Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799/Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo/Frammento II
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FRAMMENTO II
SOVRANITÀ DEL POPOLO
L’esercizio della sovranità ha due parti: la legislazione e l’elezione. Nel vero governo democratico il legislatore dovrebbe essere il popolo istesso; ma, siccome un tal sistema si crede, ed è, impraticabile in una nazione che abbia cinque milioni di abitanti ed occupi troppo vasta estensione di terreno, così ai comizi si è sostituita la rappresentanza. «Un popolo che ha dei rappresentanti cessa di esser rappresentato», dice Rousseau, e Rousseau ha ragione. La costituzione inglese non ha che la divisione dei poteri; è il primo passo verso la libertà, ma non è la libertà istessa. Poiché dunque è necessario far uso di rappresentanti, facciamo che essi rappresentino il popolo, e che la loro volontà sia quanto più si possa legata alla volontà popolare; rendiamoli responsabili dei loro voti; facciamo sì che il popolo possa chiederne conto, che almeno possa saperli; mettiamoli almeno nella necessità di consultare il popolo.
«I deputati di Olanda debbono — dice Sidney — render conto alle loro popolazioni, perché sono deputati di province; quelli d’Inghilterra non già, perché son rappresentanti di borghi». Rispettabile Sidney! permetti che io ti confessi di non intendere ciò che vuoi dire.
«Ciascun rappresentante — dice Pagano — rappresenta non giá il dipartimento che lo elegge, ma tutta la nazione napolitana». Questo è un passo di piú; almeno presso gl’inglesi il rappresentante rappresenta la cittá ed il borgo da cui viene eletto, e se non riceve degli ordini, almeno riceve delle istruzioni. Ciascun rappresentante non è risponsabile di veruna opinione, sebbene sia divenuta legge ed abbia formata l’infelicitá di una nazione intera. Questa è una ragionevole conseguenza del primo principio. Ma la nazione napolitana non avrá ragione, se poi si lagnerá che la sovranitá sia stata trasferita da Ferdinando in un’assemblea di duecento persone? Essa al certo non l’avrá riacquistata.
La costituzione di Robespierre concedeva maggiore autoritá alla nazione. Era però inseguibile il riunire tutt’i giorni il popolo in assemblee primarie, spesso tumultuose e sempre terribili. La costituzione di Robespierre non era la costituzione né della saviezza né della pace.
La nazione napolitana offre un metodo piú semplice. Essa ha i suoi comizi, e son quei parlamenti che hanno tutte le nostre popolazioni; avanzi di antica sovranitá, che la nostra nazione ha sempre difesi contro le usurpazioni dei baroni e del fisco. È per me un diletto ritrovarmi in taluni di questi parlamenti, e vedervi un popolo intero riunito discutervi i suoi interessi, difendervi i suoi diritti, sceglier le persone cui debba affidar le sue cose: cosí i pacifici abitanti delle montagne dell’Elvezia esercitano la loro sovranitá; cosí il piú grande, il popolo romano, sceglieva i suoi consoli e decideva della sorte dell’universo. Vuoi tu anche presso di noi il popolo sovrano? Senza i proclami, senza le ampollose frasi della rivoluzione, senza nemmeno far sospettare al popolo una novitá, di’ a tutti: «Un nuovo ordine di cose viene a restituire i vostri diritti. Ciascuna popolazione potrá da oggi in avanti provvedere ai suoi interessi, senza che i baroni possano piú violentare le vostre risoluzioni, senza che il fisco ne possa piú ritardare o storcere gli effetti. Quante liti non avete voi dovuto soffrire per sostenere í vostri diritti contro del fisco e dei baroni? Ebbene: da ora in avanti non vi saranno piú né baroni né fisco: i vostri interessi saran regolati e decisi da voi stessi».
Le popolazioni cosí adunate incominceranno dallo scegliere i loro munícipi, i quali debbono in una repubblica esser i primi magistrati, poiché debbono essere nel tempo istesso i principali esecutori degli ordini del governo ed i soli solenni convocatori dei comizi nazionali. Colla costituzione francese del 1795 tutta si è rovesciato. I munícipi non sono eletti dal popolo, e rendono conto delle loro operazioni al governo, cioè a colui che piú facilmente può e che spesso vuole esser ingannato.
Io perdono ai francesi il loro sistema di municipalitá: essi non ne aveano giammai avuto, né ne conoscevano altro migliore: forse non era né sicuro né lodevole passar di un salto e senza veruna preparazione al sistema nostro. Ma quella stessa natura, che non soffre i salti, non permette neanche che si retroceda; e, quando i nostri legislatori voglion dare a noi lo stesso sistema della Francia, non credi tu che la nostra nazione abbia diritto a dolersi di un’istituzione che la priva dei piú antichi e piú interessanti suoi diritti?
