Pagina:Il Catilinario ed il Giugurtino.djvu/48: differenze tra le versioni

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di quei tempo, ed è stata ed è sommamente utile agli antiquarii e agli studiosi delle memorie della nostra Italia. E, se {{AutoreCitato|Aristotele}}, {{AutoreCitato|Platone}}, {{AutoreCitato|Quintiliano}}, {{AutoreCitato|Cicerone}}, e lo stesso {{AutoreCitato|Cesare}}, non credettero spregevol cosa il comporre opere intorno la grammatica, o il trattar quistioni grammaticali in alcun luogo delle loro scritture, non dee cèrtamente recar maraviglia che frate Bartolommeo anche in quest’arte volesse molto internarsi, e che scrivesse trattati sopra questo argomento. I quali, scritti in penna, si conservano in Parigi nella Biblioteca del Re; e sono ''De pronuntiatione vocum latinorum'', e ''De ortographia latina'': ed il {{AutoreCitato|Manni}} nella prefazione agli Ammaestramenti degli Antichi avvisa che del primo di questi si debba intendere che parli il Cinelli, là dove fa menzione dell’Arte Poetica del nostro autore. Ma, o che sia come pensa il Manni, o che veramente ei componesse questa Poetica, non avendo noi argomenti abili a rifermar questo fatto, ci rimarremo dal disputarne; e diremo solamente che le sue Annotazioni alle opere di {{AutoreCitato|Seneca}}, e il Commento a {{AutoreCitato|Virgilio}}, riferito con lode da tutti coloro che han ragionato di lui, non meno che le altre sue opere di sopra mentovate, sono un saldo testimonio della grande perizia e dottrina ch’egli ebbe nelle lettere latine. Laonde mostreremo più avanti come fosse tratto in errore un solenne e finissimo critico, che il giudicò poco intendente, anzi ignorante della latina favella. Con la grammatica congiunse anche la rettorica; e dettò un libro della Memoria artificiale, e traslatò in volgare il trattatello di {{AutoreCitato|Tullio}} della Memoria, il quale fu, non ha molti anni, pubblicato per le stampe. Scrisse inoltre latinamente de’ Sermoni quaresimali, rammentati dal {{AutoreCitato|Philippe Labbe|Labbé}} nella Dissertazione istorica che va innanzi alle opere del {{AutoreCitato|Roberto Bellarmino|Bellarmino}}, e che il {{AutoreCitato|Cave}} dice essere stati messi a stampa in Lione l’anno 1519. Di queste Orazioni non possiamo dar giudizio, perocchè non abbiamo potuto in alcun modo procacciarcele: ma, vedendo che i mentovati autori non sono con esse punto scarsi di lode, e, ch’è più, che furono mandate in luce in un tempo in cui fiorivano i buoni studii, non possiamo dubitare che sieno adorne di molti pregi: anzi noi crediamo che per questi Sermoni tanto crescesse la sua fama, e tutti il tenessero dottissimo in rettorica, e facondo oratore. Ma non abbiamo punto a dolerci che le surriferite opere, note solo a pochi letterati, restino ancora sepolte nella polvere: dappoichè intorno a que’ medesimi subjetti va per le mani di tutti gran copia di nobilissima scritture. Molto dobbiamo per contrario essere lieti di possedere e gli aurei Ammaestramenti degli Antichi, e l’egregia versione di Sallustio, che ora diamo nuovamente in luce. Della quale prima che ragioniamo, sarà pregio dell’opera recare il giudizio del {{AutoreCitato|Salviati}}, e brevemente dichiararlo. Egli dice: «Il Volgarizzamento di Sallustio in genere è tutta pura e buona favella, ma affogato nella pedanteria e nella ignoranza del volgarizzatore, il quale, non intendendo il latino, per non si disagiare, l’andava secondando, e così faceva quasi una nuova lingua tra fiorentina e gramaticale, sì nelle parole e sì nella loro forma.» Innanzi tratto è mestieri che ricordiamo come il Salviati non sapeva dell’autore di questo Volgarizzamento. Imperocchè il primo, che ciò fece aperto, fu l’Accademico fiorentino, che lo diè fuori la prima volta; il quale ebbe la ventura di rinvenire nella Laurenziana un codice scritto nella metà dei secolo XIV, nel cui principio leggesi il seguente ricordo = {{Sc|Qui comincia il Sallustio recato in volgare per Frate Bartolommeo da Pisa dell’ordine dei Predicatori, a petizione del Nero Cambi di Firenze}}. = E questo dir volemmo a significare che, <noinclude>quantun-</noinclude><span class="SAL">48,3,Alex brollo</span>
