Sulla lingua italiana. Discorsi sei/Discorso terzo: differenze tra le versioni

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Non poca parte della gran fama che sopravvisse sulla tomba di Guido derivò senza dubbio dalla sua amicizia con Dante, e dalla menzione che questo poeta ne fa con amore insieme e riverenza. Pur vi cospirarono alcune altre di quelle cagioni, che assegnano talvolta agli uomini una celebrità non corrispondente alla loro vita. La famiglia di Guido, vero o falso che fosse, traeva l’origine da guerrieri venuti in Italia quando Carlo Magno ne cacciò i re longobardi. Era capo di fazione, fiero d’animo e imperterrito ad affrontare i suoi nemici con l’armi<ref>Dino Compagni, Cronica, lib. I, pag. 19, ediz. 1728.</ref>. Era eloquentissimo nelle assemblee popolari. Suo padre, per le sue speculazioni metafisiche sopra i principj d’Aristotile, com’erano commentati dagli Arabi e tradotti in latino, aveva negato arditamente l’immortalità dell’anima<ref>Boccaccio, Decamerone, Giornata IV, Novella IX. - Dante, Inferno, canto X.</ref>; e fu creduto che Guido, sospingendo la filosofia più oltre che il padre suo, avesse studiato a provare che Dio non esisteva<ref>Boccaccio, Prose e Commento a Dante, pag. 335, edizione 1723.</ref>. In ogni tempo e paese, ma più assai in un secolo superstizioso e in una repubblica popolare, tutte queste cagioni riunite bastano ad attirare l’attenzione degli uomini, a farli parlare in bene o in male intorno ad un individuo, a scrivere d’esso il vero e non vero, a ridurre ogni cosa alla meraviglia e tramandare alla posterità un carattere più straordinario che forse realmente non era. Così, anche due secoli dopo la sua morte, Guido fu descritto ornato d’ogni grande qualità di cuore e di mente, e fin anche dell’esterno della bellezza, da molti suoi concittadini, ma più eloquentemente da Lorenzo de’ Medici<ref>Presso {{AutoreCitato|Apostolo Zeno}}, Note al {{AutoreCitato|Giusto Fontanini|Fontanini}}, vol. II, pag. 3; e il Cicciaporci, vedi il luogo estratto dell’elogio di Guido scritto da Lorenzo de’ Medici.</ref>; il quale trovò anch’esso storici insieme e panegiristi, superati tutti dal celebre Roscoe.
 
Se non si fosse smarrito il trattato che Guido Cavalcanti compose su la lingua italiana, avremmo oggi un documento attissimo a lasciarci stimare le sue facoltà intellettuali. Le sue teorie, qualunque si fossero, sarebbero ad ogni modo meno inutili alla letteratura che non furono e saranno mai le speculazioni teologiche, e peggio quelle che a lui sono attribuite. Tuttavia, l’accingersi a dar leggi e metodo e norme future a una lingua nascente, e in secolo di ignoranza universale, e prima che Dante scrivesse (perchè Guido nacque molti anni innanzi); certo l’accingersi e il solo pensare a siffatta impresa, basta a darci un’idea della facoltà della mente di Guido. Dante in seguito adempì ciò che l’amico suo non aveva forse che adombrato; ma dopo un intervallo di venti a venticinque anni, e allorchè la civiltà aveva fatti progressi rapidissimi. La nazione usciva dallo stato di barbarie, e gl’individui erano fieri di passioni, ardenti d’immaginazione, ambiziosi di gloria e non ancora ammolliti dal lusso a temere i pericoli, nè ammaestrati dall’esperienza a godere della realtà e a non andare dietro a illusioni. Quando Dante scrivea la Vita Nuova, Guido probabilmente aveva composto i suoi precetti grammaticali; e molti altri con minor genio, ma con eguale perseveranza, sorgevano autori nella loro lingua materna, e specialmente in Firenze. Il volume intitolato Documenti d’Amore di Francesco da Barberino fu scritto parte in prosa e parte in versi, appunto come la Vita Nuova, contemporaneamente, o prima di questa. I versi di Francesco sono meschini; ma il resto è pieno di grazie semplici, e d’amabilità di stile. Marco Polo aveva già viaggiato e poi guerreggiato per la sua patria; e, fatto prigioniero da’ Genovesi, componeva in prigione la storia de’ suoi viaggi. Le città, ch’erano già libere da un secolo e mezzo, cominciavano ad avere ciascuna d’esse i loro storici, molti de’ quali nel resto d’Italia scrivevano in latino, ma in Firenze si giovavano del loro dialetto; e contribuirono a ornare e diffondere la lingua letteraria, che poi divenne universale nella penisola. Tra questi Giovanni Villani preserva anche a dì nostri il doppio merito di storico veritiero e di elegante scrittore: però non concluderemo questo Discorso senza osservare i caratteri del suo stile. Il Villani era già in età d’intervenire nelle faccende pubbliche quando Dante fu esiliato, e l’uno e l’altro studiavano a scrivere le loro diverse opere quasi nel medesimo tempo.