Pagina:Canti (Leopardi - Donati).djvu/208: differenze tra le versioni

 
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eziandio nell’improprio, e quivi allegare il suddetto esempio. Al quale aggiungerò quello d’uno scrittore meno antico d’etá e molto piú ragguardevole d’ingegno e di letteratura che non fu quel buon frate, cioè del {{AutoreCitato|Poliziano}}, che sotto la persona d’Orfeo dice ai guardiani dell’inferno<ref>''Orfeo'', atto {{Sc|iv}}, v. i6, edizione dell’Affò, p. 45.</ref>: «Dunque m’aprite le ferrate porte». Non può voler dire che queste porte sieno «guarnite di ferro», come sono anche le piú triste porte di questo mondo, ma dee volere che sieno «di ferro», come si possono immaginare le porte di casa del diavolo, che non ha carestia di metalli, essendo posta sotterra, né anche di fuoco da fonderli, essendo come una fornace. Altrimenti quell’aggettivo nel detto luogo avrebbe del fiacco pur assai. Cosí quando {{AutoreCitato|Properzio}}<ref>Libro {{Sc|ii}}, elegia 20, v. 12.</ref> chiamò «ferrata» la casa di Danae, «ferratam Danaes domum», si può stimare che non avesse riguardo a’ saliscendi o a’ paletti delle porte né agli ingraticolati che potessero essere alle finestre, ma volesse intendere ch’ella fosse «di ferro», come {{AutoreCitato|Orazio}}<ref>Libro {{Sc|iii}}, ode 16, v. 1.</ref> la fece di bronzo, o d’altro metallo ch’ei volesse denotare con quell’«''ahenea''». E nello stesso Poliziano, poco avanti al predetto luogo<ref>Atto {{Sc|iii}}, v. 39, p. 42.</ref>, il «ferrato inferno» e «spieiato» o «inesorabile», e, se non fosse la traslazione, «ferreo». Di più troverai nel {{AutoreCitato|Chiabrera}}<ref>Canzone: «Era tolto di fasce Ercole appena», st. 7</ref> un «ferrato usbergo», il quale io mi figuro che sia «di ferro»; e nel {{AutoreCitato|Redi}}<ref>Sonetto: «Aperto aveva il parlamento Amore».</ref> «le ferrate porte» del palazzo d’Amore: se non che, dicendo il poeta che su queste porte ci stavano le guardie, mostra che dobbiamo intendere delle soglie; e però quell’aggiunto mi riesce molto male appropriato, che che si voglia significare in quanto a sé. Dato finalmente che gli arpioni, vale a dire i gangheri, delle porte e delle finestre, come anche le bandelle, cioè quelle spranghe che si conficcano nelle imposte, e per l’anello che hanno all’una delle estremitá, s’impernano negli arpioni, sieno fatte, e non foderate o fasciate, di ferro effettivo; resta che «ferrato» nel passo che segue, sia detto formalmente in luogo di «ferreo»; e non di «ferreo» traslato, ma del proprio e naturale quanto sarebbe se {{Pt|dices-|}}
eziandio nell’improprio, e quivi allegare il suddetto esempio. Al quale aggiungerò quello d’uno scrittore meno antico d’etá e molto piú ragguardevole d’ingegno e di letteratura che non fu quel buon frate, cioè del {{AutoreCitato|Angelo Poliziano|Poliziano}}, che sotto la persona d’Orfeo dice ai guardiani dell’inferno<ref>''Orfeo'', atto {{Sc|iv}}, v. i6, edizione dell’Affò, p. 45.</ref>: «Dunque m’aprite le ferrate porte». Non può voler dire che queste porte sieno «guarnite di ferro», come sono anche le piú triste porte di questo mondo, ma dee volere che sieno «di ferro», come si possono immaginare le porte di casa del diavolo, che non ha carestia di metalli, essendo posta sotterra, né anche di fuoco da fonderli, essendo come una fornace. Altrimenti quell’aggettivo nel detto luogo avrebbe del fiacco pur assai. Cosí quando {{AutoreCitato|Sesto Properzio|Properzio}}<ref>Libro {{Sc|ii}}, elegia 20, v. 12.</ref> chiamò «ferrata» la casa di Danae, «ferratam Danaes domum», si può stimare che non avesse riguardo a’ saliscendi o a’ paletti delle porte né agli ingraticolati che potessero essere alle finestre, ma volesse intendere ch’ella fosse «di ferro», come {{AutoreCitato|Quinto Orazio Flacco|Orazio}}<ref>Libro {{Sc|iii}}, ode 16, v. 1.</ref> la fece di bronzo, o d’altro metallo ch’ei volesse denotare con quell’«''ahenea''». E nello stesso Poliziano, poco avanti al predetto luogo<ref>Atto {{Sc|iii}}, v. 39, p. 42.</ref>, il «ferrato inferno» e «spieiato» o «inesorabile», e, se non fosse la traslazione, «ferreo». Di più troverai nel {{AutoreCitato|Gabriello Chiabrera|Chiabrera}}<ref>Canzone: «Era tolto di fasce Ercole appena», st. 7</ref> un «ferrato usbergo», il quale io mi figuro che sia «di ferro»; e nel {{AutoreCitato|Francesco Redi|Redi}}<ref>Sonetto: «Aperto aveva il parlamento Amore».</ref> «le ferrate porte» del palazzo d’Amore: se non che, dicendo il poeta che su queste porte ci stavano le guardie, mostra che dobbiamo intendere delle soglie; e però quell’aggiunto mi riesce molto male appropriato, che che si voglia significare in quanto a sé. Dato finalmente che gli arpioni, vale a dire i gangheri, delle porte e delle finestre, come anche le bandelle, cioè quelle spranghe che si conficcano nelle imposte, e per l’anello che hanno all’una delle estremitá, s’impernano negli arpioni, sieno fatte, e non foderate o fasciate, di ferro effettivo; resta che «ferrato» nel passo che segue, sia detto formalmente in luogo di «ferreo»; e non di «ferreo» traslato, ma del proprio e naturale quanto sarebbe se {{Pt|dices-|}}