Novelle lombarde (Cantù)/Due Fratelli: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Luigi62 (discussione | contributi)
Porto il SAL a SAL 75%
(Nessuna differenza)

Versione delle 23:34, 27 nov 2012

Due Fratelli

../Il Ritorno IncludiIntestazione 27 novembre 2012 75% Racconti

Il Ritorno
[p. 311 modifica]

DUE FRATELLI


Chi lavora ha una camicia;
chi non lavora n’ha due.
Proverbio lombardo.


Girolamo, fattore d’una poderosa casa di Brianza, ebbe due figliuoli, uno Peppo, l’altro Piero. Questo qua dai primi anni attento, subordinato, voglioso, nella scuola era dei primi: poi, appena tornato a casa, dava una mano alle faccenduole; faceva fuoco, assettava le masserizie, rigovernava la camera, infrascava i fagiuoli, sgranava le civaje, mondava le erbe, ammostava l’uva, portava imbasciate, aveva occhio agli uomini che stavano a opera, dicendo loro, — Fate questo, fate quello»; e non che obbedire tosto, ingegnavasi indovinare le voglie del babbo e della mamma.

Tutto l’opposto, l’altro era un capetto da non [p. 312 modifica]cavarne costrutto. Cattiverie, chi volesse dire, non ne faceva; ma nemico mortale d’ogni fatica, d’ogni occupazione, in casa gingilla, a scuola riscalda le panche e nulla più; uscito di là, dov’è Peppo? È a bighellonare, a far chiasso, a girar la trottola co’ monelli, a battere la campagna scovando nidi d’uccelli. E però il loro padre avviava nel suo mestiere il primo: quanto a quel dicervellato, allorchè ci pensava, stringevasi nelle spalle, dimenava il capo, nè sapeva aspettarsene nulla di bene.

Vennero su grandi, sani, prosperi tutt’e due, ma sempre diversi. Peppo, scioperato al solito, e non volendo mettersi sotto un mestiere prese ingaggio ne’ soldati: l’altro ajutò suo padre. Ma che? morto questo e subentrato un nuovo padrone, il quale fece di que’ poderi un affitto, Piero si trovò in mezza strada. Ne rimase dolente, non iscoraggiato: disse — Addio grilli»; mise in piedi un poco di scuola, e ai putti del vicinato si diede a insegnare, meglio che poteva e di gran cuore, il poco che sapeva lui, sperando così guadagnarsi il campamento onoratamente. Ma questo era contro la legge: il signor ispettore gl’intimò bravamente di smettere, o d’ottenere la superiore concessione.

Piero spese quei pochi di quattrini che aveva raggruzzolati per andare alla città, studiarvi la metodica e presentarsi agli esami magistrali. Ma santo Dio! cosa poteva egli mai insegnare a’ contadinelli se non a leggere e scrivere, com’esso per pratica sapeva; far due conti e vivere da buoni cristiani? Non fu dunque approvato. Disse, — Pazienza»: e costretto a prendere altro partito a’ casi suoi, rizzò un telajo, e messo il collo sotto, dall’alba alle squille [p. 313 modifica]era a tessere a tutto andare, più povero, non meno contento.

Aveva menata in moglie una buona ragazza del vicinato, par sua, tutta Gesù e Madonna; e n’ebbe una nidiata di fanciulli, che a occhio veggente crescevano di numero, di statura e d’appetito. Ogni nuovo che arrivasse, aumentavano le spese; pure, attaccate ad un arpione tutte le voglie, e col misurare il tempo, e usare più povero e stretto vestire e mangiare, Piero confidava nel Signore, com’era solito dire, che potrebbe tirarli su sani, galantuomini e senza debiti.

In questa guisa campava oscuro nel suo paesuccio, di pane scusso e acqua schietta: e se qualcuno lo compassionava, egli stropicciandosi le mani e alzando le spalle, rispondeva come l’amico di Giobbe: — L’uccello è nato per volare e l’uomo per lavorare. Da Adamo in giù, tutti dobbiamo pascerci nel sudore della nostra fronte. Il travagliare volentieri addolcisce la fatica. Quando mangio un tozzo asciutto di pan bigio, e penso che me l’ho guadagnato io, mi sa più saporito che coll’arrosto; e se lo spartisco co’ puttini miei, mi fa miglior pro’ che se lo mangiassi io tutto».

Così diceva il buon Piero: e però tutti gli volevano bene; non avrebbe torto un capello a chi si sia; dove potesse, metteva una buona parola; tutto cuore, come tutto rassegnazione nella sua onorata povertà.

Di ben altre gambe andò la cosa con Peppo. Finita la sua capitolazione di soldato, ricomparve in paese a faccia fresca.

