Pagina:Rivista italiana di numismatica 1888.djvu/440: differenze tra le versioni

Nessun oggetto della modifica
CandalBot (discussione | contributi)
m Bot: template SAL
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:
difficile definire a parole, ma che si riassume nel metallo, nell’impronta, nei caratteri, nell’arte, in tutto cioè quell’insieme che induce un occhio pratico a dire: questa moneta non è genuina. Oppure per un errore storico che vi si incontri, e in questo caso il giudizio deve procedere più lento, non essendo rarissimo il caso che la Numismatica corregga la storia. ''In nummis historia''. Ora, esaminando le monete del ripostiglio di Siderunda, non sappiamo davvero come vi si possa riscontrare un solo carattere materiale di falsità. Uno dei principali fra questi, oltre ai sopra accennati, è certamente quello di trovarne parecchi esemplari prodotti dal medesimo conio. Tale circostanza si verificò allorché comparvero i famosi denari di Pipino per Milano i cui esemplari, (noi ne abbiamo veduti dieci), erano il prodotto di un sol conio. Cosi avvenne delle monete di Busca e d’Atri, denunciate appunto come false nel secondo Numero di questa ''Rivista'' e di parecchie altre ormai note a tutti. Cosi avviene per alcune monete d’oro greche e romane di estrema rarità, a proposito delle quali giova avvertire un fatto abbastanza curioso e degno di nota e di osservazione. Pochi anni sono, di alcune monete portanti nomi rarissimi non si conoscevano che pochissimi esemplari quasi tutti di pessima conservazione, come appare ben naturale, quando se ne consideri l’estrema rarità e si pensi come la grandissima maggioranza delle monete pervenuteci dall’antichità sia costituita da quelle in cattivo stato. Ma sorsero i grandi raccoglitori, che emuli dei grandi musei non potevano rassegnarsi a non possedere un pezzo posseduto dal Museo Britannico o dal Gabinetto di Parigi! Parecchie di queste gemme desiderate comparvero allora quasi per incanto e comparvero al<span class="SAL">440,3,Carlomorino</span>
difficile definire a parole, ma che si riassume nel metallo, nell’impronta, nei caratteri, nell’arte, in tutto cioè quell’insieme che induce un occhio pratico a dire: questa moneta non è genuina. Oppure per un errore storico che vi si incontri, e in questo caso il giudizio deve procedere più lento, non essendo rarissimo il caso che la Numismatica corregga la storia. ''In nummis historia''. Ora, esaminando le monete del ripostiglio di Siderunda, non sappiamo davvero come vi si possa riscontrare un solo carattere materiale di falsità. Uno dei principali fra questi, oltre ai sopra accennati, è certamente quello di trovarne parecchi esemplari prodotti dal medesimo conio. Tale circostanza si verificò allorché comparvero i famosi denari di Pipino per Milano i cui esemplari, (noi ne abbiamo veduti dieci), erano il prodotto di un sol conio. Cosi avvenne delle monete di Busca e d’Atri, denunciate appunto come false nel secondo Numero di questa ''Rivista'' e di parecchie altre ormai note a tutti. Cosi avviene per alcune monete d’oro greche e romane di estrema rarità, a proposito delle quali giova avvertire un fatto abbastanza curioso e degno di nota e di osservazione. Pochi anni sono, di alcune monete portanti nomi rarissimi non si conoscevano che pochissimi esemplari quasi tutti di pessima conservazione, come appare ben naturale, quando se ne consideri l’estrema rarità e si pensi come la grandissima maggioranza delle monete pervenuteci dall’antichità sia costituita da quelle in cattivo stato. Ma sorsero i grandi raccoglitori, che emuli dei grandi musei non potevano rassegnarsi a non possedere un pezzo posseduto dal Museo Britannico o dal Gabinetto di Parigi! Parecchie di queste gemme desiderate comparvero allora quasi per incanto e comparvero al{{SAL|440|3|Carlomorino}}