Istorie dello Stato di Urbino/Libro Secondo/Trattato Secondo/Capitolo Quinto: differenze tra le versioni

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<font size=10>M</font>eraviglia grande hà reso nelle menti deʼ saggi, che Tito Livio (quantunque invidioso de gli egregi fatti deʼ Toscani, ) mentovato in particolare non habbia la celebre non meno, che già famosa, e molto antica Suasa; essendo ella daʼ Romani, delle cui attioni professò egli essere diligente scrittore, più dʼogni altro luogo della Contrada Senonia stato singolarmente di honori, & di privilegi (come più à basso dirassi) al parlar deʼ marmi favorita. Per lo che dal suo tacere, ogni altro, che in quei secoli scrisse (da Plinio, e da Tolomeo in fuori) lasciolla nelle tenebre del silentio, come di presente, frà le ceneri dellesue ruine si trova, eternamente sepolta; e quando le stracciate reliquie sue, coʼl testimonio de i nominati antichi, e di alcuni moderni, ove già fù non additassero certamente il luogo, senza inganno stimarebbe il Mondo, che quanto delle sue grandezze raccontasi, non dʼHistorici fosse, mà deʼ Poeti lʼoggetto. Et perche anco delle reliquie (mercè al tempo, che le devora) la memoria si perde; io come quello, che in Corinalto nacqui, il qual trasse neglʼincendij di essa gli suoi natali, hò risoluto, con la mia penna, tinta non men di tragici, che di pietosi inchiostri, scoprire dalle medesime ceneri le sue passate glorie, secondo che con mio molto sudore; da quel terreno lugubre hò potuto cavare. Fù dunque Suasa, (il cui nome sendo Egitto, etimologia non tiene) fondata nella Regione degli Umbri Senoni, allʼelevatione dellʼArtico Polo, à gradi 43. e minuti 20. in fronte quasi della vaga, delitiosa, & abondante pianura, che dal Suasano fiume, hora Cesan chiamato, irrigata viene: dallʼAdriatiche arene tredici miglia lontano, ed altretanto dalle radici del famoso Catria, ove (come si disse) dirama da gli suoi fonti lʼaccennato fiume. La figura di essa (conforme additano i vestigi degli suoi quasi fondamenti smarriti,) fù Tetragona, cioè, perfettamente quadra: e da unʼangolo allʼaltro contandosi poco meno che ottocento <!-- inizio pagina 157 -->Geometrici passi, le mura, che circondavanla di tre miglia ordinarij occupavan lo spatio, chʼè tutto quel vago, & ameno sito, che da i Miralbellesi Colli, a i Castillionei dilatasi, frà cui altero, e grave il Cesano scorrendo, in due parti giuste la Città divideva. Sopra del quale in più luoghi glʼinarcati ponti congiungevanla, come più à basso nel parlar deʼ fondamenti loro, dirassi. Testimoniano le reliquie più notabili di Suasa, che nel descritto spatio, fino à questo giorno ritrovansi, la grandezza e nobiltà di lei, principalmente una Torre di struttura mirabile, atta per generosamente resistere ad ogni hostile assalto. Et essendo le sue mura di cotti mattoni, e di misture tenacissime fabricate, mostra non solo dʼhaver il tempo vinto per tanti secoli: mà come al presente fosse da i fondamenti eretta intiera, solida, e forte, più chemai si dimostra. Et essendo quasi affatto lʼalta sua cima circondata di merli, che molto in fuori sʼavanzano, con li suoi corridori, piombatori, e parapetti, alla sua vista invita i primi professori dellʼarte, à fine che, da quella Idea instrutti, ammirino della fortificatione antica i non profanati principij. Questa edificata in capo del Colle, vago Miralbellese, inverso à Borca, fà di se, non solo àʼ luoghi vicini dilettevole mostra: mà etiandio al mare, sino à gli scogli Illirici, mentre lʼaria è serena, dimostrasi, additando àʼ naviganti le sirti non solo, mà i lidi ancora, & le mobili onde, che premono. Et se bene questa superba mole hà in ogni tempo schednito il tempo, non restò però del tutto illesa dallʼingiurie, che con gli Arieti bellici, e col fuoco per atterrarla, fecele Alarico; si che rimase dal mezo in sù alquanto risentita: mà ristorata con isquisita diligenza dal generoso Campione Hippolito della Rovere, lʼAnno 1596. niun segno dʼoffesa, (come si è detto) dimostra. Di