Il dottor Antonio/XVIII: differenze tra le versioni

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<center>CAPITOLO XVIII.</center>
 
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L’indomani del ritorno nell’osteria, di buon mattino, e cheti cheti, Battista e Speranza si sposarono nella chiesa parrocchiale, e alle dieci, l’ora usata di colazione della famiglia inglese, era già sparita ogni traccia della piccola festa che non erasi potuto evitare — cioè, un piccolo convito e un numero limitatissimo di convitati. Per quanto avesse in cuor suo Battista stabilito di far parata per la via principale di Bordighera della bella gioja acquistata, e di ricever una serenata la sera; — per quanto Speranza avesse amato mostrare a tutta la città il suo completo acconciamento di sposa, dono di Lucy, venuto il giorno innanzi da Genova; e per ultimo e non minor motivo, di presentare la gentile figura dello sposo, e la sovrabbondante
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chioma inanellata, e il suo abito nuovo di vellutino; pure, dopo matura riflessione, pensarono meglio negare a sè stessi queste soddisfazioni. Il bell’abito di seta, il ricco velo, la ghirlanda di fiori d’arancio, e le scarpe di raso bianco furono pertanto messe da parte con uno sforzo tanto eroico, che non ce ne possiamo immaginare il maggiore, a meno non si paragoni a quello fatto da Battista quando ringraziò la banda musicale di Bordighera e la pregò a non venire.
 
— «Purchè siamo felici, che importa apparisca, o no, agli occhi altrui?» dice Speranza, quasi per dare spiegazione della sua condotta a miss Davenne. «Se io facessi mostra elegante, o mi mettessi le belle cose che mi avete regalate, ci sarebbe un cicaleggio e un gridare intorno alla sposa e all’abbigliamento, e al matrimonio, e questo e quello, per dieci miglia all’intorno. Quale conseguenza ne verrebbe? Eh! noi torneremmo ad essere ricordati, dove è meglio per noi essere dimenticati. Meno sarà menzionato il nome di Battista, tanto meglio per noi.» — ''Non destar can che dorme'' — dice un proverbio molto giusto, e spesso bene applicabile in un paese ove la fortuna e la libertà di ognuno stanno a discrezione di un potere assoluto; ove, per esempio, una donna può essere spogliata ''ipso facto'' de’ suoi risparmi guadagnati a grande stento, per sentirli aggiudicati a un delatore da un Comandante che abbia alzato troppo il bicchiere, e dove un avvocato per aver suggerito modi legali da ottener giustizia, può essere mandato in fortezza, e tenutovi mesi e mesi imparando a tener a freno la lingua un’altra volta. Non è maraviglia, con tali esempi innanzi agli occhi, se le persone divengono prudenti a propria difesa. Sapendo di camminare sopra un terreno minato, non vi camminate cauto? Casi simili erano accaduti, ed erano a cognizione di tutti. Ne abbiamo fra molti scelto uno per particolare illustrazione del sistema che si immischia di ogni cosa, e di ogni persona e in ogni occasione. Descrivono i viaggiatori un albero nell’isola di Giava, le cui esalazioni pestifere inaridiscono ogni lieve fil d’erba nella periferia della sua ombra. Tale è il dispotismo. Nessuna particolarità della vita, per quanto minima possa essere e puramente personale, è al sicuro dall’azione sottile e penetrante di questo albero maledetto.
 
Divenuta regolare e stabile la calda stagione — verso la metà di luglio — fu deciso che miss Davenne avesse a cominciare la sua serie di bagni marini. Ella desiderava bagnarsi sul cader della sera; ma Antonio vi appose il suo ''veto''; nè consentì mai, temendo che il bagno, operando
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quasi stimolante, non venisse a turbarle il riposo della notte. — «Fabbricheremo per voi una baracca,» le disse premuroso il Dottore; e vi starete riparata come se foste nella vostra camera.» Nè fu questo un vanto, come ben provò il fatto; che dopo poche ore sorgeva sulla spiaggia del golfo di Spedaletti una baracca ben fatta e comoda, quanto alcuna che adornasse mai i famosi bagni di Brighton o Dieppe. — «Quale disposizione dee aver avuto costui per la meccanica; fa sempre invenzioni;» immagino di sentire esclamare qualche Lettore. Chieggo scusa, signore o signora. — Antonio per la meccanica non aveva maggior disposizione di me e di voi; ma aveva una cosa che vorrei avessimo io e voi: una gran volontà di far servizio e piacere a’ suoi simili; e sento che nulla vale quanto questo a far un uomo ingegnoso. Provatevici con intenzione risoluta, o gentil Lettore, e sarete voi il primo a maravigliarvi dell’effetto.
 