— Oh, sei qui?» gli disse Piero al rivederlo, e [p. 314 modifica]gettandogli le braccia al collo, — Bravo Peppo mio: hai fatto bene a lasciar quel brutto mestiere, che fa perdere il timor di Dio e l’amore della casa. Entra, siedi: torna al pentolino: questa è sempre casa tua; ci starai al bene e al male».

Peppo non se lo fece dir due volte, e si ribadì sotto al tetto del fratello. Ma sempre con quell’osso nella schiena, e non volendo far calli alle mani, mangiava sopra le spalle di questo, che non glien’avrebbe mai dimostrato il piccolo rancore; del rimanente stava sull’amorosa vita e sul fare buona cera e buon fianco; egli sempre assettatuzzo, egli dietro a tutte le festicciuole, egli a spesucchiare sui mercati; di giorno, fuori col fucile a caccia; di sera con un mandolino, che toccava così che lo faceva parlare, or sotto un balcone, or sotto una finestra, a pigliarsi tempone.

Nelle sue corse legò conoscenza co’ figliuoli del suo antico padrone, bravi signori che non gettavano il tempo a far nulla, ma lo occupavano da mattina a sera nella caccia, e che a Peppo posero un bene da non dire, perch’egli era, non si può dire altrimenti, una buona pastaccia, stava a tutto, e faceva tiri da stordire l’aria. Cominciarono a rimpanucciarlo, e il facevano desinar col fattore: andavano in città? vi doveva essere anche lui; e così ringarzullito e sgragiante, trionfalmente egli esercitava la sua gioventù, e prendeva usata con signori da molto più di lui.

Non vi farà dunque meraviglia se riuscì ad innamorare di sè una giovine di molto sboccio, non il fior delle belle no, ma dotata delle più solide allettative matrimoniali, essendo ereditiera. [p. 315 modifica]Probabilmente questo capriccio sarebbe nato e morto in lei, come un amorazzo formato in un festino. Ma per fortuna se ne accorsero i parenti; uno scalpore da non dire; Peppo messo fuori della porta e la ragazza mandata lontana.

Non ci voleva altro. La signorina, che, come unica, era stata sempre accarezzata e avvezza a non vedersi mai contraddire in cosa che volesse, allora s’impuntì di vincer la prova, e messi i piedi al muro, protestò volere quello o nessuno. Non occorre dirvi se Peppo lasciava di rinfocolarla: onde che serve allungarvela? a tempo e luogo essa diede fine al suo desiderio collo sposarlo.

I genitori, sulle prime una collera coi fiocchi. Ma brave persone, di quelle la cui schiettezza non temeva di cantar la verità quando si trattasse d’incaparrarsi la futura signora, posero in mezzo delle buone parole; il tempo fa sbollire ogni sdegno: al primo bambino s’impose il nome del signor nonno: il sangue alla fin dei conti, non è acqua: in somma poco andò che furono casa e bottega. Scene che succedono ogni anno a dozzine. Celebrata la pace, il genero attaccò il cappello nella casa del suocero, e poco dopo, morti i genitori, si trovò padrone di una lauta eredità, che beato lui.

Ecco dunque lo scioperato e tristanzuolo di Peppo divenuto il signor Giuseppe, un copiosissimo ricco, e per conseguenza un uomo di vaglia. Sbracia e spende come un Cesare; bocca mia che vuoi? venite, i quattrini ci sono: levasi alla sant’ora; marcia in carrozza; imbandisce agli amici; egli servitori, egli fattori, egli campagne: comanda a bacchetta, schizza salute con un’ariona di viso [p. 316 modifica]soddisfatto; è riverito da tutti; tutti s’onorano d’averlo per amico, per compare; come primo estimato, detta la legge ne’ convocati del suo comune. Facciamo onore al vero; egli non abusò mai di tale fortuna. Alla signora sua fa tutti i punti d’oro: pe’ figliuoli è tutto cuore; nè, come troppo di questi di nuovo schiusa, sta alto cogli inferiori, anzi a tempo e luogo sa esclamare, — Eh! neppur noi non siamo sempre stati quel che siamo adesso.

Alla piccola ed afosa stamberga dove Piero sbracciasi al telajo tutto il santo giorno per assicurare quel po’ di minestra ai ragazzi, che come canne d’organo gli crescono d’intorno, si vede arrestarsi talvolta una bella carrozza sulle molle, con una pariglia di sbuffanti puledri, un cocchiere avanti, un servitore dietro, tutti in filo come signori. Allora là dentro è un tafferuglio: — È qui Peppo — è qui il signor zio Giuseppe». La donna staccasi dalla poppa l’ultimo bambino, e lesta lesta corre a lavare le faccio impappolate, ravviare i capelli, e rovesciare il grembiulino agli altri, che battono le mani, fan tanto d’occhi, e si rizzano sulle punte dei piedi; poi slanciansi alla carrozza fermata.