sotto alla Torre, intorno à quattrocento cubiti, alle radici del medesimo Colle, dalla parte di Ostro, sorge un limpidissimo fonte dʼacqua fresca, e salubre, à cui vicino, Pier Maria Conte di Montevecchio, chiarissimo di meriti, & di sangue, lʼAnno 1593. fondando un Palazzo di quella magnificenza, che al presente si vede, scoperse due grandʼacquedotti di piombo, e di sottilissime pietre, per cui lʼacque del vicino Fonte, verso dove più habitata, per congiettura stimasi fosse la Cittade, scorrevano. E nel movere il terreno per cavare da gli acquedotti il piombo, trovò dodeci belle pietre uguali, di quadrangolare figura, lunghe intorno à due piedi, parimente larghe, e grosse in proportione, le quali scorgendosi ordinate, in guisa di Croce, additavano, che non à caso, mà per qualche particolar disegno di profana Religione, ivi da gli Antichi fossero state poste; E tanto più, questo si crede, poiche alle medesime servivan per base dodeci altre Tavole di bistetragona figura, un piede, e mezzo lunghe, di fino marmo, nellʼistessa guisa composte, le quali essendo nella grandezza uguali, & <!-- inizio pagina 158 -->in figura consimili, non era trà di esse differenza veruna, trattone da due più massiccie, e dʼalcuni caratteri affatto incognite lineate, non molto da quelle dissimili, che nelle tavole sette di bronzo, nel Palagio publico di Gubbio hoggi conservansi. Seguitandosi da gli operaij à cavare trà le ruine, che à detti marmi facevano letto, una statua si marmo pario, sopra unʼAltare trovossi, di grandezza al naturale dʼun Giovine di vintʼanni, la quale sottilmente lavorata, vivamente rappresentavalo. Questa, per commissione del suddetto Conte, come cosa di grande stima, fù trasportata à Fano, dove egli per lungo tempo lʼhabitatione teneva, lasciandosi lʼaltre nellʼistesso luogo, per abbellimento del nuovo Palagio, in cui, al fine del passato secolo, tutte si conservavanʼintiere, come furon da me (sendo giovinetto) insieme con la fossa, di dove si estrassero, vedute molto, e considerate benissimo. In fronte al descritto Palaggio, in unʼangolo, che forman due strade, tutta intiera conservasi una fabrica di quadrata figura, deʼ sassi del fiume, e di una calce assai tenace composta, la quale, si come hoggi lʼacque del vicino fonte raccoglie, à Paesani di beveratore dʼanimali, e di lavatoio servendo, ne i tempi, che Suasa in essere si trovava, stimasi che à Cittadini desse lʼuso dei bagni. E questo più si accredita, per gli vestigij dʼaltri simili, che verso i Monte stanno al sudetto uniti. Dallʼaltra parte della strada, che verso i detti Monti salisce, traversando il Colle, in un Campo del ContʼHippolito di Montevecchio, lʼAnno 1624. da gli aratori, una Cortina di antichissime muraglie scopertesi, dellʼistessa materia, che sopra dicemmo deʼ bagni fabricata, la quale allungandosi con la strada fino allʼangolo superiore del campo, ove stà situata la casa, occupa lo spatio, intorno à quattrocento cubiti; nel cui principio, che àʼ bagni, & al Palagio è assai vicino, ove più material è il muro, furono due marmoree statue ritrovate, persone supreme rappresentanti, una di huomo, e lʼaltra di femina, le quali per commissione del Conte Padrone del luogo, furono trasportate à Fano, e dentro il suo Palagio, come cosa di sommo valore, conservansi. In un rilievo di terreno, sotto la via maestra, dalla parte del fiume, trovasi al gran Precursore Battista un Tempio eretto, intorno à cui, più volte in varie stagioni, da gli agricoltori furono varij dirupi scoperti, e di antichi edificij durissime fondamenta, di piccioli mattoni composte, in sembianza dʼamandole, e di dadi, trà quali ancora certe poche statuette di bronzo, che dellʼantica Gentilità rappresentavanʼi Dei, specialmente una di Hercole Libico, & unʼassai gran clava dellʼistessa materia, che gli vetusti Cavaglieri nelle battaglie usavano. sicome parimente deʼ Prencipi Romani assai medaglie, con certe rame di ramo indorato, e con faccie di sfinge mostruose, il cui significato non hò potuto capire; pur che non siano abominationi Egittie. Dalche si raccoglie, quivi stato essere, <!