La fame del Globo/Cap. 15: differenze tra le versioni

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Versione delle 15:51, 26 ott 2013

Cosa c’è nella mangiatoia di mucche e scrofe, polli e tacchini

Caro Salvatore,

abbiamo tentato, credo con la chiarezza con cui stampa e studiosi hanno diritto di proporre agli amministratori pubblici, nei paesi democratici, ogni quesito pertinente le specifiche sfere di competenza, alcune domande sugli equilibri agricoli nazionali. Non abbiamo ricevuto risposa, ostentando il nostro interlocutore, come, purtroppo molti di quanti ci governano, piuttosto lo stile del raìs mediorientale che quello del governante austriaco o britannico.

Una cronista modenese coraggiosa mi ha intervistato su quanto avevamo pubblicato in tema di importazioni di mais e soia, e ha sondato, dopo l’intervista, il pensiero delle “autorità” agricole, ricavandone la dichiarazione che le mie argomentazioni sarebbero errate siccome le importazioni di mais si effettuerebbero da paesi che non coltivano varietà o.g.m., che quindi i proclami che i nostri prodotti tipici (formaggi, salumi, fino a latte e uova) deriverebbero da animali nutriti da mais tradizionali, sarebbero inoppugnabili.

Ho verificato le statistiche ufficiali, che attestano l’importazione, nel 2012, di 26 milioni di quintali di mais: la lista delle fonti di approvvigionamento impone l’incredulità davanti a paesi che o non producono una spiga di mais o importano, per l’esiguità della produzione, la quota preminenete del proprio fabbisogno: Belgio, Malta, Austria, Grecia, ecc.. L’impressione è quella di una spasmodica ricerca, in ogni recesso del Pianeta, del negoziante che possa fornire qualche quintale di mais non o.g.m., qualunque sia il prezzo di acquisto e quello di trasporto. Il risultato di questa follia importatrice è il costo medio del totale importato, 22 € per quintale, contro i 20 U.S. $ di Chicago, corrispondenti al cambio, a 14,7 €. Alla differenza, equivalente al 44%, si debbono aggiungere i maggiori oneri di trasporto: il costo di trasferimento di quintale di mais in container dal Peru, è, palesemente quattro volte il costo di un quintale caricato, alla foce del Mississippi, su un cargo da 80.000 q, dal più funzionale sistema di imbarco del Globo.

La tabella ufficiale dimostrerebbe, peraltro, che l’ambizioso risultato di cancellare gli Stati Uniti ed i loro o.g.m.i dalla lista dei fornitori sarebbe stato gloriosamente conquistato. Incredulo, ho interpellato uno dei più autorevoli esperti del nostro interscambio agricolo, da decenni in grado, per prestigio e attendibilità scientifica, di interloquire con i grandi importatori e mangimisti: mi ha spiegato che a tutto il mondo del commercio è noto che i nostri fornitori maggiori, Moldavia, Ukraina, Bielorussia, sarebbero, tuttora, paesi in cui ogni legge è poco più che chimera: acquisterebbero sul mercato mondiale sementi di mais o.g.m. e ce ne venderebbero il prodotto certificandolo come non o.g.m. Per disposizioni “superiori” nessun laboratorio pubblico controllerebbe, all’arrivo, in provetta: la parte maggiore del mais importato sarebbe, quindi, mais o.g.m. da sementi americane importato a un costo superiore del 60% al prodotto U.S.A.: la strada sicura per annientare, economicamente, qualunque allevamento. Felicemente la catastrofe produttiva del 2012 ha, verosimilmente, imposto, per l’incapacità dei fornitori precedenti, importazioni dirette dagli U.S.A., e il raccolto, ancora più disastroso, che le mietitrebbie stanno completando in questi giorni (coltiviamo varietà americane del millennio scorso, del tutto inadeguate alle nuove condizioni climatiche) renderà patetico qualunque tentativo di mentire ancora.

Per la soia il quadro è ancora più cristallino: tracciarlo non impone di godere della confidenza di importatori e mangimisti. Importiamo 15 milioni di quintali di semi, da cui ricaviamo olio e farina zootecnica, e 21 milioni di quintali di farina: acquistiamo i primi essenzialmente dal Paraguay, la seconda da Argentina e Brasile. Non risulta che tra il Rio delle Amazzoni e il Mar del Plata venga seminato, ormai, un solo campo di soia che non sia o.g.m. Siamo certi, felicemente, che non sia o.g.m. la farina ottenuta da soia coltivata in Italia, un decimo del totale. Anche per il mais siamo sicuri che, seppure a prezzi astronomici, non sia o.g.m. quello di produzione nazionale, che la catastrofe produttiva progettata dai nostri strateghi agrari (gastronomi, maghi e cosche professional-sindacali) contrarrà, verosimilmente in tempi brevi, al di sotto del 50% del fabbisogno di stalle e pollai.

21 settembre 2013

Antonio Saltini