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Versione delle 17:50, 9 apr 2012

E spiattellò loro in faccia l’epiteto popolare col quale erano designati da tutta la città: "Porci di Cristo!..."

In mezzo al baccano delle discussioni che minacciavano di finire a cinghiate, il povero Abate pareva un pulcino nella stoppa, non sapendo come fare, non volendo dar mano ad affrettar lo scempio dei buoni princìpi, ma non potendosi opporre alla venuta dei garibaldini. Pertanto s’afferrava al Priore, si metteva nelle sue mani, non lo lasciava più. Don Lodovico, lagnandosi delle tristizie dei tempi, invocando dal Signore la cessazione di quelle dure prove, prese le redini del convento e preparò il ricevimento di Garibaldi: ordinò che dessero aria al quartiere reale, che approntassero pagliericci e foraggi, che vuotassero le cantine e i riposti. Quando arrivò il Generale, gli andò incontro fino a piè dello scalone, accompagnò ai loro alloggi gli aiutanti e presiedé il pranzo delle camicie rosse, scusando l’Abate che una piccola indisposizione costringeva a letto.

Don Blasco, giallo come un limone, non potendo più gridare all’arrivo dei garibaldini, s’era tappato una seconda volta al Noviziato. Quasi tutti i ragazzi non c’erano più, ripresi dalle rispettive famiglie, che per paura dei torbidi si mettevano in salvo. Solo il principino, Giovannino Radalì e due o tre altri erano rimasti, mentre gli Uzeda erano scappati al Belvedere, tranne Ferdinando, chiuso come sempre alle Ghiande, e Lucrezia con Benedetto, il quale riprendeva il suo posto di combattimento in quei giorni agitati, tra le poche autorità e i rari notabili rimasti. Egli si sarebbe anzi arrolato, per far la nuova campagna con gli antichi commilitoni, senza il dovere di non abbandonar la moglie. Salito su al convento, il domani dell’arrivo di Garibaldi, andò ad ossequiare il Generale, che lo riconobbe subito, gli strinse la mano, e lo intrattenne un pezzo nonostante l’andirivieni delle commissioni, delle rappresentanze di ogni genere accorrenti incontro all’antico Dittatore. La incertezza