Che orribile caos è mai quell’assemblea elettorale! Qual campo all’intrigo ed all’oppressione non offre un collegio di persone, le quali non hanno che una momentanea autoritá, il di cui uso è tanto difficile a distinguersi dall’abuso! Non potendo prolungarla, il principale loro interesse sará di venderla prima di perderla. Non essendo il collegio elettorale né popolo né governo, sará facilmente oppresso da questo senza esser mai difeso da quello, che non difende giammai la volontá altrui con quell’istesso zelo con cui difende la propria. Non abbiam veduto noi tuttogiorno le assemblee elettorali di Francia corrotte e violentate? Il governo tempestava contro gli elettori; gli elettori si dolevano del governo: il popolo, che dovea essere il giudice, ondeggiava tra il governo e gli elettori. E che poteva mai fare il popolo? O dovea rimaner indolente spettatore, o, se voleva prender parte nella contesa, sarebbe inevitabilmente nata la guerra civile, poiché la legge non avea pensato né ad evitar l’operazione del popolo né a dirigerla. Si evita la guerra civile ordinando le cose in modo che né frode né violenza far si possa alla legge: si dirige l’operazione del popolo facendo almeno che la legge sia tanto chiara e precisa, che ogni frode, ogni violenza, che se le voglia fare, subito si riconosca, onde chi voglia opporsi alla violenza abbia la legge dalla sua parte. Quando tutto è incerto, tutto indeterminato, l’operazione del popolo potrá forse talora esser giusta, ma sará sempre illegale; e ciò che è illegale, o presto o tardi diventa ingiusto.
È ben difficile far violenza al popolo che elegge da se stesso. — Ma il popolo — tu dirai — anche s’inganna e può essere ingannato. — Machiavelli, il quale piú di ogni altro politico conosceva il popolo, crede che di rado s’inganni nei particolari. Ma s’inganni pure: sará sempre gran parte di libertá il poter fare da se stesso il proprio male.
Ciascuna popolazione dunque, convocata in parlamento (questo nome mi piace piú di quello di «assemblea»: esso è antico, è nazionale, è nobile; il popolo l’intende e l’usa: quante ragioni per conservarlo!), eleggerá i suoi munícipi. Essi avranno il potere esecutivo delle popolazioni, saranno i principali agenti del governo, e dovranno render conto della loro condotta al governo ed alla popolazione. La loro carica durerá un anno. Tu vedi bene che fino a questo punto altro non farei che rinnovare al popolo le antiche sue leggi.
Una delle funzioni del presidente della municipalitá sará quella di convocare i parlamenti della sua popolazione, di presedervi e di proporvi gli affari. Questi parlamenti si dovranno tenere in luoghi e tempi, e con solennitá determinate dalla legge. Con un’altra legge ne ordinerei la convocazione impreteribile in tutt’i quindici giorni.
Perché taluno vi fosse ammesso a votare, io richiederei:
1. Che ei sia maggiore di trent’anni. Il consiglio è per lo piú il frutto dell’etá: i troppo giovani stanno meglio al campo che al fòro.
2. Che sia ammogliato o vedovo. Non intendo perché siasi richiesta tale condizione solo per talune cariche, che si sono credute piú illustri. E quale carica sará piú illustre di quella di cittadino? Pochi mirano alla rappresentanza, pochissimi al ministero ed alla commissione esecutiva: una legge tanto utile alla repubblica noi la restringeremo solo a pochi, ed a quei pochi appunto i quali meno ne hanno bisogno? Credimi: il pericolo è che manchino i cittadini utili, che sostengono uno Stato; direttori e ministri, che lo voglian dominare, non mancheranno mai.
Tu comprenderai facilmente che io voglio ancora:
3. Che ei sappia leggere e scrivere.
4. Che abbia prestato servizio nella guardia nazionale.
5. Che non sia né fallito, né accusato di delitti i quali portin seco loro la perdita della vita naturale o civile e dell’onore: la legge determinerá quali sieno questi delitti.
6. Che possegga beni, o abbia un’industria, o eserciti un’arte la quale non sia servile. Non mi piace che si chiami «cittadino» ed abbia il diritto di votare un uomo, sol perché abita un territorio e paga una capitazione: o presto o tardi si riempiranno le assemblee di sediziosi, i quali turberanno tutto l’ordine pubblico. Se in Inghilterra lo spirito di partito spinge talora molti a donare ai loro partigiani i fondi necessari perché possano essere eletti rappresentanti, ad onta che i fondi che la legge richiede non sian di piccolo valore; quanti faziosi domineranno un’assemblea, ove il comprarsi un voto non costa che sei franchi?
Fin qui tutti o quasi tutti sono di accordo. Ma ti dirò che bramerei ancora che tutti fossero padri di famiglia? Uso questo vocabolo nel senso in cui l’usa la giurisprudenza nostra: «cui res tutelaque rei suae». I giovani mi perdoneranno il rispetto che io conservo per la piú antica, la piú cara e la piú santa delle autoritá, che in un governo libero, invece di distruggere, vorrei anzi rinforzare. Io non credo che altrimenti si possano aver costumi. Non sono forse anche io un giovane? Ebbene: io veggo che, se io sono uno stolto, se io provo tutto il caldo e risento tutte le tempestose agitazioni della mia etá, la mia voce può esser funesta nel comizio. Ma, se io son saggio, se le mie idee sono quelle della prudenza e dell’utile comune, io vi sarò superfluo, perché sarò ascoltato da mio padre, e mio padre parlerá per me. Non sarebbe però vietato ai figli di famiglia di accettare qualunque carica, che il popolo o il governo gli offerisse: in tal caso verrebbe ad essere tacitamente emancipato dalla legge, la quale, mentre lo allontana dal luogo ove potrebbe esser pericoloso, si serve di lui quando potrebbe esser utile. Cosí praticavano anche i romani; e, quando presso di loro un figlio di famiglia, provato in varie cariche minori, giugneva a meritarne talune, le quali richiedevano la piú gran fiducia, allora si credeva superiore a tutt’i sospetti ed era per sempre emancipato. Qual differenza tra noi ed i romani! Noi crediamo tutti gli uomini saggi e virtuosi: essi li volevan formar tali, e non eran contenti; volevan anche sperimentarli.
