Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/VIII: differenze tra le versioni

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<div style="text-align:center;">VIII.</div>
<div style="text-align:center;">''COME IMPIEGASSE DANTE GLI ANNI DELLA SUA GIOVENTU’.''</div>
 
<pages index==[[Pagina:"Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri.djvu/" from=86]]= to=99 />
<big><big>L</big></big>o studio delle divine, ed umane lettere, e delle belle arti, ed il pensiero della sua Donna, furono le occupazioni di ''Dante'' nella sua gioventù. Egli per altro potè stimarsi fortunato, mentre quest’ultima cura non lo distolse dall’applicar seriamente a ciò che più doveva giorvarli. Racconta ''Francesco da Buti'', antico comentatore della Commedia, che ''Dante'' ne’ suoi più verdi anni aveva vestito l’abito dei Frati Minori dell’Ordine di ''San Francesco'', ma che prima di terminare il noviziato era uscito da detta Religione<ref>Il ''Buti'' comentando quel verso del Cant. XXX. del Purgatorio vers. 42. "Prima ch’io fuor di puerizia fosse" dice che ''Dante'' fino dalla sua puerizia si era invaghito della Sacra Scrittura "e questo credo che fosse quando si fece Frate Minore dell’Ordine di S. Francesco, del quale uscette innanzi che facesse professione". Questa curiosa notizia la comunicò al Mondo letterario il Canonico ''Biscioni'' per mezzo del laborioso autore di ''Stor. letter. d’Italia vol. VIII. pag. 119. n. 25.'' e fu accennata ancora dal ''padre Nicha'' nel tom. I. della sua ''Storia delle Chiese Fiorentine pag. 105''</ref>. Io non so che d’altronde si abbia notizia di tal fatto; so bene, che il trovarlo riferito assolutamente da un’Autore, che scrisse poco più di 70. anni dopo la morte di ''Dante'', è una prova ben forte per supporlo vero. E’ certo che ''Fra Antonio Tognocchi da Terrinca'' nomina ''Dante'' fra gli scrittori Toscani dell’Ordine di ''San Francesco''; ma non fa questo perchè egli sapesse che ''Dante'' fosse
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<references/>
entrato in questa Religione nell’età sua più fresca, ma perchè trovò che egli era morto con l’abito indosso di detto Santo, come Terziario del medesimo Ordine, lo che vedremo quanto sia insussitente tra poco. Se poi fin d’allora, come narra il ''Buti'', si desse ''Dante'' allo studio della Teologia, nella quale fece tanto profitto, o se molto dopo si applicasse ad una scienza così sublime, io non saprei deciderlo, benchè mi senta portato a credere, che ciò facesse egli nella sua gioventù, sul riflesso che di una tale scienza era ben fornito, quando intraprese la sua Commedia; la qual cosa non sarebbe potuta succedere, se dopo il suo esilio avesse a quello studio applicato. E chi non vede, che un’ingegno così vivace non era possibile che si restringesse a quegli studj, dei quali la gioventù generalmente suol esser contenta? Aveva egli di buon’ora<ref>Nella sua ''Vita Nuova'', che ''Dante'' scrisse nella sua gioventù, cita molti passi di antichi poeti.</ref>scorsi non tanto i più dotti scrittori della antichità, quanto le pagine dei sacri libri<ref>Ved. la sopraddetta ''Vita Nuova'', nella quale ''Dante'' riferisce alcuni passi tolti dalle sacre scritture.