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CANTO XXVI. 663 73 Lascia parlare a me, ch’io ò concetto Ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbono schivi, Perch'ei fur Greci, forse del tuo detto. 76 Poi che la fiamma fu venuta quivi, Dove parve al mio Duca tempo e loco, In questa forma lui parlare audivi: 79 0 voi, che siete due dentro a un fuoco, S’io meritai di voi, mentre ch'io vissi, S'io meritai di voi assai o poco, 82 Quando nel mondo li alti versi scrissi, Non vi movete; ma l’un di voi dica, Dove per lui perduto a morir gissi. 85 Lo maggior corno della fiamma antica Cominciò a crollarsi mormorando, Pur come quella, cui vento affatica. 88 Indi la cima qua e là menando, Come fosse la lingua, che parlasse, Gittò voce di fuori, e disse: Quando 91 Mi diparti’ da Circe, che sottrasse Me più d’un anno là presso a Gaeta, Prima che sì Enea la nominasse; 9ì Nè dolcezza di figlio, nè la pietà Del vecchio padre, nè il debito amore, Lo qual dovea Penelope far lieta, 97 Vincer poter dentro da me l’ardore, Ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, E della vita umana e del valore; v. 74. C. M. ched ei sarebben schivi, v. 78. Audivi. La terza coniugazione presso gli antichi ebbe nel perfetto indicativo la prima persona singolare in ivi alla guisa latina. Brunetto, mae¬ stro che fu di Dante, cantò « Ch'audivi dir che tene Ogni uom, ch’ai mondo vene ». E. v. 94. C. M. del figlio, v. 97. C. M. poten 664 INFERNO