Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXXIII: differenze tra le versioni

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''Narsete rimanda i Langobardi. Verona indarno assediata da Valeriano. — Elezione di Teia a re de' Gotti. Narni, Spoleto e Perugia occupati dagli imperiali. -^ Questi assalgono le mura di Roma e rendonsene agevolmente padroni.''
 
I. Narsete lieto dei riportati vantaggi riferivali di continuo ai Nume, siccome vero autore, a non dubiarne, del tutto, e provvedeva con sollecitudine ad ogni bisogno. Fu dunque prima sua cura di risarcire a prezzo i danni arrecati dall'indegna licenza dei Langobardi condotti seco, i quali per non dire delle altre sozzissime sceleraggini perpetrate, incendiavan le case a cui avvenivansi ed oltraggiavaaooltraggiavano le femmine riparate ne' sacri templi. Di più accomiatata lor turba con larghissimo danaro la rimandò in patria, commettendo a Valeriano ed a suo aipote Damiano di scortaria insino alle frontiere del romano impero, acciocché lungo il cammino la raffredasse da guasti e ribalderie. Valeriano, fattala valicare il confine, si pose a campo vicino alla città di Verona, sperando coll'assedio venirne al possesso. A tale comparsa il presidio la entro pigliato da forte spavento diputò oratori al duce per capitolare; se non che i Franchi a stanza nell'agro veneto avutane contezza efficacemente vi si opposero, e dichiaratisi padroni di queilaquella regione obbiigaronoobbligarono Valeriano, fallitogli il proposito, a rimoverne sua oste.
''Narsete rimanda i Langobardi. Verona indarno assediata da Valeriano. — Elezione di Teia a re de' Gotti. Narni, Spoleto e Perugia occupati dagli imperiali. -^ Questi assalgono le mura di Roma e rendonsene agevolmente padroni.''
 
II. I Gotti campati dalla battaglia occuparono, tragittato il Po, Ticino città ed i luoghi circonstanti ove si elessero a re Teia, il quale rinvenendo in quelle mura tutto il tesoro messovi in serbo da Totila deliberò aescare con danaro i Franchi ad una confederazione seco. Chiamati inoltre da ogni banda i Gotti li mise in punto ed esercitò, giusta l'opportunità del tempo e delle circostanze, al maneggio delle armi. Narsete, uditone, comandò a Valeriano di tenere in accuratissima guardia il fiume, onde togliere al nemico l'agio di ripassarlo, ed egli col rimanente esercito pigliò la via di Roma. Giunto poi nella Tuscia s'ebbe Narni a patti, e nella cittacittà di Spoleto, tuttavia aperta, lasciò un presidio coll'ordine di riedificarne prontamente il muro dove atterrato aveanlo i Gotti. A simile fece tentare la perugina guernigione capitanata da Meligedio ed Ulifo, romani disertori. L'ultimo, instigato con grandi promesse da Totila, ucciso avea proditoriamente Cipriano, di cui era lancia, in allora governatore del presidio. Meligedio, assentendo a Narsete, deliberò co' suoi di cedergli la città, se non che appalesatasi la trama Ulifo coi propri militi alla scoperta congiunrogli contro, ma spentolo in fine con quanti seguivanne le parti, accolse in Perugia le truppe romane. Del rimanente qui pure ai fé manifesta la divina vendetta, la quale punì Ulifo stesso laddove egli avea da prima spento Cipriano. Di tal modo procedevano le cose in que'luoghi.
I. Narsete lieto dei riportati vantaggi riferivali di continuo ai Nume, siccome vero autore, a non dubiarne, del tutto, e provvedeva con sollecitudine ad ogni bisogno. Fu dunque prima sua cura di risarcire a prezzo i danni arrecati dall'indegna licenza dei Langobardi condotti seco, i quali per non dire delle altre sozzissime sceleraggini perpetrate, incendiavan le case a cui avvenivansi ed oltraggiavaao le femmine riparate ne' sacri templi. Di più accomiatata lor turba con larghissimo danaro la rimandò in patria, commettendo a Valeriano ed a suo aipote Damiano di scortaria insino alle frontiere del romano impero, acciocché lungo il cammino la raffredasse da guasti e ribalderie. Valeriano, fattala valicare il confine, si pose a campo vicino alla città di Verona, sperando coll'assedio venirne al possesso. A tale comparsa il presidio la entro pigliato da forte spavento diputò oratori al duce per capitolare; se non che i Franchi a stanza nell'agro veneto avutane contezza efficacemente vi si opposero, e dichiaratisi padroni di queila regione obbiigarono Valeriano, fallitogli il proposito, a rimoverne sua oste.
 