La baracca da bagni di Antonio non era nè più nè meno che lo scheletro di un vecchio carro, con sopravi tenda o cortine, legato con funi a solidi pali piantati nella riva, le quali potevano accorciarsi o allungarsi a volontà. Una corta scala conduceva ad essa dalla parte di terra, e una più lunga da quella di mare; baracca, come ognun vede, che non doveva aver costato all’inventore un grande sforzo d’immaginazione. Quattro rosse banderuole ondeggiavano graziosamente dai quattro pali a sostegno della tenda, onde era dato un elegante aspetto a tutto l’insieme. Ma Antonio non aveva avuto parte in questo e in altri abbellimenti, che erano di esclusiva invenzione ed esecuzione di Battista — ''suum cuique''.
 
Ogni mattina allo spuntar del giorno, Lucy seguita da Speranza quale donna di bagno — Speranza che sapeva nuotar come un pesce — si recava a godersi il bagno e la mirabile levata del sole. Benchè avesse passato in campagna una parte della sua infanzia, pure per la sua salute malferma, Lucy non si era mai alzata di buon mattino; e però quel maraviglioso ''crescendo'' di luce, di suono e di vita, con cui la Natura par che saluti la venuta del suo gran Luminare, era per lei nuovo e veramente delizioso. Dopo il bagno che doveva durar da principio un quarto d’ora e non più — tali essendo gli ordini precisi dell’Esculapio di Bordighera, nè Speranza era donna da lasciarli infrangere, — Lucy doveva prendere una tazza di thè caldo, e tornare a letto fino alle sette, ora del suo alzarsi. Il rimanente della mattinata fino alle dieci, chè a quell’ora andava, con suo padre a colazione, miss Davenne
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lo passava inaffiando fiori e prendendone aura — chè ormai miss Davenne aveva un giardino suo proprio; — e poi sulla loggia con i suoi pennelli e sfumini. Il dottor Antonio presentavasi sempre verso le undici, e se ne stava con lei un’ora, parlando o leggendo. Da mezzogiorno fino all’ora di pranzo, ella faceva la ''siesta''; poi un qualche giro in giardino, ove si godeva all’ombra un libro portato seco; o di nuovo dipingeva; o suonava al piano: e ci pare di non aver detto che erane stato provveduto uno eccellente da Nizza. Di tratto in tratto, col Dottore, che non mancava mai di fare una seconda visita il dopopranzo, cantavano de’ duetti. Generalmente la sua giornata veniva chiusa da una passeggiata su per la collina, o da una visita al casino del Conte; e, qualche volta da una corsa in carrozza a qualche vicina città o villaggio. Ma quest’ultimo divertimento ogni giorno diveniva più raro, la gentil giovanetta avendo osservato la confusa mortificazione del povero Battista ogni volta che vedeva alla porta la carrozza, e l’aria sconfortata con cui subito spariva ne’ più scuri recessi del giardino; ed ella non avea cuore d’infliggere ad alcuno inutili mortificazioni. Il primitivo soverchio timore provato di Lucy erasi tramutato in Battista in una reverente adorazione, ma eccessiva del pari; e ogni volta ch’ella usciva a passeggio, ponevasi a guardarla a rispettosa distanza; o se, pur credevasi inosservato, la seguiva da presso; e molte volte la sua abile prestezza in nascondersi allo sguardo, rivolgendosi i passeggianti improvvisamente, per poi riapparir di nuovo dietro ad essi, era stato motivo di divertimento e di meraviglia per Lucy e per Antonio. Nel naturale di Battista ci era assai del canino; nè questa osservazione è diretta a degradarlo, bensì invece a fargli onore; perchè la razza canina è segnalata per fedeltà, devozione e sagacia; qualità che in pochi altri animali della creazione si ritrovano tutte in grado così eminente.
 