Ti ho parlato di quest’oggetto, perché lo veggo troppo trascurato nelle costituzioni moderne. Agli americani ne fu fatto un rimprovero. Non amo dar tanto ai vecchi quanto davano Roma, Sparta e tutti gli antichi legislatori, che piú cura di noi si prendevan de’ costumi e della virtú; ma veggo bene che oggi si corre all’estremo opposto e si dá troppo ai giovani.
Organizzate in tal modo le municipalitá e determinati i diritti de’ cittadini, convien farli agire. La mia prima legge costituzionale sarebbe che «qualunque popolazione della repubblica riunita in solenne parlamento possa prendere sui suoi bisogni particolari quelle determinazioni che crederá le migliori; e le sue determinazioni avran vigore di legge nel suo territorio, purché non siano contrarie alle leggi generali ed agl’interessi delle altre popolazioni».
Questo diritto non si può togliere alle nostre popolazioni, perché lo aveano anche nell’antico ordine di cose, per quanto loro lo permetteva l’arbitrio di chi regnava; non si deve togliere, perché giusto ed utile alla nazione intera.
La legge è la volontá generale; ma, mentre che la nazione ha la sua legge, ciascun individuo ha la sua volontá particolare, e la libertá altro non è che l’accordo di queste due volontá. L’uomo solo è sempre libero, perché la sua legge non è che la stessa sua volontá individuale. Allorché piú uomini si riuniscono in nazione, la volontá generale rimane sempre unica, ma cresce il numero delle volontá individuali in ragion dell’aumento del numero degli individui; crescono col numero le dissimiglianze tra le due volontá, e colle dissimiglianze crescono i malcontenti e gli oppressi. Questa è la ragione per cui durar non possono le grandi repubbliche, poiché, essendo impossibile che tante volontá individuali possano tutte andar di accordo colla generale, sará inevitabile o che ciascuno dia sfogo alla sua volontá individuale, ed allora lo Stato cadrá nell’anarchia; o che vi sia una forza, la quale costringa l’uomo ad ubbidire anche suo malgrado: questa forza dovrá esser diversa dalla forza del popolo, e l’uomo allora non sará piú libero: sará o licenzioso o schiavo.
Ma osservisi dall’altra parte l’ordine della natura, e vedrassi che ella ha indicati i rimedi a tutti quei mali che temono i filosofi. Osserviamo come si formano le leggi. I primi uomini che si unirono in societá, in piccolo numero, di costumi semplici e pressoché uniformi, ebbero poche leggi: ciascuno presso a poco bastava a se stesso; pochi erano i bisogni pubblici, pochi i pubblici mali; le loro leggi non erano altro che le pratiche de’ loro maggiori. Ma queste leggi, sebben poche di numero, erano però severe: ciò vuol dire che abbracciavano tutti gli oggetti: proprietá, matrimoni, religione, costumi, vesti, cibo, le corde istesse della lira di Timoteo...; tutto con oggetto della legge, perché tutti volean lo stesso. Cosí a Sparta, sotto il piú severo de’ governi, l’uomo continuava ad esser libero.
Crebbero le popolazioni, si estesero le idee, i bisogni si moltiplicarono, la volontá privata non fu piú uniforme alla pubblica, il costume antico perdette la sua santitá, incominciarono le frodi alle leggi, la frode fu seguita dal disprezzo, il disprezzo dall’insulto. Per distruggere la legge si fece guerra ai difensori delle medesime; venne l’anarchia, e dopo l’anarchia il dispotismo. Ma sai tu perché l’usurpatore fu accetto? Perché rallentò il rigore delle leggi antiche; perché non si occupò che di pochi oggetti, che sottopose alla volontá sua, che allora prese il nome di «volontá generale», ed abbandonò il rimanente alla volontá individuale di ciascuno. Rammenti il discorso che Livio mette in bocca de’ figli di Bruto? Ebbene: quello stesso linguaggio tiene ogni uomo che siegue un usurpatore, ogni nazione che lo soffre. «Idque apud imperitos ‘humanitas’ vocabatur, cum pars servitutis esset».
Io non so quali ti sembreranno queste mie idee: non sono le idee dei costituzionari di oggigiorno; forse non sono le idee di nessuno. Che importa? Sono le mie, e le credo confermate dall’esperienza di tutt’i secoli.
