Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/119: differenze tra le versioni

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<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|2978}}-->lungo, per vigorosi e vivaci che fossero, e sonosi contentati d’una carriera assai piú breve, e bene spesso prima di giungere al termine di questa medesima, hanno pur lasciato chiaramente vedere che si trovavano affaticati, e che la lena e l’alacrità veniva lor manco, tanto piú quanto piú s’avvicinavano alla meta<ref name="ftn38">Da queste osservazioni si deduce quanto la natura e l’ingegno son piú ricchi dell’arte e come l’imitatore è sempre piú povero dell’imitato. Vedi {{AutoreCitato|Algarotti}} Pensieri. Opp. Cremona, t. VIII, p. 79.</ref>. E {{AutoreCitato|Virgilio}}, il quale che cosa non ha tolto ad {{AutoreCitato|Omero}} ?, nella seconda metà della sua Eneide riesce evidentemente languido e stanco, e diverso da se medesimo, se non nella invenzione<ref name="ftn39">Vedi Chateaubriand, Génie. Paris 1802. Par. 2. l. 2. ch. 10 fine. t. II, p. 105-6.</ref>, certo però nell’esecuzione cioè nelle immagini, nella espansione e vivacità degli affetti e nello stile, il che non può esser negato da veruno che ben conosca la maniera, la poesia, la lingua, la versificazione di {{AutoreCitato|Virgilio}}, anzi a questi tali la differenza si fa immediatamente sentire: e vedesi che l’immaginazione di {{AutoreCitato|Virgilio}} era per la lunga fatica illanguidita, raffreddata, e sfruttata; non rispondeva all’intenzione del poeta; non <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|2979}} gli ubbidiva; egli poetava già per instituto e quasi debito, per arte e per abitudine, arte e abitudine che in lui erano eccellentissime, e possono ai meno esperti sembrare impeto ed ὁρμὴ poetica, ma non sono, e non paiono tali ai piú accorti, i quali in quegli ultimi libri desiderano la vena, la προJυμία, l’alacrità di {{AutoreCitato|Virgilio}}. L’invenzione doveva essere stata da lui tutta concepita e disposta fin dal principio, com’é naturale in ogni buon poeta, e massime in un poeta di tant’arte e maestria. Quindi s’ella nel fine non è inferiore al principio, niuna maraviglia. L’immaginazione era cosí fresca quando inventava il fine del poema, come quando inventava il principio. Ma non minor forza, vivezza, attività, prontezza, fecondità<section end=2 />
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|2978}}-->lungo, per vigorosi e vivaci che fossero, e sonosi contentati d’una carriera assai piú breve, e bene spesso prima di giungere al termine di questa medesima, hanno pur lasciato chiaramente vedere che si trovavano affaticati, e che la lena e l’alacrità veniva lor manco, tanto piú quanto piú s’avvicinavano alla meta<ref name="ftn38">Da queste osservazioni si deduce quanto la natura e l’ingegno son piú ricchi dell’arte e come l’imitatore è sempre piú povero dell’imitato. Vedi {{AutoreCitato|Francesco Algarotti|Algarotti}} ''Pensieri''. ''Opp''. Cremona, t. VIII, p. 79.</ref>. E {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}, il quale che cosa non ha tolto ad {{AutoreCitato|Omero|Omero}} ?, nella seconda metà della sua ''{{TestoCitato|Eneide}}'' riesce evidentemente languido e stanco, e diverso da se medesimo, se non nella invenzione<ref name="ftn39">Vedi {{AutoreCitato|François-René de Chateaubriand|Chateaubriand}}, ''Génie''. Paris 1802. Par. II, l. 2. ch. 10 fine. t. II, p. 105-6.</ref>, certo però nell’esecuzione cioè nelle immagini, nella espansione e vivacità degli affetti e nello stile, il che non può esser negato da veruno che ben conosca la maniera, la poesia, la lingua, la versificazione di {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}, anzi a questi tali la differenza si fa immediatamente sentire: e vedesi che l’immaginazione di {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}} era per la lunga fatica illanguidita, raffreddata, e sfruttata; non rispondeva all’intenzione del poeta; non <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|2979}} gli ubbidiva; egli poetava già per instituto e quasi debito, per arte e per abitudine, arte e abitudine che in lui erano eccellentissime, e possono ai meno esperti sembrare impeto ed ὁρμὴ poetica, ma non sono, e non paiono tali ai piú accorti, i quali in quegli ultimi libri desiderano la vena, la προJυμία, l’alacrità di {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}. L’invenzione doveva essere stata da lui tutta concepita e disposta fin dal principio, com’é naturale in ogni buon poeta, e massime in un poeta di tant’arte e maestria. Quindi s’ella nel fine non è inferiore al principio, niuna maraviglia. L’immaginazione era cosí fresca quando inventava il fine del poema, come quando inventava il principio. Ma non minor forza, vivezza, attività, prontezza, fecondità<section end=2 />