-- inizio pagina 159 -->del sopradetto Hercole un superbo Tempio fondato, secondo che forti veggonsi de gli suoi fondamenti le memorande reliquie, il quale piamente può credersi, che quando Suasa ricevè con il Battesimo la fede, ispurgato fosse dallʼimmonditie Idolatre, poscia dedicato al glorioso Precursore Giovanni, della Città medesima la Catedrale si chiamasse: Distrutto poi neglʼincendij, da gli avanzati Cittadini venisse per loro particolar devotione, dentro lʼistesso luogo rifatto, benche assai minore del primo. Sotto à questo bel Tempio, verso il vento Upofenice, situato giace un campo, il qual poco tempo adietro era da gli Averardi goduto; nel cui mezo lʼAnno 1557. frà le ruine di muraglie antiche, da un Bifolco fù con lʼaratro una gran Tomba scoperta, dove di un smisurato Gigante il mostruoso cadavero frà certe lame dʼoro involto giaceva, il quale da unʼardente lucerna honorato, intiero quasi, e fresco serbavasi. Non sgomentossi punto da tale incontro il coraggioso Agreste, anzi ratto disceso al fondo, spogliollo dellʼoro; ne dʼaltro curandosi, fuor che di quello, e della curiosa lucerna, che allʼapparire dellʼaria tosto si estinse, coʼl terreno ricoperse il cadavero, e riempiete la fossa. Ne havendo à grado di partir lʼoro coʼl Prencipe, tenne questa sua ventura celata, benche in breve, di molti campi ritrovandosi possessore, divenne questo per tutta la Contrada palese: Et havendo io havuto nel fine del passato secolo cognitione dellʼavventurato Bifolco, & al presente dʼun suo nipote, intieramente certificato mi sono, essere (come dicemmo) passato il caso; autorizzatomisi dʼavantaggio, con la vista della sopradetta lucerna, dal sepolcro estratta, che lʼAnno 1615. in casa de gli suoi heredi si conservava.
In mezzo allʼonde correnti del Cesano fiume, hoggi si scorgono in due luoghi divisi, alcuni pezzi fondamentali di antiche strutture, i quali tiensi di certo, che fossero delle Colonne i pedestalli, che de i ponti sostentavano gli archi, per cui la Città divisa dal fiume, si congiongeva. Da questi non molto discosto, nelle ripe del sudetto fiume, che dallʼOriente spalleggianlo, due porte ritrovansi di ordinaria grandezza, lʼuna dallʼaltra, intorno à sessanta piedi lontana, per le quali entrasi dentr vie sotterranee, artificiosamente involto, di mattoni cotti, e di calce tenace fabricate, in una delle quali; essendo io giovinetto, con alcuni miei curiosi Compagni entrai, dove camminato intorno à cento cubiti, cercando anche di penetrar più oltre, sorpresi da un certo non conosciuto spavento, di ripente venissimo à rivolgere indietro i passi forzati. Parimente il simile raccontasi esserʼaccaduto ad altri, che di fare tentarono il medesimo; e con più evidenza lʼesperimentarono quelli, che ansiosi di ritrovare Tesori con più ardire vi entrarono di notte, con fiaccole accese, & con istromenti fabrili: però che havendo già de gli Antri varcato in<!-- inizio pagina 160 -->torno à mezzomiglio le nascoste latebre, da rumori spaventevoli dʼarmi, da sbattimenti di ripercosse catene, da rauchi suoni di Tombe, dallo strepito di rallentati tamburri, dal nitrir, e dal petteggiar deʼ cavalli, da confusi mugiti di ogni varietà dʼanimali, e da gli horribili suoni di stracciate nubi, quando nʼesce il fulmine furono atterriti in modo, che ad essi pareva non meno che ivi fosse lʼInferno, che essi in mezo lʼInferno si ritrovassero; onde quasi immobili divenuti, mancò poco che non vi restassero morti, e per molti giorni portarono della presontione loro la dovuta pena.
In mezzo allʼonde correnti del Cesano fiume, hoggi si scorgono in due luoghi divisi, alcuni pezzi fondamentali di antiche strutture, i quali tiensi di certo, che fossero delle Colonne i pedestalli, che de i ponti sostentavano gli archi, per cui la Città divisa dal fiume, si congiongeva.
 
 
<!-- trascrizione del capitolo da completare -->
 
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