Quanto piú dunque le nazioni s’ingrandiscono, quanto piú si coltivano, tanto piú gli oggetti della volontá generale debbono esser ristretti, e piú estesi quelli della volontá individuale. Ma, affinché tante volontá particolari non diventino del tutto singolari, e lo Stato non cada per questa via nella dissoluzione, facciamo che gli oggetti siano presi in considerazione da coloro cui maggiormente e piú da vicino interessano. Vi è maggior differenza tra una terra ed un’altra che tra un uomo ed un altro uomo della stessa terra. Se la base della libertá è che ad ogni uomo non sia permesso di far ciò che nuoce ad un altro, perché mai ciò non deve esser permesso ad una popolazione? Perché mai, se una popolazione abbia bisogno di un ponte, di una strada, di un medico, e se tutto ciò richiegga una nuova contribuzione da’ suoi cittadini, ci sará bisogno che ricorra all’assemblea legislativa, come prima ricorrer dovea alla Camera? Come si può sperare che quelle popolazioni, le quali erano impazienti del giogo camerale, soffrano oggi il giogo di altri, i quali sotto nuovi nomi riuniscono l’antica ignoranza de’ luoghi e delle cose, l’antica oscitanza?...
Oggi noi abbiamo ottimi governanti; ma gli avremo noi sempre? Or la buona costituzione non è quella che solo porta al governo gli ottimi: allora la nazione sará felice, qualunque sia la forma del suo governo. Ma, siccome è inevitabile di aver talvolta i mediocri, e talora anche i pessimi, la buona costituzione sará quella che anche allora, e quasi a dispetto degli uomini, forma la felicitá dello Stato. Allorché è consolo Scipione, è Scipione che vince Cartagine; ma quando è consolo Varrone, ma dopo la disfatta di Canne, la sola costituzione può salvar la repubblica. Ma, per giugnere a conseguir quest’oggetto, è necessario di fidarvi quanto meno potete negli uomini e quanto piú potete nelle cose.
Quante buone opere pubbliche noi avremmo, se piú libero si fosse lasciato l’esercizio delle loro volontá alle popolazioni? Ho scorso parte del littorale dell’Adriatico: non vi è quasi popolazione, la quale non abbia un fondo destinato a formarsi un porto, indispensabile in un mare tempestoso; non vi è quasi popolazione, la quale non l’abbia un giorno avuto, o almeno incominciato. Ma da che si è posto un freno alle municipalitá, si è raffreddato anche lo spirito pubblico: il governo ha preso cura di tutto; ma il governo, volendo tutto far solo, o non ha fatto nulla, o ha fatto tutto male.
L’Italia prima del quarto secolo di Roma, la Grecia nei suoi piú bei tempi, mostrarono quanto possa l’attivitá nazionale sviluppata in tutt’i suoi punti: l’alta Italia fino al decimoquinto secolo rinnovò gli esempi della Grecia. Un viaggiatore che abbia letto Pausania, se passa le Alpi e scende nella Lombardia, si crederá, dice Chátelux. trasportato in Grecia. Cangia la sorte della nazione, affida tutto ad un solo (sia un re, o sia un’assemblea);e vedi se in cosí picciola estensione di terreno vedrai sorgere Venezia, Padova, Verona, Brescia, Milano, Bologna, Torino, Firenze, Genova... Tu vedresti una o due cittá grandissime, popolatissime, oppresse dal lusso e dalla ricchezza, ed il rimanente non esser che un deserto.
Quelle nazioni hanno maggior numero di grandi cittá, che piú tardi si son riunite in un solo corpo: molte ne ha la Francia, divisa quasi fino a Luigi decimoquarto; la Spagna, divisa fino a Ferdinando il cattolico, ne ha ancora; moltissime ne ha la Germania, divisa fino ai tempi nostri; il regno di Napoli e d’Inghilterra, riuniti prima degli altri, non hanno che immense capitali senza una cittá nelle province.
— Tu dunque vorresti una repubblica federativa? — No: so gl’inconvenienti che seco porta la federazione; ma, siccome dall’altra parte essa ci dá infiniti vantaggi, cosí amerei trovar il modo di evitar quelli senza perdere questi. Vorrei conservare al piú che fosse possibile l’attivitá individuale. Allora la repubblica sará, quale esser deve, lo sviluppo di tutta l’attivitá nazionale verso il massimo bene della nazione, il quale altro non è che la somma dei beni dei privati. L’attivitá nazionale si sviluppa sopra tutt’i punti della terra. Se tu restringi tutto al governo, farai sí che un occhio solo, un sol braccio, da un sol punto debba fare ciò, che vedrebbero e farebbero mille occhi e mille braccia in mille punti diversi. Quest’occhio unico non vedrá bene, lento sará il suo braccio; dovrá fidarsi di altri occhi e di altre braccia, che spesso non sapranno, che spesso non vorranno né vedere né agire: tutto sará malversazione nel governo, tutto sará languore nella nazione. Il governo deve tutto vedere, tutto dirigere.