</ref>, e a questi studj aveva accoppiati ancora quelli della Platonica, ed Aristotelica Filosofia, che erano in grandissimo pregio presso quei pochi, che allora avevano stima di dotti<ref>Prima la filosfia di ''{{Ac|Platone|Platone}}'', poi quella di ''Aristotele'' furono con grande impegno insegnate nelle scuole. Di ambedue ''Dante'' aveva un’esatta cognizione, come da tutte le sue opere apparisce, e particolarmente da quella che intitolò ''Convivio''</ref>. Godeva per questo ''Dante'' dell’amicizia di tutti quei che erano in Firenze, ed altrove, in credito di Uomini letterati, e fra gli altri di ''{{Ac|Guido Cavalcanti|Guido Cavalcanti}}'', il quale il primo fra suoi amici egli stesso chiama<ref>Nella ''Vita Nuova'', ''Dante'' quando vuol nominare ''Guido Cavalcanti'', dice "il primo delli miei amici". </ref>. "Era ''Guido'' filosofo di autorità, non di poca stima, e ornato di dignità di costumi memorabili, e degno d’ogni laude e onore<ref>''Filippo Villani'' nella Vita di ''Guido'', fra le altre pubblicate dal ''Co. Mazzucchelli, pag.'' 96. ''Dino Compagni lib. 1. pag.'' 19. narra "che era cortese, e ardito, ma sdegnoso, e solitario, e intento allo studio" e senza più si può vedere ciò che ne dice il detto ''Villani'', ed il ''Mazzucchelli'' nelle sue annotazioni a detta Vita, oltre molti altri scrittori che citar si potrebbero. Egli morì verso la fine del 1300 coma racconta ''Gio. Villani, lib.8. cap. 41.'' ed è falso che egli fosse Epicureo, come dice il ''Boccaccio'' nella nov. 9. della 6. giorn. il quale prese forse abbaglio nell’attribuire al figliuolo quello che ''Dante'' nel Cant.X. dell’Inf. fu a messer ''Cavalcante'' suo padre attribuito. In effetto di ''Guido'' assai diversamente ne parla nel suo Comento al detto luogo dell’Inferno, il qual Comento compose molto dopo il Decamerone (Vedi il ''Biscioni'' nelle sue annotazioni alla ''Vita nuova'' di ''Dante'' fra le prose dello stesso ''Dante'', e del ''Boccaccio''). Forse ancora in detta novella messer ''Giovanni'' riferì quello che allora credeva il popolo, il quale diffamava per eretico chiunque fosse degli altri più dotto o nella fisica, o nell’atronomia (Vedi il ''Manni'' nell’illustrazione del Decamerone Par. 2. cap. 61.)</ref>: la simiglianza degli {{Pt|stu-|}}
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{{Pt|dj|studj}}<ref>Egli fu eccellente poeta, ed a’ suoi nobili componimenti "molto è tenuta la volgar poesia, perciocchè da essi ricevette non poca robustezza, e splendore". ''Crescimbeni'' tom. II. ''dell’istoria della volg. poesia pag. 266. Dante'' nella sua ''Vita nuova'' ci dice, che l’amicizia con ''Guido'' nacque dall’aver questo saputo, che dell'''Allighieri'' era un Sonetto, a cui con altro aveva esso risposto. Il mentovato sonetto di ''Dante'' è quello, di cui sopra si parlò, e che incomincia:
 
:"A ciascun alma presa, e gentil core ec."</ref> aveva fatto nascere fra lui, e ''Dante'' quella dolce amicizia, benchè quest’ultimo, conoscendo quanto il proprio sapere avanzasse quello di ogni altro suo coetaneo, non si facesse scrupolo d’innalzare se medesimo sopra lo suo amico. A quel tempo era ancora in molta {{Pt|reputa-|}}
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{{Pt|zione|reputazione}} messer ''Cino da Pistoja'' non meno celebre Giureconsulto, che accreditato poeta<ref>Di messer ''Guittorino de’ Sigibuldi'', detto volgarmente ''{{Ac|Cino da Pistoia|Cino da Pistoja}}'', oltre il ''Crescimbeni'' nella ''Storia della volg. poesia vol. II. pag. 289.'' e molti altri, senza escludere le notizie raccolte dall’erudito ''Francesco Ignazio Merlini Calderini'' suo concittadino, vedasi il dotto padre ''Francesco Antonio Zaccaria nella sua Biblioteca Pistojese Part. II. pag. 220. e seg.'' Fra le rime di ''Dante'' si leggono alcuni Sonetti di lui a ''Dante'', e di ''Dante'' a messer ''Cino''. Fra’ primi ve n’è uno in risposta al sopra mentovato Sonetto, che incomincia:
:A ciascun’alma presa, e gentil core ec.</ref>, ''Dante da Majano''<ref>''Dante da Majano'' fiorì intorno al 1290, e fu uno di quelli che cooperarono per l’ingrandimento della Toscana poesia. Amò una donna Siciliana chiamata ''Nina'', in lode della quale compose ed ordinò diverse bizzarrìe, che erano allora alla moda. ''Crescimbeni Comment. alla Stor. della volg. Poesia vol. I. lib. I., cap. 8. pag. 108'' e ''cap. 19. pag. 178.'' Ancor questa ''Nina'' si dilettò di poesia, come dice detto ''Crescimbeni loc. cit. vol. II. part. III. lib. 2 pag. 84'' e tanto amò ''Dante'', che si faceva chiamare la ''Nina di Dante''. Egli poi fu dei primi che introdussero le Lettere missive in Sonetti; (''Crescimbeni loc cit. pag. 93.'') il qual’uso avendo seguitato l’Allighieri, fra le mentovate rime si trova una risposta del detto ''Dante da Majano'' al più volte citato sonetto, che principia
:A ciascun’alma presa, e gentil core ec.
</ref>, ''{{Ac|Cecco Angiolieri|Cecco Angiolieri}}''<ref>''Cecco Angiolieri'', di cui parla il ''Boccaccio'' nella ''nov. 4. della 6. Giorn.'' visse sul finire del XIII. secolo. Più sonetti scrisse a ''Dante'', i quali sono nella raccolta ''dell’Allacci'', e da alcuno di essi apparisce che egli fosse suo amico, ma da uno assai satirico si viene in chiaro, che fu veramente suo emulo. Ved. il ''Crescimbeni'' ne’ ''Commenti alla Stor. della volg. Poesia vol. II. part. II. lib. 2. pag. 103.''</ref>, ''Busone da {{Pt|Gub-|}}''
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''{{Pt|bio|Gubbio}}''<ref>Di lui dovremo dovremo più in basso a ragionare.</ref>, ''Buonagiunta degli Orbigiani'' da Lucca<ref>E’ nominato da ''Dante'' nel XXIV. Cant. del Purg. e certo con lode. Di questo antico Rimatore ne parla il ''Bembo nel lib. 2. delle sue Prose, il Redi nelle annotazioni al suo Ditirambo pag. 101. e 236. ed il Crescimbeni'' loc. cit. 1. pag. 59.</ref>, ''{{Ac|Dino Frescobaldi|Dino Frescobaldi}}''<ref>Più a basso si vedrà, come secondo alcuni, costui fu amico di ''Dante''. Nella dolcezza, e vaghezza della Poesia non fu inferiore a ''Cino'', come ci assicura il ''Crescimbeni'' loc. cit. lib. I. pag. 59.</ref>, ''Gervasio Ricobaldo'' Ferrarese e canonico di Ravenna<ref>Questo celebre storico, e poeta mori verso l’ anno 1297. Ved. il ragionamento posto in principio delle rime scelte de’ poeti ferraresi antichi e moderni di sopra mentovato, ed impresso in ''Ferrara'' nel 1713. in 8° per gli eredi di ''Bernardino Pomatelli'' Imp. Episc. e l’ab. ''Tiraboschi'' nell’opera che quì sotto citiamo: tom. IV. lib. 2. cap. 6. § 5.</ref>, ''Brandino'' o ''Bandino''<ref>Così si chiama questo famoso poeta dei Padovani, ricordato nel libro ''de vulgari eloquentia'', dall'''Allacci'' , e dal ''Co. Mazzucchelli'' negli scrittori d’Italia.</ref> da Padova o sia Ildebrandino, ed altri che possono vedersi annoverati dal dottissimo ab. ''{{Ac|Girolamo Tiraboschi|Girolamo Tiraboschi}}'' nelle sue storie della letteratura italiana<ref>Tomo IV. lib. 3. e tom. V. Modena in 4°.</ref> dopo il canonico ''Giovan Mario Crescimbeni'' ed il ''Quadrio''. Vi è stato anche chi ha detto, che egli avesse stretta amicizia in ''Firenze'' col famoso ''Francesco Stabili'', detto volgarmente ''{{Ac|Cecco d'Ascoli|Cecco d'Ascoli}}'', la di cui tragica fine lo ha renduto più celebre, che alcuna delle sue opere. Ma che ''Cecco'' si trovasse in ''Firenze'' prima che da essa fosse esiliato il nostro Poeta,