III. I Gotti entro Roma alla notizia che Narsete coll'esercito movea a quella volta ed era vicino alle mura prepararonsi ad incontrarlo con tutte le truppe. Totila in altri tempi, dati alle fiamme, non appena ebbene il possesso, molti romani edifizj e poscia seco stesso pensando che i suoi ridotti a pochi non sarebbero stati sufficienti a difendere ovunque cosi vasta circonferenza, fasciato avea di bassa muraglia una piccola parte de' fabbricati intorno aliaalla mole Adriana formandone, unita alle vecchie mura, quasi direi un castello, ed i Gotti depostevi le suppellettili credute di altissimo pregio erano diligentissimi nel guardarlo, curantisi poco del resto; a que' di poi con peggior consiglio, fidato il fortilizio a scarso numero di guardie, l'ardire spinto avea l'intero presidio ai merli per combattervi gli assalitori. Ma opponendosi alla divisata impresa la vastità del luogo, maggiore di quanto si voleva per essere onninamente accerchiato dal nemico e difeso dai Gotti, quello ora qua ora là appiccava l'attacco, e questi accorrendovi ributtavanlo. Narsete con fortissima schiera di arcadori movea ad investire una parte del muro, contro un'altra pugnava Giovanni nipote di Valeriano co'suoi militi, Filimut cogiicogli Eruli assalivane una terza e così gli altri tutti a grandi intervalli, ed in ragione della costoro distanza compartivasi la guernigione; là dove poi non vedevi uom de' Romani erano i merli affatto spogli di guardia, accorso l'intero presidio, come diceva, alla difesa dei siti vie più minacciati. Dagisteo intrattanto per ordine del supremo duce, portando seco gran forza di armati, i vessilli di Narsete e di Giovanni, e quantità di scale, andò all'improvviso ad assaltare una desertissima parte del muro, e salitolo di netto sensasenza opposizione al mondo si calò a bell'agio co' suoi nella città, spalancandovi incontamente le porte. I Gotti aliaalla comparsa del nemico in Roma deposto ogni pensiero di resistenza voltano in precipitosa fuga, chi riparando nel castello, e chi battendo la via di Porto. Ora io nel raccontare di tali mutasioni vado intra me riflettendo come la fortuna pigliandosi giuoco delle umane cose mai tenga dietro ai mortali con equabil moto, né riguardisi sempre ad una guisa, ma ben diversamente in conformità dei tempi e de'luoghi, secondo i quali e le circostanze mostrasi tanto ghiribizzosa con essi da mutarne affatto la condizione, e valgaci a pruova Bessa, il quale avendo perduto ignominiosamente Roma giunse non guari dopo nella Lazica a riporre soltosotto l'imperial dominio Petra; Dagisteo che abbandonata questa città al momento di occuparla fa quindi il primo a liberare la stessa Roma dai Gotti aprendone le porte agli assediatori. Ma di tali vicende corsero tutte le età del mondo, né cesseranno mai infino a tanto cbeche la volubil Dea signoreggerà i mortali. Narsete allora coll'esercito si avvicinò al castello, e con promessa di mandarne salvo o della vita il presidio ebbelo incontanente, ricorrendo l'anno vigesimo sesto dell'imperio di Giustiniano. Cosi Roma tornò per la sesta volta sotto il dominio di questo principe, il quale di subito ne ricevé le chiavi speditegli dal supremo duce.
II. I Gotti campati dalla battaglia occuparono, tragittato il Po, Ticino città ed i luoghi circonstanti ove si elessero a re Teia, il quale rinvenendo in quelle mura tutto il tesoro messovi in serbo da Totila deliberò aescare con danaro i Franchi ad una confederazione seco. Chiamati inoltre da ogni banda i Gotti li mise in punto ed esercitò, giusta l'opportunità del tempo e delle circostanze, al maneggio delle armi. Narsete, uditone, comandò a Valeriano di tenere in accuratissima guardia il fiume, onde togliere al nemico l'agio di ripassarlo, ed egli col rimanente esercito pigliò la via di Roma. Giunto poi nella Tuscia s'ebbe Narni a patti, e nella citta di Spoleto, tuttavia aperta, lasciò un presidio coll'ordine di riedificarne prontamente il muro dove atterrato aveanlo i Gotti. A simile fece tentare la perugina guernigione capitanata da Meligedio ed Ulifo, romani disertori. L'ultimo, instigato con grandi promesse da Totila, ucciso avea proditoriamente Cipriano, di cui era lancia, in allora governatore del presidio. Meligedio, assentendo a Narsete, deliberò co' suoi di cedergli la città, se non che appalesatasi la trama Ulifo coi propri militi alla scoperta congiunrogli contro, ma spentolo in fine con quanti seguivanne le parti, accolse in Perugia le truppe romane. Del rimanente qui pure ai fé manifesta la divina vendetta, la quale punì Ulifo stesso laddove egli avea da prima spento Cipriano. Di tal modo procedevano le cose in que'luoghi.
 
