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CANTO XXVII. 687 22 Perch’io sia giunto forse alquanto tardo, Non t’incresca restare a parlar meco: Vedi che non rincresce a me, et ardo. 25 Se tu pur mo in questo mondo cieco Caduto se’ di quella dolce terra Latina, ond’io tutta mia colpa reco; 28 Dimmi, se i Romagnuoli àn pace, o guerra; Ch’io fui de’ monti là intra ad Orbino E il giogo, di che il Tevero disserra. 31 Io era giuso ancora intento e chino, Quando il mio Duca mi tentò di costa, Dicendo: Parla tu: questi è Latino. 34 Et io, ch’avea già pronta la risposta, Sanza indugio a parlar incominciai: 0 anima, che se’ là giù nascosta, 37 Romagna tua non è, e non fu mai Sanza guerra nei cuor de’ suoi tiranni; Ma in palese nessuna or vi lasciai. 40 Ravenna sta, come stata è molti anni: L’aquila da Polenta la si cova, Sì che Cervia ricuopre con suoi vanni. 43 La terra, che fe già la lunga pruova, E de’ Franceschi sanguinoso mucchio, Sotto le branche verdi si ritrova: 46 E il Mastin vecchio, e nuovo da Yerruchio Che fecer di Montagna il mal governo, Là dove soglion, fan de’ denti succhio. v. 24. C. M. che ardo. v. 29. C. M. entro ad Orbino v. 30. C. M. Nel giogo, da che il Tever si disserra, v. 31. C. M. in giuso ancora attento v. 33. Il Poeta chiama Latino il conte Guido, perchè il Montefeltro era com preso nell’Esarcato di Ravenna. E. v. 40. C. M. come stette molti anni ! 688 INFERNO