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e che con lui si applicasse a disputar sopra diversi punti di Filosofia, come il dice padre ''Appiani'', non mi pare che si possa francamente asserire senza confondere i tempi. Comunque sia, questi due Letterati è certo che si conobbero almeno per lettera; che lo ''Stabili'' si dimostrò ne’ suoi Scritti un’ardito disprezzatore della Commedia del nostro ''Dante'', e che di ''Guido Cavalcanti''
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ancora non ebbe alcuna stima<ref>Nel cap. I. del Lib. I. 4. esamina con molto rigore la celebre Canzone di Guido Cavalcanti, che incomincia.
<center>''Donna mi prega perch’io voglia dire''</center></ref>. Era lo ''Stabili'', come dalle sue Opere apparisce, uno spirito ambizioso, disprezzante ed altiero che delle cose sue aveva maggiore opinione di quelle, che ad un Filosofo convenisse.
 
E quì è a proposito il cercare se Dante avesse alcuna tintura della lingua greca, venendogli non solo apertamente negata fra gli antichi dal ''Filelfo'', e dal ''Manetti'', ma fra i moderni ancora da uomini di vaglia, come da un marchese ''Scipion Maffei'', gloria, ed ornamento delle lettere Italiane, e da altri. E a dire il vero l’autorità
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di uno dei due citati scrittori della Vita di ''Dante'' è stata di tanta forza nell’animo del dotto Veneziano che scrisse in lingua volgare della letteratura greco-italiana, che doppo aver sostenuta nel nostro Poeta la cognizione di questo idioma, si è creduto in obbligo di ritrattarsi. Ma il sentimento di questi tali non è talmente appoggiato a così valide ragioni, che abbia sicurezza di non esser con giusto impegno combattuto, e forse ancora depresso. Imperocchè facendoci a considerare non solamente le voci greche adoperate da ''Dante'' tanto nel suo Poema, quanto nel suo Convivioe negli altri suoi scritti, ma le maniere di
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questa lingua fonte di vivissime bellezze, e di nobili e poetiche grazie, di cui l’opera di esso è sparsa con abbondanza, con difficoltà ci immagineremo come, senza averle attinte ne’ suoi originali, gli sieno nate naturalmente sotto la penna. E come poteva conoscere di quali encomi era degno il Padre della Greca Eloquenza, {{Ac|Omero|Omero}}, e con tanta venerazione e lode nominarlo nella sua Commedia, se la feconda poesia di questo non avesse gustata nella lettura de’ suoi Poemi? O non vi era nell’età di ''Dante'' una compita versione di questo Poeta, o se mai vi era
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questa a lui non fu nota, poichè nel convivio scrive che Omero non era stato mutato ancora "di Greco in Latino" e dà con questo maggiormente a credere ch’egli di lui acquistasse la doverosa stima nello scorrere originalmente i suoi versi, e che per conseguenza avesse delle lettere greche piena notizia. In questa forma hanno molti pensato<ref>L’opinione che il nostro Poeta sapesse l’idioma greco è seguitata dal Padre ''Negri'' nella sua Istoria degli scrittori Fiorentini pag. 140. dal ''Boesarde'' presso il ''Pope-Blount censurae celebriorum auctorum'' pag. 139. da monsignore ''Domenico Giorgi'' nelle sue osserv. intorno alla persona di ''Emanuele Grisolora'', che sono nel tom. XXV. della raccolta di opuscoli fatta in ''Venezia'' dal padre ''Calogera''; da monsignore ''Fontanini'' nella sua Eloquenza italiana cap. 15. del lib. 11.; dal canonico ''Giulianelli'' in una postilla manoscritta alla prima edizione di queste mie memorie, e da altri, i quali troppo nojosa inchiesta sarebbe il rammentare.