soluzioni sono affatto