Quanto piú rifletto su questi oggetti, tante piú ragioni trovo da credere che fondar la repubblica napolitana altro non sia che rimetter le cose nell’antico stato, e togliere gli ostacoli che le vicende dei tempi e la barbarie degli uomini hanno opposti alla naturale libertá dei popoli. Se il ristabilimento del sistema municipale ci procura infiniti vantaggi, ci salva anche nel tempo istesso da mali infiniti. Gli oggetti della legislazione debbono esser generali, ed intanto la natura non produce che individui. Il governo, per esempio, ha bisogno di tributi certi, pagati in tempi determinati; ed intanto i prodotti della nazione, dai quali debbonsi i tributi raccôrre, sono vari ed incerti. Una popolazione non ha che derrate, un’altra non avrá che manifatture: tra quelle stesse le quali non hanno se non una ricchezza territoriale, qual varietá nei prodotti e nei tempi dei prodotti! Una popolazione della Messapia non ha altro prodotto che l’olio, e deve aspettarne il ricolto nel mese di novembre; l’abitante dei piani della Daunia, pastore ed agricola, lo ha giá nel mese di luglio; pastore ed agricola, l’abitatore delle fredde montagne dell’Apruzzo deve aspettare fino a settembre: l’agricoltore raccoglie in un giorno solo il frutto delle fatiche di un anno; il manifatturiere lo raccoglie ogni giorno; il commerciante aspetta il tempo delle fiere. Ben duro esattore sarebbe colui che obbligasse tutti a pagar nello stesso tempo e nello stesso modo; e questa sua durezza che altro sarebbe se non ingiustizia? All’incontro tu non potresti giammai immaginare una legge, la quale abbia tante eccezioni, tante modificazioni, quanti sono gli abitatori della tua repubblica: non ti resta a far altro se non che imporre la somma dei tributi e farne la ripartizione sopra ciascuna popolazione, lasciando in loro balía la scelta del modo di soddisfarla; cosí la volontá generale della nazione determinerá l’imposizione, la particolare determinerá il modo: questa non potrebbe far bene il primo, quella non potrebbe far bene il secondo.
Quante vessazioni si risparmiano al popolo con questo sistema! Quanta spesa risparmia il governo! Una popolazione convocata in parlamento è sempre meno ingiusta e meno dura di un esattore fiscale: gli agenti che essa si elegge lo sono sempre meno di un ricevitore destinato dal governo. I francesi, i quali sotto i re non aveano neanche l’idea del sistema municipale, aveano nel tempo istesso un sistema di finanze il piú duro che si possa immaginare: il popolo, diviso per parocchie, era in balía di un ricevitore, cui si consegnava numerato come un gregge e cui si dava per appalto la vita degli uomini. Questo disordine rendeva le finanze di Francia piú pesanti che tutto il deficit e tutt’i tributi. Vauban, il quale, immaginando la sua decima, ha prodotto nella scienza delle finanze una setta della quale egli non era, avea compreso che tutto il male nasceva dal cattivo sistema di riscossione; ma il rimedio che propose non era eseguibile, né dopo lui verun altro ha saputo proporne uno piú efficace. Se io avessi dovuto riformar le finanze di Francia, avrei riformato il metodo di esazione, e cosí se ne sarebbe tolto tutto l’orrore. Difatti io veggo che la corvée, la quale tanto pesava ai francesi, era tollerata in Roma, nei tempi piú felici della repubblica, da quel popolo che piú degli altri era intollerante dei tributi.
Noi abbiamo un esempio dell’effetto che possono produrre le leggi la di cui esecuzione sia affidata alle popolazioni. Tu ben sai quanto si è speso per aver le strade nelle nostre regioni, e le strade non si avevano: gli agenti del fisco e gli architetti assorbivano tutto. Si volle la strada di Sora. Parisi, cui questa operazione fu commessa, dopo averne fatto il disegno, invitò ciascuna popolazione a formarne quella parte che cadeva nel suo territorio. La strada si ebbe in un anno; e, ad onta delle malversazioni che pure vi furono, costò appena un terzo di quello che la costruzione delle altre strade costava.
Tu ben vedi che io mi sono immerso in una discussione di finanze; ma quale oggetto è estraneo ad una costituzione? Io non credo la costituzione consistere in una dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. E chi non sa i suoi diritti? Ma gran parte degli uomini li cede per timore; grandissima li vende per interesse: la costituzione è il modo di far sí che l’uomo sia sempre in uno stato da non esser né indotto a venderli, né costretto a cederli, né spinto ad abusarne. Il maggior numero delle rivoluzioni che hanno finora scossa la terra, non esclusa neanche quella religiosa di Lutero, hanno avuto o causa o fomento da un disordine di finanze.
Io so le difficoltá che ai miei princípi si potrebbero opporre. La prima nasce dal timore, che taluno avrá, che le operazioni del governo siano troppo ritardate dalla soverchia autoritá che io do alle assemblee municipali. Vano timore! Non potendo i parlamenti municipali far legge generale, tu vedi che altro non potranno fare se non il bene; poiché ciò che è male è male da per tutto, ed o presto o tardi diviene oggetto della legge generale. Vano è anche il timore della lentezza nell’esecuzione della legge. Non vedevamo noi anche nell’abolito governo le popolazioni aver quella stessa autoritá che io vorrei dar loro nella nuova costituzione, ed intanto tutto esser nell’ordine? Non vediamo lo stesso ordine nell’Austria, nell’Ungheria e negli altri paesi di Europa, ove vi sono i stati per ripartire ed esigere quelle imposizioni che alle corti piace d’imporre? Questi stati hanno somministrata la prima idea delle amministrazioni francesi, che Pagano nostro ha senza modificazione imitate. Ma, il sistema municipale una volta cangiato, tu vedi bene che dee riformarsi anche l’amministrazione dipartimentale.