La nostra dolce Lucy migliorava assai per i bagni marini, e forse più ancora per quel metodo di vita da noi descritto, senza noja o sovreccitazioni. Sir John andava in estasi vedendo le guance di lei floride, e il crescente ''embonpoint''; e soleva, scherzando, far osservare al Dottore, com’ella avrebbe potuto rivaleggiare colla signora Pistacchini in pinguedine. — Che se è salubre la vita campestre pel corpo, non lo è meno per la mente. Pochi hanno cercato di mettersi in intimità colla Natura, occupandosi con premura delle misteriose di lei operazioni, senza sentirsene tosto crescere ed estendere le loro idee, e ridestarsi simpatie
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benefiche in seguito di tal comunione. In ogni modo questo avvenne a Lucy. Forse — e speriamo di non esser accusati di presumer troppo per conto del nostre eroe, — forse la continua conversazione di lei con un uomo di qualche esperienza, di buon senso pratico e di sincera semplicità di cuore, come Antonio, può aver contribuito pure assai a tale risultamento. Comunque sia, certo era che Lucy sentivasi un’altra da quella di prima, e con nuove forze fisiche e morali.
 
Antonio intanto si lisciava con violenza la barba. Fin dalla gita a Lampedusa, o, per esser più esatti, fino da quel dopopranzo in cui Lucy mostrossi tanto capricciosa e inconseguente, un cambiamento erasi operato nel nostro amico. Quella uguaglianza di animo e di temperamento, da paragonarsi al corso gentile e misurato di acque trasparenti, adesso era alquanto turbata e soggetta a momenti di intermissione. Antonio era meno comunicativo di quel che solesse; e poteva rimaner seduto per delle mezz’ore a lato di Lucy, senza dir parola, astratto evidentemente fin quasi alla smemoratezza. Essendo stato un giorno improvvisamente riscosso da una di queste astrazioni, dalla domanda: — «A che pensate?» egli si fece stranamente rosso; e — cosa curiosa abbastanza — il contagio si attaccò a Lucy, che arrossì anch’ella. C’era anche a volte un non so che di formale e di cerimonioso nel suo modo di parlare a Lucy, quasi di persona che brami rifare indietro que’ passi, a’ quali, coll’ajuto e la spinta delle circostanze, era stato condotto a quella gentil famigliarità esistente fra lui e miss Davenne. Ma Lucy non voleva sottomettersi a queste manovre. Ella prendeva, come suol dirsi, il bue per le corna, e coll’audacia di un fanciullo malavvezzo, esclamava in tali occasioni: — «Che vi ho fatto, che parete oggi così freddo e distratto? Volete mostrarmi ora che sto bene perfettamente, che non vi curate punto di me — che vi sono divenuta un peso?» e altre simili rimostranze. Nè era possibile resistere all’incanto della sua voce o de’ sentimenti onde erano ispirate tali parole. La conclusione si era che ogni tentativo a mettersi in contegno, se pure questa intenzione era in Antonio, terminava col creargli in cuore sentimenti e premure per lei più amichevoli.
 
I sintomi mostrati dal nostro Dottore erano tali da dar segno di qualche intimo combattimento, combattimento intorno alla cui definita natura, come intorno al cui oggetto, ci spiace di non poter essere espliciti quanto pur vorremmo: — su di ciò anzi non possiamo offrire che semplici
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congetture. Un cuore umano è una matassa di fili impercettibili, e così sottilmente intricati, che anche il proprietario non sa spesso come si fare per dipanarla, e probabilmente questo era il caso di Antonio. Che un uomo della sua discrezione, delle sue temperate abitudini di animo; e di più, apprezzatore di fatti quale lo abbiamo conosciuto; volente e cosciente si desse a fabbricar da temerario castelli in aria, è un’ipotesi che non possiamo neppur per un istante ammettere. Che la fantasia — quella fata insidiosa — non lo possa avere anche sorpreso inavvertito, e non abbia su di lui esercitato qualche incantesimo, noi non lo giureremmo. Antonio era, alla fin de’ conti un uomo, e sofferente, a quel che pareva, di una malattia comune all’umanità; la quale, a quel che si dice, attacca gli organi della visione mentale. Inoltre ci son ore nella vita — e fra le altre denunciamo quella traditrice del crepuscolo — in cui la mente meglio costituita non è al sicuro contro l’incanto della immaginazione amorosa, e in cui le cose più impossibili, non solo pajon possibili, ma anche agevoli. Quando cessato una volta il parossismo, un uomo fa il meglio che può per ajutar la ragione a riprendere il suo dominio, ha fatto tutto ciò che, a nostro giudizio, potevasi ragionevolmente aspettare da lui. E chi può dire che non fossero que’ momenti pensierosi e taciturni di Antonio, la intima operazione di una mente occupata a sbandire da sè gl’ingannevoli fantasmi evocati dalla fantasia in un’ora malaugurata? Ma è tempo che riprendiamo il racconto.
 
