Il dottor Antonio/XII: differenze tra le versioni

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<center>CAPITOLO XII.</center>
 
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— «Guardate che bel tappeto ha disteso per voi la Natura!» disse Antonio pochi giorni dopo, conducendo per mano miss Davenne in giardino. La notte era stata ventilata, e per terra eravi un denso strato argenteo di fiori di arancio e di limone; dal quale usciva forte spiccata una profusione di papaveri campestri di un rosso
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vivo. «Ne serberete uno per me, quando verrò a Davenne?»
 
— «Non così ricco e rilucente,» rispose Lucy; «pure,» continuò con un po’ di fierezza, «troverete a Davenne in ogni stagione quello che può sol produrre il mio paese — vero prato inglese, verde com’è sol esso, e soffice come velluto.»
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— «Temo di sì,» rispose Lucy con un sospiro che non avrebbe potuto contenere.
 
La coppia si mosse in silenzio. Era un piacere a vederli passeggiare adagio adagio — egli misurando i suoi passi su quelli di lei, e sostenendola con una cura gentile; ella appoggiandosi al braccio di lui, fiduciosa e compiacente. Ambidue giovani eleganti e graziosi — ambidue conformati a quello stampo di distinzione che caratterizza le nature elevate; eppure con tanta comunità di doti, quanta differenza di tipo! Lucy tutta soavità di auree tinte. Antonio tutta forza di scure ombre; — il di lei capo angelico chinato graziosamente in avanti, quasi in cerca di luogo ove posarsi; e il capo di lui con tanta risolutezza inquadrato sulle spalle; i di lei passi sì leggieri e fanciulleschi;
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quei di lui sì virili e fermi, quasi ad ogni mossa, a nome di qualche ignota potenza, egli prendesse possesso di ogni palmo del terreno sul quale passeggiava. Tanto contrasto e tanta armonia ad un tempo — forza e debolezza congiunte insieme! Ogni tratto caratteristico dell’una spiccandosi a maggior vantaggio e risalto di quel dell’altro — il fiero carbonchio riflettente luce sulla perla orientale, e la perla orientale ridondante di ricambio soavità al carbonchio.
 
Mentre ora il dottor Antonio e miss Davenne, non ostante i sospiri e le malinconiche riflessioni, godevansi insieme la prima passeggiata mattutina; essi arrecavano una pena reale ad un testimone impreveduto di quel loro ''tête a-tête''. Battista, naturalmente stava tutti i giorni e tutto il giorno all’osteria, passando la maggior parte del tempo in giardino ove soleva fumar la sua pipa: cercando con delicati modi di tener dietro colla coda dell’occhio a miss Davenne, probabilmente a fine di accertar i suoi dubbii intorno a lei. Essendosi però lamentato sir John dell’ingrato odor di tabacco che infestava i suoi appartamenti, Battista aveva rinunziato alla pipa, ma non alle osservazioni continuate con molta perseveranza, confortandosi con masticare l’odorosa foglia. Lucy non essendosi avventurata mai prima d’ora fuor di casa, la presenza di lei in prossimità del sito d’onde la solea guardare Battista, giunse affatto inaspettata per l’amante di Speranza. Si affrettò pertanto confuso a portarsi lontano dalla signorina e dal suo compagno, quanto i limiti del picciol chiuso gli permettevano: sperava potersela svignare, appena essi si fossero rivoltati verso la casa. Ma invece di rivoltarsi, essi continuarono la passeggiata direttamente verso di lui; tagliandogli così la progettata ritirata per la porta del giardino, nè lasciandogli altra alternativa che di passar loro di fronte a fronte, il che non voleva fare, o di nascondersi ignobilmente come fece dietro il tronco di alcuni alberi. L’acuto sguardo del Dottore non tardò molto a scoprirlo.
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— «No, grazie, non ancora; vorrei piuttosto passeggiare un po’ più a lungo:» e seguitarono a passeggiare, rimanendo Lucy tuttavia distratta.
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— «Supponete,» diss’ella a un tratto, «che veniste a Londra e vi ci stabiliste.»
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Antonio fece pausa; ma siccome Lucy stava zitta continuò:
 
