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52 LEONE TOLSTOI clusioni sulla vanità del mondo, confermate dai più grandi pensatori, qualche cosa mancava. Era nel ragionamento stesso, nella forma del problema? Non lo sapevo, ma sentivo che la mia convinzione non era sufficiente. Tutte quelle conclusioni non potevano con- vincermi abbastanza per condurmi a fare ciò che risultava dai miei ragionamenti, cioè ad uc- cidermi. E mentirei se dicessi che la ragione sol- tanto miimpedì di suicidarmi. ll mio spirito la- vorava, ma v`era qualche cosialtro che lavo- rava, qualche cosa che non posso chiamare al- trimenti che la coscienza della vita. Era come una forza che m'obbligava a badare a questo piuttosto che a quello. e questa forza mi salvò dalla mia situazione disperata e diede tutt`altra direzione alla mia intelligenza. Questa forza mi obbligava a fissar la mia attenzione sul fatto che nè io nè centinaia d' uomini simili a me, non eravamo tutta Yumanità e ch'io non conoscevo ancora la vita dell'u1-nanità. Se esaminavo il ristretto circolo dei miei pen- sieri, non vedevo che uomini i quali, o non com- prendevano il problema della vita, oppure, com- prerndendolo, lo soffocavano con Yubbriachezza 0 mettevano fine~ai'loro giorni o, per debo- lezza, trascinavano una vita disperata. Questo era tutto quel c}1'io vedevo. Mi pareva che que- sto circolo ristretto dei sapienti, dei ridelii, degli oziosi, al quale io appartenevo, fosse tutta l'u- manità, e che i miliardi d'altri esseri che ave- vano vissuto prima di noi e vivevano ancora. non fossero uomini, ma bestie da soma qual- siansi. , Per quanto strano, incomprensibile, mostruo- so mi sembri ora questo fatto, come ho potuto lasciar sfuggire, nella mia analisi della vita, tutto