Nuovi poemetti/La mietitura: differenze tra le versioni

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LA MIETITURA
<poem>
'''TRA LE SPIGHE'''
I
Il grano biondo sussurrava al vento.
Qualche fior rosso, qualche fior celeste,
tra i gambi secchi sorridea contento.
Pendeano li agli e le cipolle in reste.
S'udian, mutata alfin la voce in gola,
cantar galletti, altieri delle creste.
Tessea le spighe dello spigo a spola
la cara madre, per i suoi rotelli
del banco grande e per le sue lenzuola.
Fioria la zucca, arsivano i piselli,
nell'orto. Le ciliege erano andate:
per San Giovanni avevano i giannelli.
C'erano già le mele dell'estate,
c'erano le susine di San Pietro.
Fatte via via più lunghe le giornate,
il sole, stanco, ritornava indietro.
II
E biondo al vento mormorava il grano.
Fiorivano le snelle spadacciole
tra i gambi gialli; e non sapean, che in vano.
C'era un bisbiglio come di parole.
E l'intendea la lodola che in tanto
aveva lì la giovinetta prole.
Tardi avea fatto il nido, lì da un canto.
Oh! ella amava il sole più che il nido!
Chissà? voleva far lassù, col canto!
Or sui piccini udiva già lo strido
della falciola; e li ammonìa di stare
accovacciati senza dare un grido.
Diceva: - Chiotte, contro terra, o care!
che non si mova un bruscolo, uno stelo!
V'ho fatte color terra: altro non pare,
così, che terra, o nate per il cielo! -
III
E il grano al vento strepitava; e disse
il padre al figlio: «Mieteremo. Vedi:
verdino è, sì, ma non vorrei patisse.
Ché il grano dice: - Io sto ritto, e tu siedi.
Qui temo l'acqua, e il vento mi dà briga.
Altronde, o presto o tardi, o steso o in piedi,
se il gambo è secco seccherà la spiga -».
TERRA E CIELO
I
E disse poi, con tutti i figli attorno,
appiè d'un melo, carico di mele:
«Sì: mieteremo sull'aprir del giorno.
La terra è buona: dura, ma fedele;
ma è una barca, il sole per timone,
e bianche e nere nuvole per vele.
Ci vuole il cielo: tutto a sua stagione;
e freddo, caldo, dolce, aspro, ci vuole,
e i lampi e i tuoni e il fumido acquazzone.
Il grano, in prima, ebbe due barbe sole,
quando escì fuori, un solo gambo in tutto.
Venne la neve: - Ah! vuoi goderti il sole?
No! Soffri un po'! Metti altre barbe! Frutto
non vien da seme che non sia già morto! -
Die' retta il grano. Marzo venne asciutto.
Guai se i miei campi li prendea per l'orto!
II
Si sa: marzo va secco, il gran fa cesto.
Il gran, per uno pallido e sottile,
più ciuffi mise, quanto più fu pesto.
Talliva. Allora sopravvenne aprile
con le dolci acque. I giorni erano belli,
ma e' passava con il suo barile.
Passava in alto, tra un cantar d'uccelli,
con una gonfia nuvoletta nera...
E il gran fece il cannello, anzi i cannelli.
Doglia di verno, gioia a primavera!
Tanti cannelli, tante spighe, nate
d'un chicco solo; e questo chicco ov'era?
Non c'era più. Restare, a che? Pensate.
Il grano in tanto chiuso nello stelo,
dentro le verdi lolle accartocciate,
fioriva. Unita era la Terra e il Cielo.
III
Fioriva il grano. Erano in casa, i fiori,
con l'uscio chiuso, e nuovi della vita
mescean celati i loro dolci amori.
Alfin la spiga aperse con due dita
l'uscio, e guardò stringendo a sé la veste.
Ma come vide al Ciel la Terra unita,
anch'ella uscì, ma con un vel di reste.
E LAVORO
 
== Indice ==
I
E il grano è bello. Ma non fu soltanto
la terra e il cielo, fu la nostra mano.
Chi prega è santo, ma chi fa, più santo.
E prima scelsi il seme del mio grano
tra il grano mio. Grani più duri e grossi
o più gentili non cercai lontano.
Altri grani, altre terre, ed altri fossi
ed altri conci. Il grano da sementa
non lo tribbiai né macchinai, ma scossi.
Quando fu tempo, presi calce, spenta
da me, non vecchia; tal che, non appena
l'acqua la bagni, bulica e fermenta.
Ne feci latte, e in una cesta piena
v'immersi il grano, che un po' sempre molle,
quando sentii la lunga cantilena
di grilli e rane, sparsi sulle zolle.
 