— «Una bella abitazione? — Ma mi trovo alloggiato come un principe nella mia casuccia a Bordighera, più grande, davvero, di quel che mi abbisogni; la quale per il sito e la veduta che ci si gode, vince molti castelli aristocratici. Certo io non ho tappeti di velluto, nè doppie porte imbottite di panno verde. A che servirebbero cose siffatte in questo clima geniale, ove gl’inverni sono sì miti e sì corti, che credo di avere appena una volta acceso il fuoco? Una ricca tavola? — ma la mia è una tavola da epicureo; qui non occorre essere un capitalista; non occorrono stufe per avere il lusso della tavola a propria disposizione. Equipaggio e cavalli? — non ho forse il calessino e la mia piccola rozza? E poi non mi piace il cavalcare e guidare; e non mi sento mai tanto felice, come
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quando faccio a piedi una buona passeggiata, col soave profumo di questa sana brezza marina. Tutto considerato,» proseguì l’Italiano, come se il suo discorso avesse dovuto di già convincere la paziente ascoltatrice, «vedete che una fortuna non potrebbe aggiunger nulla a’ miei veri comodi.»
 
Quando fe’ posa, fu colpito dalla pallidezza che era succeduta al vivido rossore delle gote di Lucy. — «Voi siete stanchissima,» le disse; «rientriamo, rientriamo.»
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— «Chieggo perdono,» ritorse rapidamente il Dottore; «io ho un’ambizione, e grande davvero, quella di servir la mia patria, e di far quanto io possa per essa.»
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«E quale probabilità di far maggior bene alla vostra patria, qui, nella vostra condizione, o stando in Londra?»
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— «Dovete compatire — i miei pregiudizii, suppongo,» disse Lucy. «Ho sentito tante accuse fatte al carattere degli Italiani, non solo da papà, ma da molti altri miei concittadini; — ho sentito tante cose contro il partito liberale in Italia, specialmente quando stavamo a Roma, che....» Lucy esitò.
 
— «Che vi sentite piuttosto inclinata a crederli dalla parte del torto,» disse Antonio terminando la frase da lei incominciata. «Non me ne maraviglio, nè mi maraviglio dell’opinione che avete sentito esprimere da Inglesi sull’argomento. La simpatia del forte e del potente è rare volte per il debole e per l’oppresso. Vi ricordate quanto fossero ingegnosi gli amici di Giob, in provargli che era colpa sua se giaceva coperto di lebbra sul letamajo? Tale è la comune tendenza dell’egoismo degli uomini in faccia a chi soffre: affine di dispensarsi dalla compassione e dal soccorrerli. Che il nostro carattere nazionale possa dar luogo ad obbiezioni (e ditemi, vi prego, qual popolo non vi è esposto?), che spiriti faccendieri, anzi maligni ed egoisti, possano trovarsi nel partito nazionale — e dove non se ne trovano? — lo posso concedere. Lungi da me l’idea di mostrare la mia patria un modello di perfezione. Gli Italiani sono uomini come gli altri, colla lor parte di grandezza e di debolezza umana. Girate lo sguardo per il mondo, studiate la storia dell’umanità, e quale lezione ci imparerete? — lezione di perdono e di indulgenza scambievole. «Ma,» proseguì con calore crescente: «credetemi, miss Davenne, quando io dico, e son pronto a proclamarlo altamente e a sigillarlo, se occorre, col sangue, che l’Italia è un nobile paese, molto oppresso e molto maltrattato; e che la sua causa è santa, quanto santa può essere per verità e
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per giustizia alcuna altra causa. Scusate se mi riscaldo,» proseguì Antonio tornando al suo usato modo tranquillo; «ma se conosceste la centesima parte della devozione e dei sacrifizii personali fatti per questa terra fatale; senza altra accoglienza dal mondo fuorchè indifferente scherno; provereste, ne son certo, simpatia per le mie opinioni.»
 