III. I Gotti entro Roma alla notizia che Narsete coll'esercito movea a quella volta ed era vicino alle mura prepararonsi ad incontrarlo con tutte le truppe. Totila in altri tempi, dati alle fiamme, non appena ebbene il possesso, molti romani edifizj e poscia seco stesso pensando che i suoi ridotti a pochi non sarebbero stati sufficienti a difendere ovunque cosi vasta circonferenza, fasciato avea di bassa muraglia una piccola parte de' fabbricati intorno alia mole Adriana formandone, unita alle vecchie mura, quasi direi un castello, ed i Gotti depostevi le suppellettili credute di altissimo pregio erano diligentissimi nel guardarlo, curantisi poco del resto; a que' di poi con peggior consiglio, fidato il fortilizio a scarso numero di guardie, l'ardire spinto avea l'intero presidio ai merli per combattervi gli assalitori. Ma opponendosi alla divisata impresa la vastità del luogo, maggiore di quanto si voleva per essere onninamente accerchiato dal nemico e difeso dai Gotti, quello ora qua ora là appiccava l'attacco, e questi accorrendovi ributtavanlo. Narsete con fortissima schiera di arcadori movea ad investire una parte del muro, contro un'altra pugnava Giovanni nipote di Valeriano co'suoi militi, Filimut cogii Eruli assalivane una terza e così gli altri tutti a grandi intervalli, ed in ragione della costoro distanza compartivasi la guernigione; là dove poi non vedevi uom de' Romani erano i merli affatto spogli di guardia, accorso l'intero presidio, come diceva, alla difesa dei siti vie più minacciati. Dagisteo intrattanto per ordine del supremo duce, portando seco gran forza di armati, i vessilli di Narsete e di Giovanni, e quantità di scale, andò all'improvviso ad assaltare una desertissima parte del muro, e salitolo di netto sensa opposizione al mondo si calò a bell'agio co' suoi nella città, spalancandovi incontamente le porte. I Gotti alia comparsa del nemico in Roma deposto ogni pensiero di resistenza voltano in precipitosa fuga, chi riparando nel castello, e chi battendo la via di Porto. Ora io nel raccontare di tali mutasioni vado intra me riflettendo come la fortuna pigliandosi giuoco delle umane cose mai tenga dietro ai mortali con equabil moto, né riguardisi sempre ad una guisa, ma ben diversamente in conformità dei tempi e de'luoghi, secondo i quali e le circostanze mostrasi tanto ghiribizzosa con essi da mutarne affatto la condizione, e valgaci a pruova Bessa, il quale avendo perduto ignominiosamente Roma giunse non guari dopo nella Lazica a riporre solto l'imperial dominio Petra; Dagisteo che abbandonata questa città al momento di occuparla fa quindi il primo a liberare la stessa Roma dai Gotti aprendone le porte agli assediatori. Ma di tali vicende corsero tutte le età del mondo, né cesseranno mai infino a tanto cbe la volubil Dea signoreggerà i mortali. Narsete allora coll'esercito si avvicinò al castello, e con promessa di mandarne salvo o della vita il presidio ebbelo incontanente, ricorrendo l'anno vigesimo sesto dell'imperio di Giustiniano. Cosi Roma tornò per la sesta volta sotto il dominio di questo principe, il quale di subito ne ricevé le chiavi speditegli dal supremo duce.