Un’altra difficoltá... Come fare per impedire le brighe nei parlamenti, e per far sí che la volontá del popolo non sia estorta né sforzata? Il primo preservativo contro questo male è il far sí che nei parlamenti vi entrino i migliori uomini della nazione. Il migliore dei governi, dice Aristotile, è quello in cui gli ottimi hanno maggiore influenza. Ora gli ottimi non si ricercano per individui, ma per classi: le avvertenze proposte di sopra, ed altre che si potrebbero prendere, producono appunto l’effetto di dare alla classe degli ottimi l’influenza maggiore. Altro rimedio: qualunque risoluzione prenda una popolazione non avrá vigor di legge se non dopo un mese. Tra un mese, in due altri parlamenti posteriori potrá rivocarla; tra un mese, ciascuno del popolo potrá ricorrere all’eforato, cui spetterá di conoscere della validitá o invaliditá della risoluzione presa. Non vedevamo noi nell’antico governo la regia Camera aver questa cognizione? Ma la regia Camera in una costituzione monarchica prese lo spirito del governo, e giudicava non solo della validitá, ma anche dell’espedienza, ossia della ragionevolezza e della giustizia della volontá altrui: per desio di far troppo, si rendeva spesso ingiusta e sempre ridicola. La volontá generale è sempre giusta. L’eforato non potrá far altro che vedere se qualche risoluzione, contro la quale si reclama, sia o no volontá generale. Le funzioni dell’eforato sarebbero presso a poco quelle stesse che l’areopago esercitava nella pubblicazione delle leggi e ne’ giudizi criminali presso il popolo ateniese.
L’ultima difficoltá finalmente vien da coloro, i quali ricercano in tutte le cose quell’uniformitá, che tanto si accosta all’esattezza degli uomini e tanto si allontana dall’esattezza della natura. Io non voglio altra uniformitá che nell’amor della patria. Che m’importa che ciascuno operi a suo modo, quando le operazioni di ciascuno, diverse tra loro, tendono tutte al bene generale? Tanto meglio se la massima libertá della patria si ottenga conservando la massima libertá dell’individuo! Allora l’amor sociale sará l’amor di se stesso.
Spesso i nostri filosofi temono tutt’i possibili, come i matematici dell’isola di Laputa. Se avessi tempo, ti saprei predire appuntino qual uso le nostre popolazioni farebbero della loro sovranitá municipale. — Ma pure taluna direbbe, farebbe?... — Ebbene: allora la forza di tutte le altre, la forza del governo le manterrebbe a dovere. — Ma se tutte, se il maggior numero?. . . — Ed allora, caro mio filosofo, scuoti la polvere dei tuoi piedi, ed abbandona una cittá che non ti vuol ricevere. Essa è piú forte di te, ed in conseguenza è piú giusta; poiché, se è piú forte, dev’esser anche la piú numerosa, e siccome la giustizia non è che la massima felicitá divisa pel massimo numero delle persone, cosí tu, che hai reso questo maggior numero scontento, devi aver necessariamente il torto.
Il popolo ama il governo tanto quanto il governo ama il popolo. E come non amerebbe un governo buono, dice Gordon, mentre tanta affezione mostra anche per que’ sovrani che meno la meritano? Egli spesso ha ragione, sempre è potente; eppure è sempre l’ultimo a far valere i suoi diritti: tanto il rispetto per la santitá delle leggi e l’amore dell’ordine può sull’animo suo!
Sei tu ormai persuaso della ragionevolezza dell’articolo, che io vorrei fondamentale nella costituzione nostra? Tu mi concederai anche questo secondo: «Se due o tre popolazioni diverse avranno interessi comuni, potranno provvedervi allo stesso modo; ed, ogni qual volta le loro risoluzioni saranno uniformi, avranno forza di legge obbligatoria per tutte le popolazioni, interessate».
Finché si possono riunire le popolazioni, è superflua la rappresentanza. Ma subito che gl’interessi diventano troppo estesi, ed impossibile riesce riunire le popolazioni, la rappresentanza diventa necessaria. Gli oggetti generali appunto sono quelli per li quali il popolo è inetto, e meglio sono affidati ad un congresso di savi.
Noi dunque avremo un’assemblea di rappresentanti, il numero de’ quali sará proporzionato alla nostra popolazione. Pagano ha seguita la divisione de’ dipartimenti fatta dal nostro Zannoni, e, dando ad ogni dipartimento dieci rappresentanti, ha formato un corpo legislativo di centosettanta individui. Mi sarebbe piaciuto che il numero dei rappresentanti fosse stato eguale a quello de’ cantoni, cosicché ogni rappresentante appartenesse ad un cantone in particolare, e per eleggerlo non vi fosse necessitá di convocare un intero dipartimento (convocazione che, non potendosi far senza tumulto, ha dato luogo all’assemblea elettorale); ma le popolazioni di un cantone, riunite in una moderata assemblea, sceglierebbero il rappresentante loro nel modo istesso in cui oggi la popolazione di ogni terra, riunita in parlamento, sceglie il suo avvocato o il suo procuratore, che riseder debba nella capitale. L’officio di rappresentante e quello di procuratore debbono differir tra loro meno di quello che si pensa.
