Trattato de' governi/Libro quarto/XIV: differenze tra le versioni

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==__MATCH__:[[Pagina:Trattato de' governi.djvu/194]]==
Ma perchè tutta la civil compagnia è composta di chi comanda, e di chi ubbidisce, è però da esaminare, se diversi debbono essere quei che comandano, e quei che ubbidiscono, o li medesimi sempre. Chè gli è manifesto, secondo tal distinzione, conseguire la distinzione della disciplina. Ora adunche se gli uomini fussin tanto differenti l’uno dall’altro, quanto noi stimiamo che gli Dei, o li Semidei sieno differenti dagli uomini, per essere primieramente eccellenti più degli altri nella persona, e di poi nell’animo (di tal maniera che senza contrasto, e manifestamente apparisse ai sudditi la eccellenza di chi governa), è chiaro, ch’e’ sarebbe me’ dire, che li medesimi dovessino essere sempre, cioè questi sudditi, e quei padroni.
 
Ma perchè ciò non è agevole ad essere, nè si ritrova quello, che dice {{AutoreCitato|Scilace}} ritrovarsi appresso gli Indi
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i loro re, che avanzano li sudditi d’eccellenza di bene in infinito, è però manifesto, che per molte cagioni egli è forza ordinare, che tutti comunichino della scambievole podestà d’ubbidire, e di comandare. Perchè giusto è il medesimo infra i simili, e con difficoltà può essere, che un governo si mantenga senza giustizia; perchè sempre con li non partecipanti del governo stanno di tutta la provincia quei, che son vaghi di cose nuove, e che li partecipanti d’uno stato sieno tanti di numero, ch’e’ prevaglino a tutti questi è impossibil cosa.
 
E contuttociò non si dubita, che li cittadini di magistrato non debbino essere differenti da quei che son privati. Ma qualmente stia questa cosa, e come e’ n’abbino a partecipare, è uffizio da considerarsi dal legislatore, ed io n’ho innanzi parlato; cioè, che la natura stessa ha fatto questa distinzione infra quegli, che per sangue sono una cosa medesima, facendo questi giovani, dico, e quegli vecchi; dei quali all’una parte sta bene d’ubbidire, e all’altra di comandare. E nessuno, che è inferiore d’età, ha per male di stare sottoposto, nè si stima da più del superiore, e tanto meno l’ha ei per male, quando e’ sa, che pervenuto a quegli anni, egli avrà quel medesimo onore.
 
Debbesi dire pertanto, che in certo modo e’ sieno li medesimi quei, che comandano, e quei che ubbidiscono; e in un altro, che e’ non sieno li medesimi. Onde l’erudizione medesimamente si debbe porre in un certo modo la medesima, e in un certo altro diversa. Che’ e’ si dice, che chi ha ad essere buon principe, debbe imprima avere imparato a star sotto li comandamenti. E del principato, siccome io ho detto innanzi, una sorte n’è per cagione del principe, e l’altra per cagione del suddito; dei quali principati l’uno si dice essere signorile, e l’altro libero. E certi servigi sono differenti non tanto per li fatti stessi, quanto per il
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fine, ch’e’ si fanno. Onde molti ministeri, che pare che abbino del servile, e ehe sieno da giovani, sta bene amministrargli agli uomini liberi; imperocchè l’azioni non si diversificano tanto por loro stesse dall’onesto, o dal brutto, quanto per il fine, e per la cagione, onde elle si fanno. Ma perchè noi diciamo ancora la virtù medesima appartenersi al cittadino, e a chi è in magistrato che s’appartiene all’uomo buono; e perchè il medesimo debbe innanzi ubbidire e poi comandare, però debbe il legislatore mettere ogni diligenza, che gli uomini si faccino buoni, e insegnare i precetti, onde egli abbino a farsi, e il fine della ottima vita.
 
L’anima nostra si divide in due parti, delle quali l’una ha la ragione in sè stessa e l’altra non l’ha in sè stessa; ma le può bene ubbidire; nelle quali due parti dico io essere le virtù, mediante le quali l’uomo diventa buono in certo modo. Delle quali due parti in quale d’esse è più il fine? Certo che chi le divide, come l’ho divise io, e’ non è dubbio qualmente ci si abbia a fare determinazione, che sempre il peggio è da stimarsi che sia per cagione del meglio. E ciò similmente apparisce per via dell’arte, e per via della natura, e però è migliore la parte che ha la ragione.
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E questa parte si divide in due, nel modo consueto da me di dividerla; e l’una si chiama ragione attiva e l’altra ragione speculativa. Onde è ancora necessario di dividere queste parti. E l’azioni d’esse parti diremo avere in fra loro la medesima corrispondenza, e che quelle, che sono più eccellenti per natura, maggiormente sieno appetibili da chi può conseguirle, o tutte, o almeno due di loro; che ciascuno invero sempre mai desidera più quella cosa, che è l’ultima e ch’è più difficile a conseguirsi.
 
