Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/37: differenze tra le versioni
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{{Pt|covero|ricovero}} e di scuola ai giovani valdesi delle valli vicine, maschi e femmine, che vogliono convertirsi al cattolicismo... o passare un inverno al coperto. |
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Ma, ahimè! appena si fu nel cortile, si provò un amaro disinganno. |
Ma, ahimè! appena si fu nel cortile, si provò un amaro disinganno. |
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Nessuna parola può dare un’idea della devastazione, che, sotto il nome di restauro, fu fatta di quella povera casa. Lo |
Nessuna parola può dare un’idea della devastazione, che, sotto il nome di restauro, fu fatta di quella povera casa. Lo sciupìo è tale che desta per primo sentimento il desiderio di vedersi davanti tutti coloro che fecero o lasciaron fare, ci fosse anche in mezzo qualche Duca impennacchiato, per dare a tutti quanti, in nome della storia, dell’arte, della poesia e della patria, una di quelle lavate di capo che fanno perder la via di tornare a casa. Il palazzo, fondato nel 1318, ha sei secoli, e può dimostrar benissimo sei anni. Qui fu distrutto, là rifatto; parti nuove vennero aggiunte, con imitazione infelice delle antiche; tutti i muri dipinti d’un color rosso arrabbiato di pomodoro, coi mattoni segnati a contorno bianco, come i piccoli castelli dei giardini di cattivo gusto; dentro, tutto rotto e sformato per fare spazio alle nuove scale; le logge alte, tappate; le sale, tramezzate; le pareti ch’eran dipinte, intonacate; la torre, che si alzava d’un buon tratto sopra i tetti, tagliata via; una rovina senza nome. Le ombre degli spodestati Marchesi subalpini ci debbono venire a ridere una volta al mese. Il palazzo ha press’a poco la forma d’un bidente rettilineo con l’apertura volta verso il Monviso, un piccolo cortile nel mezzo, un piccolo giardino davanti. I tre corpi dell’edifizio son {{Pt|disu-|}} |