La costituzione francese confonde municipalitá con cantone: cosicché ogni cantone potrá avere piú popolazioni, ma non avrá mai piú di una municipalitá. Io distinguo due parlamenti: uno municipale per ogni popolazione di un cantone; l’altro cantonale per tutte le diverse popolazioni che compongono un cantone medesimo. Imperocché, avendo ogni popolazione alcuni interessi particolari ad alcuni altri comuni, è giusto che talvolta prenda delle risoluzioni comuni e tal altra delle particolari. Ma le unioni cantonali non debbono occuparsi di altro che delle elezioni che la legge loro commette: inutile, incomodo, pericoloso sarebbe incaricarle di oggetti che richiedessero una riunione troppo frequente. I cantoni, seguendo questi princípi, potrebbero essere un poco piú grandi di quelli di Francia.
Non mi piace neanche che Pagano abbia imitata la costituzione francese nel modo di rinnovare il corpo legislativo. Quel terzo, che se ne deve rinnovare in ogni anno, porta seco un disquilibrio troppo violento di opinioni, mentre le repubbliche debbono esser fondate sulla perpetuitá delle massime. Troppo incostante verrebbe ad essere il sovrano di un popolo. Troppo considerabili sarebbero gli effetti dei suoi cangiamenti, perché gl’intriganti, e specialmente il potere esecutivo, sempre usurpatore, non pensi a trarne profítto; e subito che entri in tale speranza, impossibile sará resistere alle sue pratiche. Tu sai ciò che il Direttorio fa nelle elezioni di Francia. Ma se, invece di farsi le elezioni dai dipartimenti, si facessero dai cantoni; se la rinnovazione si facesse a poco a poco, uno, due, tre, quattro cantoni in diversi luoghi della repubblica eleggerebbero tranquillamente i loro rappresentanti, ed a capo di tempo tutto il corpo legislativo si troverebbe rinnovato, senza veruna scossa nelle opinioni e nei princípi dello Stato e senza che vi fossero molte brighe. Imperciocché il mover brighe per un solo che si debba cangiare in una numerosa assemblea, sarebbe inutile; continuarle per tutte le elezioni, né sarebbe facile, né darebbe a sperar veruno effetto, se non dopo lungo tempo, cioè quando colui che spera per lo piú sarebbe fuori di carica. Vi sono due nature di brighe: taluni brigano per aver una carica; altri perché si dia a chi ne abusi in favor loro. Di questa seconda natura sono per lo piú le brighe delle autoritá costituite, e riescon sempre piú delle prime fatali alla libertá dei popoli. Ma tali brighe sarebbero del tutto estinte, seguendo il nostro sistema, poiché estinta sarebbe allora la speranza di trarne profitto, che sola le ispira e le fomenta.
Questo numero di centosettanta rappresentanti sará divisa in due Camere o riunito in una sola? Pagano ha creduto che la divisione fosse necessaria ed utile; solo ha cangiate le funzioni di ciascuna Camera: in Francia il Gran Consiglio propone e quello dei seniori approva; egli al contrario ha creduto piú opportuno che proponga il secondo ed approvi il primo. Quando io fossi persuaso dell’utilitá della divisione, sarei perfettamente di accordo con Pagano sulle funzioni di ciascuna Camera.
Ma a che serve questa divisione di Camere, ove non vi sia divisione d’interessi? In Inghilterra ha una ragione, perché gli uomini non sono eguali; ha una ragione anche in America, poiché, sebbene gli americani avessero dichiarati tutti gli uomini eguali per diritto, pure (ed in ciò han pensato come gli antichi) non si sono lasciati illudere dalle loro dichiarazioni, ed han veduto che rimane tra gli uomini una perpetua disuguaglianza di fatto, la quale, se non deve influir nell’esecuzione della legge, influisce però irreparabilmente nella formazione della medesima. Gli americani han ricercata nelle ricchezze quella differenza che gl’inglesi ricercan nel grado. La costituzione francese ha adottato inutilmente lo stabilimento americano.
Si è fatto tanto caso dell’«iniziativa delle leggi»: parola che Delolme ha posta in moda, e che è inutile fuorché nell’Inghilterra. Ove non vi è conflitto d’interessi, ove i motivi di corruzione (poiché questi non è sperabile che si tolgano in verun governo) sono eguali in tutti, ivi date l’iniziativa a chi volete. A che serve mantenere assoldata un’assemblea di cinquecento progettisti?
È un bel dire che la divisione dei Consigli arresti la naturale rapiditá del corpo legislativo. Tu soggetterai, come piú ti piace, i due Consigli a due, tre, quattro letture; stabilirai quell’intervallo che vorrai tra una lettura e l’altra: ma prevederai tu che vi possono esser dei casi di urgenza, in cui sia necessario dispensare a questa formalitá? Or chi sará il giudice di questa urgenza? Lo stesso corpo legislativo. E allora addio formole, addio istituzioni! Tutto sará rovesciato. Tra cento leggi promulgate dal poter legislativo francese, tu conterai novantanove precedute dalla dichiarazione di urgenza, ed una appena che sia realmente urgente.
