Pagina:Rivista italiana di numismatica 1888.djvu/246: differenze tra le versioni

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Del resto l’accusa di adulterazione delle monete fu il pretesto dell’enorme condanna inflittagli; ma le cause vere e più influenti bisogna ricercarle in alcune private odiosità che il Principe Siro s’era tirato addosso, e nei maneggi politici di chi spiava un’occasione favorevole per ispogliarlo del principato e venirne in possesso. Gli editti monetarii di allora assegnavano una multa di cinquanta marche d’oro a coloro che avessero battuto monete non approvate dalla legge e in ogni caso il maximum della pena poteva essere la perdita del privilegio della zecca. La condanna toccata a Siro fu dunque per ogni verso ingiusta, come fu ingiusto ed iniquo il modo tenuto nell’istituire il processo contro di lui: lo provano ad evidenza i documenti, le cronache, le memorie del tempo, e le opere stesse di storici illustri ed imparziali. Non è nostro compito il far qui delle numerose citazioni ed esaminare quanto ne scrissero in proposito i contemporanei. Chi desiderasse consultare quelle fonti, le può trovare accennate nell’opera citata del Bigi. Del resto il giudizio su tale condanna fu concorde anche in quell’epoca. Fino da allora si elevarono generali proteste contro l’operato della Corte imperiale, e il notaio Tebaldo Serri con nobile coraggio stese una violenta protesta sull’atto ingiusto della Corte e sulla enorme violazione dell’editto monetario e del trattato di Ratisbona e la fece pubblicare per tutta Italia. Poco mancò che quell’atto generoso costasse la vita al coraggioso Serri; egli fu infatti condannato a morte, benché poi venisse graziato <ref>{{Sc|{{AutoreCitato|Quirino Bigi|Bigi}}}}. Opera citata, pag. 83.</ref>.
Del resto l’accusa di adulterazione delle monete fu il pretesto dell’enorme condanna inflittagli; ma le cause vere e più influenti bisogna ricercarle in alcune private odiosità che il Principe Siro s’era tirato addosso, e nei maneggi politici di chi spiava un’occasione favorevole per ispogliarlo del principato e venirne in possesso. Gli editti monetarii di allora assegnavano una multa di cinquanta marche d’oro a coloro che avessero battuto monete non approvate dalla legge e in ogni caso il maximum della pena poteva essere la perdita del privilegio della zecca. La condanna toccata a Siro fu dunque per ogni verso ingiusta, come fu ingiusto ed iniquo il modo tenuto nell’istituire il processo contro di lui: lo provano ad evidenza i documenti, le cronache, le memorie del tempo, e le opere stesse di storici illustri ed imparziali. Non è nostro compito il far qui delle numerose citazioni ed esaminare quanto ne scrissero in proposito i contemporanei. Chi desiderasse consultare quelle fonti, le può trovare accennate nell’opera citata del Bigi. Del resto il giudizio su tale condanna fu concorde anche in quell’epoca. Fino da allora si elevarono generali proteste contro l’operato della Corte imperiale, e il notaio Tebaldo Serri con nobile coraggio stese una violenta protesta sull’atto ingiusto della Corte e sulla enorme violazione dell’editto monetario e del trattato di Ratisbona e la fece pubblicare per tutta Italia. Poco mancò che quell’atto generoso costasse la vita al coraggioso Serri; egli fu infatti condannato a morte, benché poi venisse graziato <ref>{{Sc|{{AutoreCitato|Quirino Bigi|Bigi}}}}. Opera citata, pag. 83.</ref>.


Fatti questi pochi cenni, veniamo ora ai due <span class="SAL">246,3,Carlomorino</span>
Fatti questi pochi cenni, veniamo ora ai due {{SAL|246|3|Carlomorino}}