</ref>, ed a chi teneva in contrario ha contraddetto l'''erudito Gio. Lami''<ref>''Domenico Manni'' avendo pubblicata la suddetta sua lezione dell’antichità, oltre ogni credere, delle lettere greche in Firenze, pag. 3. pensò doversi negare senza dubitazione il saper di Greco in ''Dante'', ma il ''Lami'' nel dar ragguaglio di questa operetta nelle sue novelle letterarie del 1762. num. 22. col. 350. si dichiara per l’opinion contraria, e la tien per certa meravigliandosi che altrimenti abbia pensato l’autore di essa. Anche il canonico ''Dionisi'' con buoni argomenti sostenne l’affermativa.</ref> a cui mi piace in tal maniera di unire il mio giudizio con la speranza di non errare con tanta guida. Nè certamente lo studio della lingua greca si spense mai nell’Italia<ref>Vedi il ''Muratori'' nell’antichità italiane de’ tempi di mezzo tom. III. dissert. XLIV. ed il suddetto padre ''Grandenigo''. Per questo il citato ''Mehus'' nella vita del ''Traversari'' pag. CCXVII. scrive "''Pari modo graecae litterae Petrarchae sunt acceptae referendae. Fractae enim erant, ac pene sepultae, antequam essent a Petrarca erectae, maioremque datae in lucem. Fractae inquam: neque enim ante Petrarchae tempora excisae in Italia penitus erant, ac funditus deletae''".</ref>, e
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perciò non dovette esser molto difficile a ''Dante'' l’incontrarsi in alcuno, il quale nella medesima potesse servirgli da Maestro<ref>Da un sonetto di ''Dante'' riferito dal detto ''Raffaelli'' nelle sue memorie di messer ''Busone da Gubbio'' cap. V. si vede che insegnava la lingua greca, poichè in esso il poeta si rallegra con il detto Busone a motivo che suo figliuolo si applicava allo studio della medesima lingua, e vi faceva progressi.</ref>. E’ molto debole la riflessione di chi ha scritto, per sostenere l’ignoranza del Greco in ''Dante'', che qualora la principal sua scorta fosse stato qualche Poeta di quel linguaggio, ad esso, e non a ''{{Ac|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}'' averebbe rivolte le sue parole nell’incominciamento del primo canto dell’Inferno<ref>Il ''Gradenigo'' loc. cit. pag. 111.</ref>. Poichè se si voglia considerar la faccenda senza passione, questo sottil raziocinio non esclude la perizia del greco Idioma, mentre può ben essere che di ''Virgilio'' si servisse il nostro Poeta per il suo mirabil viaggio, a motivo d’aver trovato esser egli l’inventore della discesa al soggiorno dell’anime de’ trapassati, e perchè ne’ suoi versi latini da primo formasse veramente il bello stile che tanto onore gli ha fatto, e non in quelli d’ ''Omero'' in età più matura da lui presi fra mano. Comunque sia di tutto questo, sopra di che, siccome per il passato, così in futuro saranno divisi i pareri de’ dotti, volendo procedere al nostro cammino è da premettere che le leggi, ed ordinazioni della nostra Repubblica inviolabilmente comandavano a chiunque voleva essere ammesso al godimento de’ pubblici magistrati l’aggregarsi ad iscriversi in una delle arti in cui la città era