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capitale della Toscana. Quivi datosi ad uno studio indefesso, rovistò senza posa tutte le pubbliche e private biblioteche fiorentine, accumulando così sempre più di giorno in giorno nella sua mente un vasto tesoro di erudizione, che gli doveva fruttare mirabilmente dappoi. Dedicatosi di preferenza agli studi storici, fino d’allora ideò quell’esumazione di opere giacenti da anni manoscritte e dimenticate in quelle librerie, opere che resero celebre il suo nome e produssero lustro invidiato a tutta Italia. Per questo grande scopo visitò anche altre città della Toscana, e ritornato in patria si pose in relazione con {{AutoreCitato|Ludovico Antonio Muratori|Lodovico Muratori}}, salito già in altissima rinomanza, cui manifestò i suoi intendimenti. Il Muratori, che da tempo aveva concepito il medesimo pensiero, si mise facilmente d’accordo con lui. Da questo momento l’Argelati si diede tutto alla ricerca de’ materiali per la grande opera che doveva comprendere tutti gli Scrittori delle cose italiane. A questo efietto intraprese nel 1718 un viaggio per le città di Lombardia a fare incetta di manoscritti antichi, di cronache, di regesti, di pergamene e diplomi d’ogni genere, e ricco della preziosa suppellettile raccolta, si ridusse finalmente a Milano. Quivi fu accolto in casa del Conte Carlo Archinto, al quale comunicò il progetto di quell’opera colossale, invocando la di lui valida protezione. L’Archinto, uomo assai colto ed amantissimo della patria, aderì di buon grado, ed insieme coll’Argelati si fece promotore d’una società fra i più ricchi e colti personaggi del patriziato milanese, onde supplire alle ingenti spese per la grandiosa pubblicazione. Costituitasi la ''Società'' con a capo il Marchese Teodoro Alessandro Trivulzio, 16 dicembre 1721, ne fu eletto segretario <noinclude>l’Arge-</noinclude>{{SAL|309|3|Carlomorino}}
capitale della Toscana. Quivi datosi ad uno studio indefesso, rovistò senza posa tutte le pubbliche e private biblioteche fiorentine, accumulando così sempre più di giorno in giorno nella sua mente un vasto tesoro di erudizione, che gli doveva fruttare mirabilmente dappoi. Dedicatosi di preferenza agli studi storici, fino d’allora ideò quell’esumazione di opere giacenti da anni manoscritte e dimenticate in quelle librerie, opere che resero celebre il suo nome e produssero lustro invidiato a tutta Italia. Per questo grande scopo visitò anche altre città della Toscana, e ritornato in patria si pose in relazione con {{AutoreCitato|Ludovico Antonio Muratori|Lodovico Muratori}}, salito già in altissima rinomanza, cui manifestò i suoi intendimenti. Il Muratori, che da tempo aveva concepito il medesimo pensiero, si mise facilmente d’accordo con lui. Da questo momento l’Argelati si diede tutto alla ricerca de’ materiali per la grande opera che doveva comprendere tutti gli Scrittori delle cose italiane. A questo effetto intraprese nel 1718 un viaggio per le città di Lombardia a fare incetta di manoscritti antichi, di cronache, di regesti, di pergamene e diplomi d’ogni genere, e ricco della preziosa suppellettile raccolta, si ridusse finalmente a Milano. Quivi fu accolto in casa del Conte Carlo Archinto, al quale comunicò il progetto di quell’opera colossale, invocando la di lui valida protezione. L’Archinto, uomo assai colto ed amantissimo della patria, aderì di buon grado, ed insieme coll’Argelati si fece promotore d’una società fra i più ricchi e colti personaggi del patriziato milanese, onde supplire alle ingenti spese per la grandiosa pubblicazione. Costituitasi la ''Società'' con a capo il Marchese Teodoro Alessandro Trivulzio, 16 dicembre 1721, ne fu eletto segretario <noinclude>l’Arge-</noinclude>{{SAL|309|3|Carlomorino}}