— «Conoscete lord Carnifex?» domanda una sera Antonio a sir John, essendosi miss Davenne già ritirata nella sua camera. La domanda fu fatta con aria presumente a disinvoltura, che si vedeva bensì affettata.
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— «Ho letto nel vostro giornale di stasera un paragrafo intorno a lui e alla sua figlia più giovane. Eccolo,» continuò prendendo il giornale da un tavolino dietro a lui, e porgendolo a sir John, che lesse forte:
 
«''Romanzo nell’alta società''. — Trattenemmo i nostri lettori, poco tempo fa, di una sciocca scena avvenuta in Firenze, nella quale miss Francesca Carnifex, figlia minore del nobile lord di questo nome, e un giovine pittore romano, rappresentarono le parti principali. La scena da noi raccontata si protrasse alla lunghezza di una commedia in due atti; e proprio come Madonna Spasimante avrebbe
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voluto, ci è stato alla fine una fuga. La cosa è adesso pubblicamente nota; però non esitiamo a farne conoscere con esattezza anche i nomi. Secondo il nostro corrispondente, l’eroe Marini, un bel giovinotto di ventidue anni appena, appartiene a una rispettabile famiglia del mezzo ceto, ed è riputato un artista di buone speranze. Pare che essendo maestro di disegno di miss Francesca, si prevalesse di quell’opportunità per guadagnarsi l’affetto della sua allieva.»
 
— «Mariolo impudente!!» interruppe fra parentesi sir John.
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— «Michelangelo e Raffaello vivevano anch’essi sui loro pennelli e sul loro ingegno,» replica Antonio cominciando a riscaldarsi.
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— «Me ne rallegro con essi,» risponde l’Inglese; «con tutto ciò non avrei data mia figlia a nessun di loro.»
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Antonio accettò di giuocare, e si assisero ambedue al tavolino; ma sir John era tanto distratto che il suo avversario dovette darsi ogni pena immaginabile per farlo vincere. Era quasi mezzanotte quando il Dottore uscì dalla porticina del giardino. Invece di volgere a dritta e prendere la strada maestra di Bordighera, egli si avviò a sinistra, giù pel sentiero che conduceva alla marina, e cominciò a passeggiare su e giù per la spiaggia. I suoi passi, benchè più lenti del solito, non davano segno d’animo agitato; e neppure il suo aspetto, che, illuminato dalla pallida luce della luna, aveva un’espressione calma e solenne. Egli passeggiò così un buon tratto di tempo, e poi si distese sulla riva colla faccia rivolta al cielo. La prima luce dell’alba lo ritrovò nella stessa positura. Allora si alzò, e quasi esprimendo il risultato della sua lunga meditazione, disse forte: — «E che importa, infin de’ conti, che un uomo sia felice o infelice, purchè conosca il suo dovere e lo segua? Sicchè ormai: ''Viva l’Italia!'' il mio primo ed ultimo amore,» E rifece la strada di casa.
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Da quel giorno in poi sparì ogni accesso di malumore e di taciturnità; e tornò pieno ed uguale, come quando ne facemmo la prima conoscenza, il corso tranquillo di quel buon senso sereno, e di quel buon umore, onde erano tanto incantevoli i modi dell’Italiano. Che forse quella notte di solenni pensieri aveva vinta l’interna pugna? o aveva solo somministrato al combattente forze bastanti a dirigere e reprimere le esterne manifestazioni? E nella solitudine della sua dimora, Antonio era padrone di sè, composto e lieto, come quando era nell’osteria in presenza di Lucy? Lasciamo questo segreto fra quella buona Creatura e il suo Creatore.