Pagina:Sextarius Pergami saggio di ricerche metrologiche.djvu/130: differenze tra le versioni

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<noinclude>nute</noinclude> contraffazioni e per quelle materie, le quali, non entrando in commercio che in limitate quantità, debbono essere valutate con una più scrupolosa esattezza. Forse accennava già a questo stato di cose la clausola ammessa nel 897 in una carta di affitto nel contado Bresciano di fondi pertinenti al Monastero di S. Ambrogio in Milano, dove, fra l’altre cose, è stabilito che ogni anno si debbano dare al detto monastero ''lino bono scosso ad statere iusta Mediolani libras octo''. (Hist. P. M. 13 col. 621 a, 1071 c, cfr. {{AutoreCitato|Giorgio Giulini|Giulini}}, Mem. stor. di Milano 2 p. 63 seg.), o forse vi accenna la distinzione fra ''librae'', ''unciae'' e ''pondera'' che, nella esagerata comminatoria di certe pene (come costumavasi a que’ dì) troviamo appunto in documenti già anteriori ai mille, come, a cagion d’esempio, nel 931 in un diploma di Berengario a favore del Vescovo di Cremona abbiamo: ''pena auro optime libras viginti et argenti pondera triginta'' (H. P. M. 13 col. 916 c): in una nostra carta di vendita di fondi in Calusco del 996, ''multa quod est pena auro et obtimo uncias tres argenti ponderas sex'' (H. P. M. 13 col. 1512 b; cfr. ibid. col. 237 b, 422 c; cfr. {{AutoreIgnoto|Repossi}}, Milano e la sua Zecca, p. 147), dove ''pondus'' potrebbe indicare, non già la libbra, ma un grosso e determinato peso in uso a que’ tempi e a quella superiore (cfr. Rich, dizion. 2 p. 195). Nei documenti nostri e in quelli di altri contadi per diretta testimonianza la libbra grossa la troviamo in pieno uso nei primordii del secolo decimoterzo; per esempio negli Statuti di Como abbiamo: ''quod Canevarii Comunis de Cumis habeant omnia et singula pondera et omnes libras triginta et duodecim onziarum''{{SAL|130|4|Luigi62}}
<noinclude>nute </noinclude>contraffazioni e per quelle materie, le quali, non entrando in commercio che in limitate quantità, debbono essere valutate con una più scrupolosa esattezza. Forse accennava già a questo stato di cose la clausola ammessa nel 897 in una carta di affitto nel contado Bresciano di fondi pertinenti al Monastero di S. Ambrogio in Milano, dove, fra l’altre cose, è stabilito che ogni anno si debbano dare al detto monastero ''lino bono scosso ad statere iusta Mediolani libras octo''. (Hist. P. M. 13 col. 621 a, 1071 c, cfr. {{AutoreCitato|Giorgio Giulini|Giulini}}, Mem. stor. di Milano 2 p. 63 seg.), o forse vi accenna la distinzione fra ''librae'', ''unciae'' e ''pondera'' che, nella esagerata comminatoria di certe pene (come costumavasi a que’ dì) troviamo appunto in documenti già anteriori ai mille, come, a cagion d’esempio, nel 931 in un diploma di Berengario a favore del Vescovo di Cremona abbiamo: ''pena auro optime libras viginti et argenti pondera triginta'' (H. P. M. 13 col. 916 c): in una nostra carta di vendita di fondi in Calusco del 996, ''multa quod est pena auro et obtimo uncias tres argenti ponderas sex'' (H. P. M. 13 col. 1512 b; cfr. ibid. col. 237 b, 422 c; cfr. {{AutoreIgnoto|Repossi}}, Milano e la sua Zecca, p. 147), dove ''pondus'' potrebbe indicare, non già la libbra, ma un grosso e determinato peso in uso a que’ tempi e a quella superiore (cfr. Rich, dizion. 2 p. 195). Nei documenti nostri e in quelli di altri contadi per diretta testimonianza la libbra grossa la troviamo in pieno uso nei primordii del secolo decimoterzo; per esempio negli Statuti di Como abbiamo: ''quod Canevarii Comunis de Cumis habeant omnia et singula pondera et omnes libras triginta et duodecim onziarum''{{SAL|130|4|Luigi62}}