Pagina:Manzoni.djvu/196: differenze tra le versioni

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senza di ciò non vi è armonia e vera grandezza italiana. Il centro dell’unità del linguaggio doveva esser Firenze, quello dell’unità della fede Dio, come lo intende e lo spiega la Chiesa cattolica. Voleva pure unità di stirpe nel popolo italiano, e però nel suo celebre ''Discorso sopra la Storia de’ Longobardi'' che ebbe il merito di promuovere in Italia una nuova serie d’indagini storiche molto importanti,<ref>Sopra l’importanza vera del ''Discorso storico'' del Manzoni intorno alla storia dei Longobardi abbiamo l’opinione stessa dell’Autore, quale egli dovette esprimerla al Fauriel ed al Cousin. Parlando di quel Discorso, il Sainte-Beuve diceva: «Vorrei quasi paragonarlo ad alcuna di quelle argutissime lettere critiche di Agostino Thierry sulla nostra storia di Francia. Senza aver la pretesa di schiarire quella del Settentrione d’Italia nel IX secolo, questo Discorso produce l’effetto di rendere ''visibile l’oscurità'', dimostrando come quella che pareva esser luce, non era. Quel che impazientava il Manzoni sovra ogni cosa e lo impazientava al pari del suo ''confratello'' Thierry (ch’egli chiamava con questo nome), erano le formole vaghe, volgari, vigliacche, con le quali gli storici moderni avevano nascoste e quasi soffocate le questioni che essi non intendevano. Egli era solito epilogare, scherzando, il senso del suo ''Discorso'' storico in questi termini a un dipresso: — Ho fatto sapere ad essi che non sapevano nulla; ho detto loro che non avevo nulla da dire; dopo di che li saluto, pregandoli di far lunghi studii, affine di sapercene dir qualche cosa. E mi pare che anche questo si chiami aver fatto un passo.» — Sopra il valore del Manzoni come storico ci promette un saggio critico importante l’illustre storico lombardo Cesare Cantù.</ref> escludeva i Longobardi conquistatori da quel popolo italiano che aveano vinto ed oppresso e derubato, ma in nessun modo, potuto assimilarsi. Voleva bontà ed unità di leggi, liberate dal capriccio; quindi la critica legislativa della sua storia della ''Colonna Infame'', ove, col pretesto di biasimar le antiche leggi, colpisce nella stessa condanna
senza di ciò non vi è armonia e vera grandezza italiana. Il centro dell’unità del linguaggio doveva esser Firenze, quello dell’unità della fede Dio, come lo intende e lo spiega la Chiesa cattolica. Voleva pure unità di stirpe nel popolo italiano, e però nel suo celebre ''Discorso sopra la Storia de’ Longobardi'' che ebbe il merito di promuovere in Italia una nuova serie d’indagini storiche molto importanti,<ref>Sopra l’importanza vera del ''Discorso storico'' del Manzoni intorno alla storia dei Longobardi abbiamo l’opinione stessa dell’Autore, quale egli dovette esprimerla al Fauriel ed al Cousin. Parlando di quel Discorso, il Sainte-Beuve diceva: «Vorrei quasi paragonarlo ad alcuna di quelle argutissime lettere critiche di Agostino Thierry sulla nostra storia di Francia. Senza aver la pretesa di schiarire quella del Settentrione d’Italia nel IX secolo, questo Discorso produce l’effetto di rendere ''visibile l’oscurità'', dimostrando come quella che pareva esser luce, non era. Quel che impazientava il Manzoni sovra ogni cosa e lo impazientava al pari del suo ''confratello'' Thierry (ch’egli chiamava con questo nome), erano le formole vaghe, volgari, vigliacche, con le quali gli storici moderni avevano nascoste e quasi soffocate le questioni che essi non intendevano. Egli era solito epilogare, scherzando, il senso del suo ''Discorso storico'' in questi termini a un dipresso: — Ho fatto sapere ad essi che non sapevano nulla; ho detto loro che non avevo nulla da dire; dopo di che li saluto, pregandoli di far lunghi studii, affine di sapercene dir qualche cosa. E mi pare che anche questo si chiami aver fatto un passo.» — Sopra il valore del Manzoni come storico ci promette un saggio critico importante l’illustre storico lombardo Cesare Cantù.</ref> escludeva i Longobardi conquistatori da quel popolo italiano che aveano vinto ed oppresso e derubato, ma in nessun modo, potuto assimilarsi. Voleva bontà ed unità di leggi, liberate dal capriccio; quindi la critica legislativa della sua storia della ''Colonna Infame'', ove, col pretesto di biasimar le antiche leggi, colpisce nella stessa condanna