Pagina:Il Catilinario ed il Giugurtino.djvu/14: differenze tra le versioni

Luigi62 (discussione | contributi)
Stato della paginaStato della pagina
-
Pagine SAL 75%
+
Pagine SAL 100%
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:
prosatore, e fu tutto forza e nerbo nel suo dettato. Le Lettere di D. Giovanni dalle Celle, quantunque questo santo uomo fosse vivuto nel quattrocento, nondimeno sono sì pure di favella, che da’ più solenni critici sono tenute come scritture dell’aureo trecento, e dallo stile, che procede sempre facile e piano, ben si scorge che sono fattura di uomo non men chiaro per dottrina, che per santità. Il Governo della Famiglia del Pandolfini, contemporaneo del mentovato avanti Beato Giovanni dalle Celle, è parimente un bel tesoretto di purissimi vocaboli e di elette frasi, e per la dettatura è da seguitare ancora oggi come un sicuro esempio. Frate Bartolommeo da San Concordio, egli pure dell’ordine de’ Predicatori come il Passavanti, essendo a costui quasi al tutto simile nel genio, ne’ costumi e negli studii, e traducendo pure dal latino non sue proprie opere, ma sentenze di gravissimi autori dell’antichità, ed il Catilinario ed il Giugurtino di Sallustio, riuscì scrittor maraviglioso per la brevità e la forza della sua elocuzione. Solo, se non vado errato, e però piacemi di conferir con Voi quesla mia opinione, talvolta, o per voler esser troppo puntuale e riciso in tradurre, o per non disagiarsi, come parve al Salviati, secondò troppo il latino, e l’inversione delle parole è forse più di quello patir potrebbe la nostra lingua. Ma, se questo un fallo da appuntare a questo egregio scrittore, io son di credere che ei v’incappò men di rado nel Volgarizzamento di Sallustio, che negli Ammaestramenti degli Antichi. Pur nondimeno in quella versione, e crediamo che parimente non sia da tacere, alcuna fiata si allargò in parole più che non era mestieri, in guisa che non sappiamo intendere come egli, che era naturalmente disposto alla concisione e vago della brevità, avesse potuto tanto discostarsi dal suo consueto e proprio modo di scrivere. Laonde vorrei che i maestri ne avvertissero i loro discepoli, perchè questi in istudiare in quelle opere sapessero far tesoro di tanta purità di vocaboli, di sì gran numero di modi toscani, e di tante eleganze, che in esse imparar possono, e guardarsi al medesimo tempo da quelle lievi mende, che essi, ancora poco pratichi, stimar potrebbero leggiadrie e proprio andare del parlar toscano, da mantenere ancora a questi nostri giorni. E vorrei altresì che ben si facesse intendere a’ giovani che questo scrittore e gli altri della sua medesima età
prosatore, e fu tutto forza e nerbo nel suo dettato. Le Lettere di D. {{AutoreCitato|Giovanni dalle Celle|Giovanni dalle Celle}}, quantunque questo santo uomo fosse vivuto nel quattrocento, nondimeno sono sì pure di favella, che da’ più solenni critici sono tenute come scritture dell’aureo trecento, e dallo stile, che procede sempre facile e piano, ben si scorge che sono fattura di uomo non men chiaro per dottrina, che per santità. Il Governo della Famiglia del Pandolfini, contemporaneo del mentovato avanti Beato Giovanni dalle Celle, è parimente un bel tesoretto di purissimi vocaboli e di elette frasi, e per la dettatura è da seguitare ancora oggi come un sicuro esempio. Frate {{AutoreCitato|Bartolomeo da San Concordio|Bartolommeo da San Concordio}}, egli pure dell’ordine de’ Predicatori come il {{AutoreCitato|Jacopo Passavanti|Passavanti}}, essendo a costui quasi al tutto simile nel genio, ne’ costumi e negli studii, e traducendo pure dal latino non sue proprie opere, ma sentenze di gravissimi autori dell’antichità, ed il Catilinario ed il Giugurtino di Sallustio, riuscì scrittor maraviglioso per la brevità e la forza della sua elocuzione. Solo, se non vado errato, e però piacemi di conferir con Voi questa mia opinione, talvolta, o per voler esser troppo puntuale e riciso in tradurre, o per non disagiarsi, come parve al {{AutoreCitato|Leonardo Salviati|Salviati}}, secondò troppo il latino, e l’inversione delle parole è forse più di quello patir potrebbe la nostra lingua. Ma, se questo è un fallo da appuntare a questo egregio scrittore, io son di credere che ei v’incappò men di rado nel Volgarizzamento di Sallustio, che negli Ammaestramenti degli Antichi. Pur nondimeno in quella versione, e crediamo che parimente non sia da tacere, alcuna fiata si allargò in parole più che non era mestieri, in guisa che non sappiamo intendere come egli, che era naturalmente disposto alla concisione e vago della brevità, avesse potuto tanto discostarsi dal suo consueto e proprio modo di scrivere. Laonde vorrei che i maestri ne avvertissero i loro discepoli, perchè questi in istudiare in quelle opere sapessero far tesoro di tanta purità di vocaboli, di sì gran numero di modi toscani, e di tante eleganze, che in esse imparar possono, e guardarsi al medesimo tempo da quelle lievi mende, che essi, ancora poco pratichi, stimar potrebbero leggiadrie e proprio andare del parlar toscano, da mantenere ancora a questi nostri giorni. E vorrei altresì che ben si facesse intendere a’ giovani che questo scrittore e gli altri della sua medesima età