Io son persuaso della veritá della massima di Pagano, che i pochi e savi meglio riescono a proporre, i molti meglio riescono a discutere ed approvare. Trovo al par di lui lodevole l’istituzione dei senati nelle repubbliche antiche. Ma nelle moderne, né quelli che propongono sono pochi, né quelli che risolvono sono molti; ed a forza di un segreto sorite si è ridotta la differenza, che passa tra coloro che propongono e coloro che risolvono, ad esser quasi che insensibile. Una differenza immensa vi era tra il senato ed il popolo di Atene. Ma immagina per poco che tutto il popolo ateniese fosse stato composto di sole centosettanta persone; ed aggiugni che tutti fossero stati saggi, intelligenti, ben costumati, quali debbono essere o almeno suppor si debbono i nostri rappresentanti, e lontani tutti da quei vizi che rendono il popolo inetto a far buone leggi; immagina, dopo ciò, che un legislatore avesse detto a cinquanta di essi: — Voi siete il senato — ed agli altri centoventi: — Voi siete il popolo: — io temo forte che i sollazzevoli ateniesi avrebbero riso del loro Solone. Siccome molte massime riescono in piccolo e non in grande, cosí al contrario molte altre sono utili e sagge in grande, superflue e perciò puerili in piccolo...
Qui si parla lungamente dell’organizzazione per la nazione napolitana; dell’iniziativa affidata ad una piccola consulta; della discussione affidata a tutt’i rappresentanti riuniti in una Camera sola, obbligati a ricever le istruzioni da que’ cantoni a’ quali appartengono. Si stabilisce un modo solenne, col quale tutt’i progetti di legge debbano esser proposti, pubblicati e sottomessi all’esame delle popolazioni, prima che passino alla risoluzione de’ rappresentanti... Ma tutto ciò si tralascia come cosa che interessa la sola nazione napolitana. L’autore delle lettere passa a sciogliere una difficoltá che se gli proponeva sull’urgenza di taluni affari, che in molti casi par che costringa a dispensare alle solennitá richieste dalla costituzione.
Urgenza! nome funesto, che distrugge tutte le repubbliche! Quando i romani eran padroni della terra, quando ne’ loro comizi si discutevano i piú gravi interessi del mondo, non si avvisarono mai i saggi romani di alterare la loro costituzione per servire all’urgenza dei loro affari.
Quali sono mai i casi di urgenza? Io rido ogni volta che veggo annunciate con questo nome le leggi criminali, le leggi civili, quelle leggi che debbono decidere della sorte di due secoli, e che forse richieggono un anno almeno di discussione e di esame. La vera, la sola urgenza è il pericolo della patria, minacciata ed attaccata da un nemico o da un traditore; e la natura de’ mali veramente urgenti è tale, che, passato il pericolo, non rimane di essi piú che la memoria. Sarebbe follia voler conservare, passato il pericolo, quelle leggi che il solo pericolo ha dettate.
La nuova diplomazia di Europa ha fatto sorger nuove specie di urgenze e nelle guerre e ne’ trattati; ma queste urgenze sono nate, se ben si riflette, dagl’ingiusti princípi di ambizione, che tutte le potenze hanno, e dal cattivo stato in cui presso tutte le nazioni sono gli ordini della guerra. E quando verrá finalmente il tempo in cui i re e le repubbliche rinunzino ai loro progetti di conquiste, qualunque sia il titolo che loro si doni ed il pretesto onde si colorano, ed alle preponderanze politiche, piú funeste e non meno ingiuste delle conquiste medesime? Qual nobile spettacolo darebbe di sé quella nazione, che dichiarasse in faccia al mondo intero i suoi diritti di guerra e di pace; ed, enumerando i casi ne’ quali respingerá ogni aggressore e difenderá la sua sicurezza ed il suo onore, dia per tutti gli altri casi all’umanitá intera la parola della pace! Tale nazione metterebbe la giustizia per suo articolo costituzionale; essa rimenerebbe sulla terra desolata i bei giorni di Numa, o almeno quelli meno illustri, ma anche meno favolosi di Penn. Questa nazione, pronta sempre a far la guerra ogni volta che la giustizia il richiegga, non avrebbe quasi mai bisogno di nuova legge per dichiararla, ma correrebbe all’invito del governo ove la chiamerebbe la salute della patria; e l’editto ordinator di guerra non sarebbe che l’esecuzione della piú santa delle sue leggi costituzionali.
Forse un dolce delirio mi illude: ma sará però sempre vero che i casi di urgenza, quando anche esistano, sono piú rari di quel che si pensa. Essi si sono moltiplicati per la smania di voler troppo restringere il potere esecutivo; e l’aver voluto dare al potere legislativo ciò che non gli dovea appartenere, ha fatto sí che siesi disordinato. L’urgenza per lo piú richiede per rimedio un fatto e non giá una legge: in ogni caso, val meglio per urgenza sospendere la costituzione che alterarla. Si può per urgenza creare un dittatore o darne le facoltá al governo; si può dare all’assemblea legislativa il potere che avea talora in Roma il senato; si possono immaginare mille altri espedienti, i quali poi tutti in ultima analisi si riducono alla dittatura. Ma il dittatore, il quale per un momento è superiore alla legge, tutto deve poter fare fuorché leggi...