Pagina:Canti (Leopardi - Donati).djvu/192: differenze tra le versioni

 
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voce di quel secolo della nostra lingua ch’essi chiamano il buono e l’aureo. Leggano l’antico volgarizzamento del primo trattato di san {{AutoreCitato|Giovanni Crisostomo|Giovanni Grisostomo}} ''Sopra la compunzione'' a capitoli otto<ref>Roma, 1827, p. 22</ref>: «Ora veggiamo quello che séguita detto da Cristo; se forse in alcuno luogo o in alcuna cosa io trovassi sollazzo, o rimedio di tanta confusione». E ivi a due versi: «Oimè, credevami trovare sollazzo della mia confusione, e io trovo accrescimento». Cosí a capitoli undici<ref>Pag. 33.</ref>: «Tutta la pena che pativa [san Paolo], piuttosto riputava sollazzo d’amore, che dolore di corpo». E nel capo susseguente<ref>Pag. 35.</ref>: «Onde ne parlano spesso, acciocché almeno per lo molto parlare di quello che amano, si scialino un poco e trovino sollazzo e refrigerio del fervente amore c’hanno dentro». L’antica versione latina in tutti questi luoghi ha «''solatium''», o «''solatia''». Veggano eziandio nello stesso ''Vocabolario della Crusca'', sotto la voce «spiraglio», un esempio simile ai soprascritti, il qual esempio è cavato dal volgarizzamento di non so che altro libro del medesimo san Grisostomo. E di più veggano, s’hanno voglia, nell’''{{TestoCitato|L'asino d'oro|Asino d’oro}}'' del {{AutoreCitato|Agnolo Firenzuola|Firenzuola}}<ref>Libro {{Sc|vi}} (Milano, 1819, p. 185.)</ref> come «le lagrime» sono «ultimo sollazzo delle miserie de’ mortali». Anzi è costume dello scrittore nella detta opera<ref>Libro {{Sc|ii}}, p. 61; libro {{Sc|iii}}, p. 75; libro {{Sc|iv}}, p. 103, libro {{Sc|v}}, pp. 148 e 169.</ref> di prendere la voce «sollazzo» in significato di «sollievo», «consolazione», «conforto», ad esempio di quei del Trecento, come anche fece il {{AutoreCitato|Bembo}}<ref>''Lettere'', vol. {{Sc|iv}}, parte {{Sc|ii}}, (''Opere'' del {{Sc|Bembo}}, Venezia, 1729, t. {{Sc|iii}}, p. 310).</ref> nel passo che segue: «Messer Carlo, mio solo e caro fratello, unico sostegno e sollazzo della mia vita, se n’è al cielo ito».
voce di quel secolo della nostra lingua ch’essi chiamano il buono e l’aureo. Leggano l’antico volgarizzamento del primo trattato di san {{AutoreCitato|Giovanni Crisostomo|Giovanni Grisostomo}} ''Sopra la compunzione'' a capitoli otto<ref>Roma, 1827, p. 22</ref>: «Ora veggiamo quello che séguita detto da Cristo; se forse in alcuno luogo o in alcuna cosa io trovassi sollazzo, o rimedio di tanta confusione». E ivi a due versi: «Oimè, credevami trovare sollazzo della mia confusione, e io trovo accrescimento». Cosí a capitoli undici<ref>Pag. 33.</ref>: «Tutta la pena che pativa [san Paolo], piuttosto riputava sollazzo d’amore, che dolore di corpo». E nel capo susseguente<ref>Pag. 35.</ref>: «Onde ne parlano spesso, acciocché almeno per lo molto parlare di quello che amano, si scialino un poco e trovino sollazzo e refrigerio del fervente amore c’hanno dentro». L’antica versione latina in tutti questi luoghi ha «''solatium''», o «''solatia''». Veggano eziandio nello stesso ''Vocabolario della Crusca'', sotto la voce «spiraglio», un esempio simile ai soprascritti, il qual esempio è cavato dal volgarizzamento di non so che altro libro del medesimo san Grisostomo. E di più veggano, s’hanno voglia, nell’''{{TestoCitato|L'asino d'oro|Asino d’oro}}'' del {{AutoreCitato|Agnolo Firenzuola|Firenzuola}}<ref>Libro {{Sc|vi}} (Milano, 1819, p. 185.)</ref> come «le lagrime» sono «ultimo sollazzo delle miserie de’ mortali». Anzi è costume dello scrittore nella detta opera<ref>Libro {{Sc|ii}}, p. 61; libro {{Sc|iii}}, p. 75; libro {{Sc|iv}}, p. 103, libro {{Sc|v}}, pp. 148 e 169.</ref> di prendere la voce «sollazzo» in significato di «sollievo», «consolazione», «conforto», ad esempio di quei del Trecento, come anche fece il {{AutoreCitato|Pietro Bembo|Bembo}}<ref>''Lettere'', vol. {{Sc|iv}}, parte {{Sc|ii}}, (''Opere'' del {{Sc|Bembo}}, Venezia, 1729, t. {{Sc|iii}}, p. 310).</ref> nel passo che segue: «Messer Carlo, mio solo e caro fratello, unico sostegno e sollazzo della mia vita, se n’è al cielo ito».