di quei tempo, ed è stata ed è sommamente utile agli antiquarii e agli studiosi delle memorie della nostra Italia. E, se {{AutoreCitato|Aristotele}}, {{AutoreCitato|Platone}}, {{AutoreCitato|Quintiliano}}, {{AutoreCitato|Cicerone}}, e lo stesso {{AutoreCitato|Cesare}}, non credettero spregevol cosa il comporre opere intorno la grammatica, o il trattar quistioni grammaticali in alcun luogo delle loro scritture, non dee cèrtamente recar maraviglia che frate Bartolommeo anche in quest’arte volesse molto internarsi, e che scrivesse trattati sopra questo argomento. I quali, scritti in penna, si conservano in Parigi nella Biblioteca del Re; e sono ''De pronuntiatione vocum latinorum'', e ''De ortographia latina'': ed il {{AutoreCitato|Manni}} nella prefazione agli Ammaestramenti degli Antichi avvisa che del primo di questi si debba intendere che parli il Cinelli, là dove fa menzione dell’Arte Poetica del nostro autore. Ma, o che sia come pensa il Manni, o che veramente ei componesse questa Poetica, non avendo noi argomenti abili a rifermar questo fatto, ci rimarremo dal disputarne; e diremo solamente che le sue Annotazioni alle opere di {{AutoreCitato|Seneca}}, e il Commento a {{AutoreCitato|Virgilio}}, riferito con lode da tutti coloro che han ragionato di lui, non meno che le altre sue opere di sopra mentovate, sono un saldo testimonio della grande perizia e dottrina ch’egli ebbe nelle lettere latine. Laonde mostreremo più avanti come fosse tratto in errore un solenne e finissimo critico, che il giudicò poco intendente, anzi ignorante della latina favella. Con la grammatica congiunse anche la rettorica; e dettò un libro della Memoria artificiale, e traslatò in volgare il trattatello di {{AutoreCitato|Tullio}} della Memoria, il quale fu, non ha molti anni, pubblicato per le stampe. Scrisse inoltre latinamente de’ Sermoni quaresimali, rammentati dal {{AutoreCitato|Philippe Labbe|Labbé}} nella Dissertazione istorica che va innanzi alle opere del {{AutoreCitato|Roberto Bellarmino|Bellarmino}}, e che il {{AutoreCitato|Cave}} dice essere stati messi a stampa in Lione l’anno 1519. Di queste Orazioni non possiamo dar giudizio, perocchè non abbiamo potuto in alcun modo procacciarcele: ma, vedendo che i mentovati autori non sono con esse punto scarsi di lode, e, ch’è più, che furono mandate in luce in un tempo in cui fiorivano i buoni studii, non possiamo dubitare che sieno adorne di molti pregi: anzi noi crediamo che per questi Sermoni tanto crescesse la sua fama, e tutti il tenessero dottissimo in rettorica, e facondo oratore. Ma non abbiamo punto a dolerci che le surriferite opere, note solo a pochi letterati, restino ancora sepolte nella polvere: dappoichè intorno a que’ medesimi subjetti va per le mani di tutti gran copia di nobilissima scritture. Molto dobbiamo per contrario essere lieti di possedere e gli aurei Ammaestramenti degli Antichi, e l’egregia versione di Sallustio, che ora diamo nuovamente in luce. Della quale prima che ragioniamo, sarà pregio dell’opera recare il giudizio del {{AutoreCitato|Salviati}}, e brevemente dichiararlo. Egli dice: «Il Volgarizzamento di Sallustio in genere è tutta pura e buona favella, ma affogato nella pedanteria e nella ignoranza del volgarizzatore, il quale, non intendendo il latino, per non si disagiare, l’andava secondando, e così faceva quasi una nuova lingua tra fiorentina e gramaticale, sì nelle parole e sì nella loro forma.» Innanzi tratto è mestieri che ricordiamo come il Salviati non sapeva dell’autore di questo Volgarizzamento. Imperocchè il primo, che ciò fece aperto, fu l’Accademico fiorentino, che lo diè fuori la prima volta; il quale ebbe la ventura di rinvenire nella Laurenziana un codice scritto nella metà dei secolo XIV, nel cui principio leggesi il seguente ricordo = {{Sc|Qui comincia il Sallustio recato in volgare per Frate Bartolommeo da Pisa dell’ordine dei Predicatori, a petizione del Nero Cambi di Firenze}}. = E questo dir volemmo a significare che, <noinclude>quantun-</noinclude>{{SAL|48|3|Alex brollo}}