Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/433: differenze tra le versioni

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<span class="SAL">433,1,ThomasBot</span>ci credano; bisogna seguirle prima perché esse poscia vengano volentieri dietro a noi.
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Egli non mancava mai d’invitarmi a visitarlo spesso, e a favorirlo della mia compagnia a pranzo; ma se io lo accontentava della prima, non era cosí disposto ad approfittare della seconda parte dell’invito. Una domenica che a tutti i costi egli avea voluto trattenermi seco lui a desinare, ci trovai una tal brigata che mi fece scappar l’appetito. Una vecchia pelata e rantolosa che chiamavano la signora Marchesa, un vecchio sollecitatore mezzo sbirro e mezzo prete che beveva sempre e mi guardava traverso al bicchiere, due giovinastri rozzi, sporchi, massicci che mangiavano colle mani e coi denti si aggiungevano al piccolo sant’Antonio e alla larva piagnolosa della padrona di casa per darmi la piú gran melanconia che mai avessi provato. L’avvocato invece sembrava ai sette cieli per avere dintorno a sé una cosí eletta compagnia; osservai peraltro ch’egli non invitava mai il sollecitatore a bere e i giovinastri a mangiare. Tutti i suoi eccitamenti li volgeva alla Marchesa la quale non potea piú bere né mangiare per la tosse che la travagliava. Il signor avvocato trinciava con una perfezione veramente matematica: e giunse a cavare otto porzioni da un pollastrello arrosto; operazione che secondo me vince di difficoltà la quadratura del circolo. Io non avea proprio volontà di toccar cibo, e cessi la mia parte ad uno dei due giovani che non lasciò sul piatto neppur la traccia degli ossi. L’avvocato mi avea fatto mano a mano conoscere tutti i commensali e poi non mancò di tirarmi in un cantone per farmene la storia. La Marchesa era una benemerita patrona di tutti i pii istituti della città; si diceva che fosse ricca di ottantamila zecchini, e lui l’avvocato era il suo consigliere prediletto. Il sollecitatore era un veneziano molto amico dell’attuale podestà al quale faceva fare ogni cosa che gli piaceva; e cosí gli tornava di
Egli non mancava mai d’invitarmi a visitarlo spesso, e a favorirlo della mia compagnia a pranzo; ma se io lo accontentava della prima, non era cosí disposto ad approfittare della seconda parte dell’invito. Una domenica che a tutti i costi egli avea voluto trattenermi seco lui a desinare, ci trovai una tal brigata che mi fece scappar l’appetito. Una vecchia pelata e rantolosa che chiamavano la signora Marchesa, un vecchio sollecitatore mezzo sbirro e mezzo prete che beveva sempre e mi guardava traverso al bicchiere, due giovinastri rozzi, sporchi, massicci che mangiavano colle mani e coi denti si aggiungevano al piccolo sant’Antonio e alla larva piagnolosa della padrona di casa per darmi la piú gran melanconia che mai avessi provato. L’avvocato invece sembrava ai sette cieli per avere dintorno a sé una cosí eletta compagnia; osservai peraltro ch’egli non invitava mai il sollecitatore a bere e i giovinastri a mangiare. Tutti i suoi eccitamenti li volgeva alla Marchesa la quale non potea piú bere né mangiare per la tosse che la travagliava. Il signor avvocato trinciava con una perfezione veramente matematica: e giunse a cavare otto porzioni da un pollastrello arrosto; operazione che secondo me vince di difficoltà la quadratura del circolo. Io non avea proprio volontà di toccar cibo, e cessi la mia parte ad uno dei due giovani che non lasciò sul piatto neppur la traccia degli ossi. L’avvocato mi avea fatto mano a mano conoscere tutti i commensali e poi non mancò di tirarmi in un cantone per farmene la storia. La Marchesa era una benemerita patrona di tutti i pii istituti della città; si diceva che fosse ricca di ottantamila zecchini, e lui l’avvocato era il suo consigliere prediletto. Il sollecitatore era un veneziano molto amico dell’attuale podestà al quale faceva fare ogni cosa che gli piaceva; e cosí gli tornava di