divisa: in numero prima di 14. poi di 21. erano queste in ''Firenze'', alcune delle quali dicevansi maggiori, altre minori; sotto alle medesime erano compresi tutti i cittadini, quantunque mestiero alcuno non avesse esercitato<ref>Queste arti, che non molto differiscono da quelle comunità, le quali presso gli antichi dicevansi ''Collegi'', sono descritte da ''Antonio Pucci'' nel suo capitolo impresso dietro la ''Bella mano'' di ''Giusto De’Conti'', e delle medesime parla ’ ''Ammirato'' nelle sue ''Storie'', e gli altri Scrittori Fiorentini.</ref>. Fra le arti
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maggiori la sesta era quella dei Medici, e degli Speziali, e quivi si sa che ''Dante'' si fece descrivere<ref>In un libro membranaceo in foglio di detta arte intitolato "Estratto del primo libro delle Matricole di Firenze" segnato A. che comincia dall’anno 1297. e dura fino al 1300. a cart. 47. leggesi "''Dante D’Aldighieri Poeta Fiorentino''". Perchè più in quest’arte, che in altra fosse descritto il nostro ''Dante'', non saprei di sicuro asserirlo. Può essere che i suoi passassero, come noi Fiorentini diciamo, per quest’arte per avere avuto un negozio di speziale: e può essere ancora che ''Dante'' volesse un tempo esercitare la medicina, di cui non era certo ignorante.</ref>, o come si usa dire presso di noi, matricolare<ref>Vedi il ''Vocabolario della Crusca'' in questa voce.</ref>. E volendo egli impiegarsi ne’ suoi più verdi anni per benefizio della Patria, crede’ che il prendere il partito della milizia non disconvenisse ad uno, che le arti di pace aveva particolarmente preso a coltivare. Avendo dunque i Fiorentini l’anno 1289. deliberato di andare contro ''Arezzo'' per vendicare i torti ricevuti dai Ghibellini, i quali ivi sotto il dominio del Vescovo ''Guglielmino degli Ubertini'' dell’antica famiglia dei ''Pazzi'' di ''Valdarno''<ref>Così dicono ''Simone della Tosa'' nei suoi Annali all’anno 1289. e ''Dino Compagni'' nel lib. I. pag. 6. edizione di ''Firenze'' del 1728. in 4. benchè gli altri Storici tutti facciano questo Vescovo della casata degli Ubertini. Ma avvertendo che ''Dino'' visse appunto a’ tempi di questo Vescovo, e che perciò potè essere meglio degli altri informato di che casata egli fosse, ho creduto di dovere seguitare la asserzione, la quale per questo stesso motivo è stata abbracciata ancora dal ''Coleti'' dottissimo annotatore dell’ ''Italia Sacra'' dell’ ''{{AutoreCitato|Ferdinando Ughelli|Ughelli}}'', colà dove nel tom. I. si parla di ''Guglielmino''. Vero è per altro, come costa da più scritture dell’Archivio dei Canonici di Arezzo, che un ramo de’ ''Pazzi di Val d’Arno'', del quale era il Vescovo, intorno a’ tempi ne’ quali egli visse, cominciò a chiamarsi degli ''Ubertini'', onde ben sta’ che ''Guglielmino'' sia chiamato da ''Dino'', e da ''Simone della Tosa'', ''de’ Pazzi'', e da altri degli ''Ubertini''.</ref> (''più atto all’esercizio delle armi, che al governo pastorale delle anime''), facevano il loro nido, adunarono un formidabile esercito composto dei più valorosi Guelfi di ''Bologna'', e di ''Toscana'' loro alleati. In esso fra i soldati a cavallo si volle trovare il nostro ''Dante'', e con gli altri arrivato nel ''Cosentino'' presso ''Poppi'', incontrò i nemici, i
