Canti (Leopardi - Donati)/XII. L'infinito: differenze tra le versioni

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{{opera
|NomeCognome=Giacomo Leopardi
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|AnnoPubblicazione=primavera-autunno 1819
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{{capitolo
|CapitoloPrecedente=XI - Il passero solitario
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|CapitoloSuccessivo=XIII - La sera del dì di festa
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Canti/La sera del dì di festa
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<poem>
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
eE questa siepe, che da tanta parte
dellDell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati{{r|5}}
spaziSpazi di là da quella, e sovrumani
silenziSilenzi, e profondissima quiete
ioIo nel pensier mi fingo; ove per poco
ilIl cor non si spaura. E come il vento
odoOdo stormir tra queste piante, io quello{{r|10}}
infinitoInfinito silenzio a questa voce
voVo comparando: e mi sovvien l'eterno,
eE le morte stagioni, e la presente
eE viva, e il suon di lei. CosíCosì tra questa
immensitàImmensità s'annega il pensier mio:{{r|15}}
eE il naufragar m'è dolce in questo mare.
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[[Categoria:Testi-I|Infinito]]
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