Una lagrima spuntò sugli occhi di Lucy, mentre rispose: — «Ma le vostre opinioni mi sono di già simpatiche. Però desidererei ardentemente esser da voi informata appieno delle cose della vostra patria.»
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«Sì, voglio spargere e distribuire queste copie per tutta la Riviera; e far fischiare questo nobile conte per le piazze e per le vie; lo voglio marchiare, e trasmettere alla posterità da quell’impudente impostore ch’è.»
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Fatta questa appassionata dichiarazione, l’irritato ometto si fermò per pigliar fiato, raccolse il cappello, e con una mutazione di aspetto e di gesti affatto drammatica, disse con galanteria a miss Davenne:
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Quando tutti si furon seduti, Antonio cominciò:
 
— «Come vi ho detto già più di una volta, la chiesa parrocchiale, i suoi ornamenti, lo splendore delle cerimonie di chiesa e delle processioni, sono il grande affare, e propriamente l’unica occupazione pubblica, accessibile ai
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laici in questo paese. La chiesa parrocchiale, co’ suoi sagristani, coristi e ufficiali di ogni sorta, è tuttavia il solo campo all’attività di un ristretto numero di persone. Per rimediare a questo inconveniente, sono sorte sotto le ali della parrocchiale autorità, Confraternite di varii colori: l’occupazione delle quali consiste nel riunirsi in un locale di culto loro proprio, e pregare in comune e seppellire i loro morti; e ora sotto un pretesto, ora sotto un altro, far di sè mostra, nelle processioni. Qui, come in ogni altro paese della Riviera, vi sono Confraternite dei Rossi, dei Bianchi e dei Neri, così chiamate dal colore delle cappe dei Confratelli. Ciascuna di esse Società, naturalmente non troppo amiche fra loro, ha un numeroso stato maggiore di dignitari o funzionari — un priore, un sottopriore, una prioressa, una sottoprioressa; un capitolo, o un corpo di consiglieri, coristi, crociferi, portastendardi, mazzieri, portalampioni, e così via dicendo: l’annua elezione de’ quali, specialmente del ''priore'' e ''sottopriore'' e del Capitolo, mette i fratelli in gran faccenda. Così, come vedete, ognuna di quelle società diviene un piccolo centro di grette ambizioni, rivalità, intrighi e pettegolezzi. Qual maraviglia, se nello stato di piena ignoranza, in cui la maggior parte son tenuti e che li rende incapaci di godimenti e di occupazioni intellettuali; — se, esclusi come sono da ogni partecipazione, fin dal maneggio degli affari parrocchiali o di ogni cosa relativa agli interessi locali, i quali in Inghilterra sono affidati alle Corporazioni; — quale maraviglia, dico io, se in mancanza di occupazioni necessarie all’uomo come l’aria che respira, questa buona gente si lasci andare a tali futili e puerili faccenduole?
 
— «Ah!» interruppe sir John in aria di persona intendente; «un assoluto governo può far molto di quel che voi desiderate, dottor Antonio. Mutate una cosa, e tutto il resto vi cadrà sulla testa. Alla fin fine non vorrete dire che i varii paesi non si eleggano i loro Consiglieri municipali, nel cui numero, credo, è poi scelto il Sindaco.
 
— «Eleggersi i loro Consiglieri municipali!» esclamò il dottor Antonio, «nemmeno per sogno. Un cane arrabbiato non ha maggior terrore dell’acqua, di quello che abbia il nostro Governo del principio elettivo. Le istituzioni municipali sono una lettera morta da noi — un corpo senz’anima, un mero scherno. Volete sapere chi elegge il Sindaco e i Consiglieri municipali? Il Sindaco precedente (che è necessariamente una creatura del Governo, altrimenti non sarebbe mai stato Sindaco), il Curato e l’Uffiziale dei Carabinieri. Questi tre fanno una lista, che si presenta al
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Comandante per l’approvazione e la revisione. Il Comandante, rivistala debitamente e approvatala, la spedisce all’Intendente (il primo magistrato civile della provincia), che alla sua volta la manda a Torino, ove riceve la conferma ufficiale. Quanto alla vostra osservazione,» continuò Antonio rivolgendosi a sir John, «che quello di cui mi lamento è conseguenza inevitabile di un Governo assoluto; posso domandarvi, perchè mai quella particolar forma di governo, che evidentemente cammina male, abbia a trovar difensori e sostenitori fra coloro che non ci si vorrebbero sottomettere nella lor patria?»
 
Sir John contrasse in modo significante le labbra, ma tacque.