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quali benchè inferiori di forze nulla temevano, resi animosi dalla vittoria ottenuta l’anno innanzi sopra i Senesi alla ''Pieve'' al ''Toppo''<ref>Annali d’Arezzo pubblicati dal ''Muratori'' nel tom. 24. ''Script. Rer. Italic.'' pag. 855. ''Giovanni Villani'' lib. 7. cap. 119. Di questa sconfitta seguita il dì 27. giugno 1288. fa menzione ''Dante'' nel {{TestoCitato|Divina Commedia/Inferno/Canto XIII#120|Cant. XIII. dell'Inferno vers. 120. e seg.}}</ref>. Messer ''Amerigo di Nerbona''<ref>Di questo illustre Capitano vedi il ''Villani'' lib.7.cap.129.</ref> Capitano della Cavalleria de’ Fiorentini, o come racconta ''{{Ac|Dino Compagni}}''<ref>Loc. cit. pag.9. Questa rotta è accennata dal nostro Poeta nel {{TestoCitato|Divina Commedia/Inferno/Canto XXII#4.|Cant. XXII. dell'Inferno verso 4.}} dicendo:
 
<center>''Corridor vidi, per la terra vostra''</center>
<center>''O Aretini,''</center></ref>, messer ''Barone de’ Mangiadori'' da ''S.Miniato''<ref>Messer ''Barone de’ Mangiadori'' l’anno 1289. era Capitano di ''Siena''. ''Andrea Dei'', ''Cronica Sanese'' pubblicata dal ''{{Ac|Ludovico Antonio Muratori|Muratori}}'' tom. XV. ''Rer. Ital. Script.'' pag. 40.</ref> dette ordine che il nostro esercito non fosse il primo ad attaccare la battaglia, ma che si aspettasse di pie’ fermo l’assalto che mostravano di voler dare gli Aretini. Un tal consiglio procurò senza fallo la vittoria ai Guelfi, mentre i Ghibellini di ''Arezzo'', essendosi spinti con forza, e valore contro dei nostri averebbero certamente disfatta tutta l’armata, come della Cavalleria era loro riuscito di fare, se dopo una fiera resistenza non fossero stati costretti di cedere al numero maggiore<ref>Lo dice ''{{Ac|Dino Compagni}}'' loc. cit.</ref>. Questa famosa battaglia accadde un sabato mattina agli 11. di Giugno in un luogo detto ''Certomondo'' nel piano situato tra ''Poppi'' e ''Babbiena'' che chiamasi ''Campaldino''<ref>''Villani'' lib.7. cap. 130.</ref>, e fu molto dannosa ai Ghibellini, perchè in essa perderono il Vescovo ''Guglielmino''<ref>Nel nostro Batistero di S.Giovanni furono appesi l’elmo, e la spada di questo Vescovo, quasi spoglia opima, e vi restarono fino a che il Gran Duca ''Cosimo III.'' volle che si togliesse dalla pubblica vista una tal memoria sacerdotale insieme, e guerriera.</ref>,
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''Buonoconte da Montefeltro'', figliuolo del celebre ''Guido''<ref>Di costui parla ''Dante'' nel Cant.V. del Purg. vers. 88. e seg. dicendo, che nella battaglia, in cui restò morto, non fu trovato il di lui corpo. ''Buonconte'' fu Capitano di gran valore, come raccontano gli Storici.</ref>, e non pochi altri valorosi Cavalieri del loro partito. Narra ''{{Ac|Leonardo Bruni|Leonardo Aretino}}''<ref>''{{TestoCitato|Della vita, studi e costumi di Dante|Vita di Dante}}''.</ref>, che in questa azione ''Dante'' si trovava a combattere nella prima schiera, ove portò gravissimo pericolo, e che in una sua Lettera latina l’aveva minutamente descritta. L’anno dopo 1290. del mese d’Agosto<ref>Vedi il ''Villani'' lib.7. cap.136.</ref> i Lucchesi con l’ajuto de’ Fiorentini, e degli altri loro collegati, si volsero contro i Pisani, e fra i molti danni fatti ad essi, uno fu la presa del Castello di ''Caprona'', non molto discosto da ''Pisa''. In questa spedizione ancora vi fu ''Dante'', il quale ci racconta<ref>{{TestoCitato|Divina Commedia/Inferno/Canto XXII#94|Inferno Cant. XXII. vers.94. e seg.}}</ref> di aver veduto uscire ignominiosamente pieno di timore il presidio di quel Castello.
 
{{Sezione note}}