Pagina:I promessi sposi (1840).djvu/778: differenze tra le versioni
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anche la sua esperienza, chiama però bestiali que’ giudici che ne inventan di nuovi.<ref>Hipp. de Marsiliis, ad Tit. Dig. de quaestionibus; leg. In criminibus, 29.</ref> |
anche la sua esperienza, chiama però ''bestiali'' que’ giudici che ne inventan di nuovi.<ref>Hipp. de Marsiliis, ad Tit. Dig. de quaestionibus; leg. In criminibus, 29.</ref> |
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Furono quegli scrittori, è vero, che misero in campo la questione del numero delle volte che lo spasimo potesse esser ripetuto; ma (e avremo occasion di vederlo) per impor limiti e condizioni all’arbitrio, profittando dell’indeterminate e ambigue indicazioni che ne somministrava il diritto romano. |
Furono quegli scrittori, è vero, che misero in campo la questione del numero delle volte che lo spasimo potesse esser ripetuto; ma (e avremo occasion di vederlo) per impor limiti e condizioni all’arbitrio, profittando dell’indeterminate e ambigue indicazioni che ne somministrava il diritto romano. |
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Furon essi, è vero, che trattaron del tempo che potesse durar lo spasimo; ma non per altro che per imporre, anche in questo, qualche misura all’instancabile crudeltà, che non ne aveva dalla legge, "a certi giudici, non meno ignoranti che iniqui, i quali tormentano un uomo per tre o quattr’ore," dice il Farinacci<ref>Praxis, etc. Quaest. XXXVIII, 54.</ref>; "a certi giudici iniquissimi e scelleratissimi, levati dalla feccia, privi di scienza, di virtù, di ragione, i quali, quand’hanno in loro potere un accusato, forse a torto (forte indebite), non gli parlano che tenendolo al tormento; e se non confessa quel ch’essi vorrebbero, lo lascian lì pendente alla fune, per un giorno, per una notte intera," aveva detto il Marsigli<ref>Pratica causarum criminalium; in verbo: Expedita; 86.</ref>, circa un secolo prima. |
Furon essi, è vero, che trattaron del tempo che potesse durar lo spasimo; ma non per altro che per imporre, anche in questo, qualche misura all’instancabile crudeltà, che non ne aveva dalla legge, "a certi giudici, non meno ignoranti che iniqui, i quali tormentano un uomo per tre o quattr’ore," dice il Farinacci<ref>Praxis, etc. Quaest. XXXVIII, 54.</ref>; "a certi giudici iniquissimi e scelleratissimi, levati dalla feccia, privi di scienza, di virtù, di ragione, i quali, quand’hanno in loro potere un accusato, forse a torto (''forte indebite''), non gli parlano che tenendolo al tormento; e se non confessa quel ch’essi vorrebbero, lo lascian lì pendente alla fune, per un giorno, per una notte intera," aveva detto il Marsigli<ref>Pratica causarum criminalium; in verbo: Expedita; 86.</ref>, circa un secolo prima. |
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