Piero che, goduta quella poca scodella di minestra, ancora col boccone in bocca s’era rimesso al lavoro, balza fuori del telajo, si mette addosso, accorre e, cavandosi di capo, riverisce la signora cognata: sua moglie presenta il bambino in fasce, mentre i più grandicelli, un dopo l’altro, si arrampicano sul predellino della carrozza per baciar la mano al signor zio, alla signora zia. Questi, seduti come in trono, gli accolgono, li salutano, li carezzano, tutti cortesia, tutti umanità; e prima di [p. 317 modifica]voltarsi al ritorno, il signor Giuseppe dà al maggiore de’ suoi figliuoli la Borsa, affinchè distribuisca una lira per uno a’ suoi buoni cugini, per avvezzarlo, dic’egli, ad essere caritatevole coi poveretti. Quindi si salutano: — Addio, Peppo: — Sta bene, Piero: — Riverita, signora cognata: — Un milione di grazie, e Dio la conservi sano, signor zio»; quelli toccano innanzi fra la curiosità rispettosa e le scappellature di tutti i terrieri; gli altri rimangono contenti come pasque, e n’hanno di che parlare per un mese. La donna non rifina di descrivere a tutte le comari del vicinato il bel vestitino dei nipoti, e i nastri e la cuffia della signora cognata, che una eguale non l’ha neppure la moglie del commissario: Piero leva a cielo la degnazione di suo fratello: ai puttini grilla il cuore ricordando il gran carrozzone, i gran cavalloni del signor zio, che ha quattrini a cappellate: e mostrano in trionfo la lira, colla quale compreranno ciascuno una pezzuola dal primo merciajuolo che capiterà.

Così vivono differentemente i due fratelli: poi giunto il suo momento, fors’anche accelerato dagli stenti e da quel continuo fracassarsi le costole al telajo, Piero se ne va al Creatore, lasciando dietro sè la moglie con uno de’ figliuoli ancora al collo, e i più grandi che appena possono buscarsi il pane dì per dì. In sul morire egli dice a sua moglie: — Io non ho potuto lasciarti indietro nulla. Se è mia colpa, tu lo sai. Di quel poco avanzo sostenta i nostri figliuoli, allevali nel timor di Dio, e insegnali ad ajutarsi di per sè e contentarsi di poco. Ne’ bisogni, ricorri a Dio, che non è mai mancato nè a me, nè a chiunque lo ha invocato con [p. 318 modifica]fiducia. Se poi la necessità ti stringe, sai che ho un fratello, e che è buono».

E morì. Tutti i paesani dissero, — Povero Piero! era un buon diavolo». Gli fu fatto il mortorio, come dicono al suo villaggio, con un bòtto, un prete e un candelotto; i confratelli gli brontolarono le esequie, e i suoi figliuoli non ebbero pur denari da fargli piantare una croce nel camposanto, ove spesso lo vengono a suffragare di quelle preghiere che non costano punto e valgono tanto.

Poco dipoi, il signor Giuseppe morì anch’esso. Persone di testa e di cuore accorsero a mitigare l’inconsolabil lutto della vedova e degli orfani, col far loro presente l’instabilità delle cose terrene, l’inevitabile necessità di morire, la rassegnazione che l’uomo deve al volere di lassù. Esequie così suntuose di rado ne toccano ai curati; canti funerei in quinto tono, centinaja di messe, pitocchi ad accompagnarlo al cimitero, ove una grandiosa lapida nera, con parole d’oro e in latino, rapirà per lungo tempo all’oblio il nome del signor Giuseppe, il giorno che nacque e che morì, la sua religione, tutte quelle virtù che hanno i defunti quando lasciano abbastanza da farsele scolpire in sul sepolcro.

I suoi figliuoli, dopo che lo piansero tutto il tempo richiesto dalla convenienza, rimasero in abbondanti dilicatezze a godere i comodi e gli ozj che non aveano meritati colle fatiche. Al loro palazzo si presentano di tempo in tempo i poveri cugini, recando un paniere di ciliegie primaticcie o di pere vernine. Le prime volte i signorini vennero a salutarli fino in tinello, e ordinarono al cuoco che bagnasse loro una zuppa, e ne mescesse una mezzina, ch’essi [p. 319 modifica]godevano tra le festive arguzie degli staffieri, spassati da quella agreste semplicità e dalle lodi che que’ forestieri danno all’appetitosa fragranza che esala della cucina. Poi a lungo andare i signorini ne presero uggia, e quando il cameriere entra ad annunziare i figliuoli di quel tessitore di campagna, fanno la spallata, esclamando: — Non so cosa dire: il loro padre doveva aver giudizio come l’ebbe il nostro».

1834



Fine il novembre 1871