*{{Testo|/Tra le spighe}}
II
*{{Testo|/Terra e cielo}}
Né lavorato avevo a fondo: a fondo
*{{Testo|/E lavoro}}
avevo sì, ma pel granturco d'anno.
*{{Testo|/Il pane}}
Il grano è meglio, e però vien secondo.
*{{Testo|/La messe}}
Sta pago il grano a quello che gli dànno.
*{{Testo|/I semi}}
Vuol sì la terra trita, ma non trita
*{{Testo|/Il corredo}}
tanto, ché, anzi, gli sarebbe a danno.
*{{Testo|/Il saluto}}
Non diedi al grano, che mi dà la vita,
*{{Testo|/Il chiù}}
nemmeno il concio. Poco o nulla e' chiede
per far la spiga bella e ben granita.
Gli basta un po' del troppo che si diede
al formentone, che scialacqua e, grande
com'è, non pensa al piccoletto erede.
Ad ogni acquata egli s'innalza e spande,
si sogna d'essere albero, fa vanti
e sfoggi, e vuole intorno a sé ghirlande
di zucche e di fagioli rampicanti...
 
III
Dov'e' lasciò, grossi, pel fuoco, i gambi,
io questo grano seminai; non fitto;
e un sol governo valse per entrambi.
E visse e crebbe, pesto giallo afflitto...
Ma, or vedete: e' non s'alletta e sta.
È bello. Per tenere il capo ritto
giova la cara buona povertà!
IL PANE
 
I
Date la pietra a falci ed a frullane,
o cari figli! spruzzolate l'aia
con acqua pura! Ché ritorna il pane.
Viene dai campi tratto a noi da paia
di vaccherelle, a l'aie bianche ov'erra
odor di fiori e odor di concimaia.
Fategli festa: ei viene di sotterra,
e sé dà cibo a quei che l'hanno ucciso,
il figlio pio del Cielo e della Terra!
Siete suoi figli; e, dopo che al sorriso
di vostra madre, di tra le sue stesse
mammelle sante, avete a lui sorriso.
Lo stringevate, che non vi cadesse,
con le due mani, ancora gronchie, al core,
dandogli un bacio. Egli le sue promesse
attiene, e per noi nasce e per noi muore.
 
II
Fategli festa. Era finito il grano...
il grano vecchio. Or quello ch'è più in cera,
noi sceglieremo e batteremo a mano.
Il meglio, il fiore dell'annata intera,
noi manderemo subito al molino;
che l'abbia a giorno e che lo renda a sera.
L'affioreremo. Vuo' lo staccio fino.
Prepareremo il lievito, ch'è quello
che il nonno in casa ritrovò bambino.
Sia buono il pane, ma non sia men bello:
meglio che un brutto pan di fiore approvo
un bel colombo fatto di cruschello.
Sia ben levato e pieno come un ovo,
e col suo sale; buono anche da solo.
Sia questo primo pane di gran nuovo
per te, mia figlia, che mi prendi il volo.
 
III
Ma da' la pietra alla tua falce, o Rosa.
Mieti con gli altri. Mieterai più lenta
nei dì che passi tra fanciulla e sposa;
nei dì che il cuore sembra che si penta
di far le spighe che per ciò son nate...
Mieti anche tu. Nelle tue carni ei senta
l'odor del grano e della grande estate».
LA MESSE
I
I due fratelli con le due sorelle,
stringendo il grano e le lunate falci,
mietean le spighe e ne facean mannelle.
Torceano spighe, per legar, non salci.
E le stendeano. O vite, così stese
le carezzavi con l'ombrìa dei tralci.
L'erbe così, mentre fiorian, sorprese,
moriano al sole; onde alle bestie grata
si fa la paglia come fien maggese.
Passava il padre tutta la giornata
pei solchi, e ritte le mannelle in croce
ponea, se l'erba già vedea seccata.
Seguian nel campo l'opera veloce
lieti i fratelli e le sorelle accanto.
Ma non si udiva, o Rosa, la tua voce.
Un canto, sì, di lodoletta, o un pianto.
II
In ogni campo alzarono due tonde
mete di spighe. Posero per prime
quattro mannelle, le più grosse e bionde.
Posero il calcio in terra, alto le cime;
e poi, con le altre sopra quelle e intorno,
fecero una gran cupola sublime.
Mietean tre giorni. Sul finir del giorno,
era finita. Placida la sera,
erano i cuori placidi al ritorno.
«Il grano è bello, e, di verdugio ch'era,
secco sin troppo. Con quel sole, ha sete.
Oggi la spiga ci parea leggiera»
diceva il babbo, e soggiungea: «Vedrete!
Il gran che il sole ora ha stremato e franto,
poi si rifà la notte nelle mete,
e s'enfia e s'empie, e peserà più tanto».
III
Nere le mete: solo qualche lampo
facean le paglie, come se un tesoro
fosse disperso qua e là nel campo.
Diceano i grilli grazie mille in coro
a chi, tagliato, per lor agio, il grano,
gittò poi l'arma... La falciola d'oro
brillava in cielo e ricadea lontano.
</poem>