La vita nostra ancora si divide tutta in ozio, e in negozio; in guerra,
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e in pace. E delle cose agibili parte ne sono necessarie, e utili, e parte ne sono oneste; delle quali è necessario fare la medesima divisione, che delle parti dell’anima, e delle azioni d’esse parti, cioè, che la guerra si dee torre a fare per fine della pace, e il negozio per fine dell’ozio, e l’azioni necessarie, e utili per fine dell’oneste.
 
Debbesi pertanto nel por le leggi aver l’occhio a tutte queste cose, e quanto alle parti dell’anima, e quanto alle azioni d’esse parti, ma molto più si debbe aver l’occhio alle più eccellenti, e a quelle che son fine. E il medesimo ordine si dee tenere nel divider le vite, e l’azioni, cioè, ch’e’ si debbe essere talmente disposto, che e’ si possa negoziare, e far guerra; ma che e’ si debba anteporre l’ozio, e la pace, e che e’ si debba fare le cose utili, e necessarie, ma molto più l’oneste. E a questi segni si debbono instruire quegli, che sono ancora giovanetti, così l’altre età, che abbin bisogno d’erudizione.
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Ma oggidì quelle città greche, che pare che abbino governo buono, e quei legislatori, che gli hanno ordinati, non pare già, che abbino indiritto i loro ordini in questi governi allo ottimo fine, nè che egli abbino posto le leggi, e l’erudizione all’intera virtù: anzi vilmente essersi inclinati a favorire l’utili, e quelle, che insegnano acquistare più. E in questo simile modo li più moderni, che hanno scritto leggi, hanno la medesima opinione dimostrato d’avere, che quei che prima: imperocchè lodando essi la republica di Sparta, e’ vengono ad amare il fine del legislatore spartano: perchè e’ vi fece tutti gli ordini per fine ch’ella acquistasse imperio, e potesse far guerra.
 
Li quali ordini dalla ragione sono riprensibili, e dagli stessi fatti sono al presente convinti; perchè così come la più parte degli uomini ha caro di signoreggiare ai più, imperocchè molte facultà, e molte prosperità di fortuna si
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traggono di simile impresa; però e ancora Tibrone pare che abbia amato il legislatore di Sparta, e il medesimo ha fatto qualunche altro che ha scritto di quella republica parendo loro, che per averla il legislatore esercitata assai ne’ pericoli, ella divenisse signora di più popoli.
 
Ma egli è manifesto, che ora che gli spartani non hanno più imperio, essi non sono più felici, nè il loro legislatore è più buono. Questa è ancora cosa ridicola, perchè essi abbino lasciato il ben vivere, osservando le leggi loro poste e non avendo avuto impedimento alcuno nell’eseguirle. Non stimano bene ancora costoro del principato, qual dico, debba essere pregiato maggiormente da un dator di legge; imperocchè l’imperio libero è più bello che non è l’imperio signorile ed è il primo più dalla virtù accompagnato.
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Oltra di questo e’ non si debbe perciò riputare la città felice, nè lodare per questo il legislatore, perchè egli abbia, cioè, esercitativi gli uomini alla guerra, e al signoreggiare ai vicini, imperocchè tai cose fanno un gran nocumento. Chè egli è manifesto che uno tale ordine insegnerà ancora nei cittadini a chi avrà più potenza di fare ogni cosa per signoreggiare la sua patria, di che incolpano gli spartani il re Pausania; avvenga ch’ei fusse constituito in quel grado. Che certamente nessuna di queste leggi è nè utile, nè vera; anzi il legislatore debbe imprimere nella città e nelle menti degli uomini quelle cose, che sono ottime e al privato e al publico.
 
Nè l’esercizio militare si debbe studiare per fine di soggiogare chi è indegno di stare sottoposto; ma principalmente perchè chi l’esercita non sia suggetto ad altri; e di poi per acquistare imperio, che giovi a chi è vinto, e non per acquistare imperio, in ogni modo sopra gli uomini; e nel terzo luogo per acquistarlo sopra chi è degno di stare sottoposto. E con le ragioni concordano li fatti
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a mostrare, che il legislatore debbe piuttosto indirizzar gli ordini militari, e tutti gli altri in maniera, che li uomini vi amino l’ozio, e la pace; con vedersi, che la più parte di queste città, che sono armigere, si mantengono infino a tanto ch’elle hanno da combattere: e acquistato ch’elle hanno l’imperio, ch’elle si spacciano, perchè nella pace elle arrugginiscono, non altrimenti che si faccia il ferro. E di ciò n’è stato cagione il legislatore, che non l’ha avvezzate a saper vivere in ozio.