Saggio di curiosità storiche intorno la vita e la società romana del primo trentennio del secolo XIX/La sede vacante per la morte di Leone XII

La sede vacante per la morte di Leone XII

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Avvisaglie di rivolta La nuova piazza del Popolo

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La sede vacante per la morte di Leone XII.


Dopo il lungo e procelloso pontificato di Pio VII, spentosi nell’agosto del 1823, era stato innalzato agli onori della tiara il Cardinal Della Genga, che prese il nome di Leone XII.

Questi, persuaso in cuor suo che l’ultime traversie del Papato fossero state causate dalle idee liberali, che s’erano diffuse in [p. 64 modifica]ogni angolo, salito appena al trono, bandi una vera crociata contro il liberalismo, e nell’imminenza dell’anno santo mandò intorno compagnie di frati per predicare penitenza e ravvedimento. Nei trivi, nelle vie, e nelle pubbliche piazze, nella stessa piazza Colonna e Navona, salivano in bigoncia questi nuovi apostoli, chiacchierando più di politica che di religione; ma le loro concioni non spaventavano i massoni, non spaventavano i carbonari, i quali dal canto loro seguitavano la propaganda attiva, non all’aria aperta, ma nel segreto; e gli odi politici si acuivano ed accrescevano, e gli attentati si moltiplicavano. Invano la reazione più fiera portava lagrime e lutto in ogni famiglia; le idee liberali acquistavano ogni giorno nuovi proseliti, malgrado la delazione più sfacciata e infame, incoraggiata con ogni arte, mietesse vittime di rei e d’innocenti in ogni paesetto dello Stato. Proprio nell’anno santo furono clamorosamente giustiziati sulla piazza del Popolo Targhini e Montanari; la reazione più feroce imperversò insomma nello Stato pontificio per tutto il pontificato di Leone XII. Ma nel popolo restò maledetta la sua memoria, e, quando nel 10 febbraio 1829 si sparse per Roma la notizia della sua morte, per ogni dove si mandò quasi un sospiro di sollievo, ed approfittandosi della libertà concessa a tutti, durante la sedo vacante, un diluvio di satire si scatenò contro il governo e contro il defunto pontefice. Invano fu messa una sentinella notte e giorno davanti al simulacro di Pasquino con ordini severissimi, le satire furono affisse in ogni angolo1. Il periodo della sede vacante segnava in tutto lo Stato pontificio il tempo più adatto alla licenza ed all’anarchia; in questa specie d’interregno molte cose erano permesse, ed il popolo ne approfittava volentieri. L’esaltazione però giunse questa volta al colmo e si temè sul serio lo scoppio di qualche rivolta, specie dopo la notizia dei moti di Cesena, ma le misure eccezionali, prese dal Governatore, la ritardarono di [p. 65 modifica]alcuni mesi.2 La mattina dell’undici febbraio, dopo che la campana del Campidoglio ebbe dato l’annunzio che il pontefice Leone XII era morto, Pierino Ricci, come uno dei presidenti di Rione, si recò in formalità per parte del Popolo Romano alle Carceri Nuove a liberare alcuni carcerati, come portava l’uso, mentre l’altro presidente di Rione, Nicolai, si portava alle Carceri del Campidoglio a fare la stessa funzione.

La Sede vacante rappresentava per i Romani, avidi sempre di cortei e processioni, un vero divertimento. Quell’anno il Conclave si tenne al Quirinale, ed a vedere il lungo e sontuoso corteo di Cardinali e Monsignori conclavisti, che vi si recavano da S. Silvestro, accorse una folla immensa, che impediva quasi il passaggio. La nuova elezione fu lunga e laboriosa; purtuttavia gran popolo accorreva ogni sera ad aspettare la proclamazione. Le continue processioni per le vie del clero secolare e regolare, per impetrare da Dio una sollecita elezione del nuovo Pontefice, richiamavano in questi giorni gran gente, ma il richiamo maggiore era costituito dal solenne corteo che accompagnava gli ambasciatori esteri, che andavano a presentare le condoglianze per il morto Pontefice, a nome del loro Governo, e le credenziali di legati straordinari presso il Sacro Collegio. Lunghi, splendidi e ricchi erano questi cortei che spesso s’intrecciavano nelle vie di Roma e gran folla di gente trasse anche [p. 66 modifica]questa volta a vederli ammirata3. Il 31 marzo finalmente il Conclave ebbe termine: s’avvicinava il mezzodì di quel giorno ma ancora non si vedeva la solita fumata: una gran folla attendeva sulla piazza del Quirinale e comentava variamente il ritardo; si diceva che la fumata era già avvenuta, ma tuttavia anche sotto una pioggia dirotta si continuò ad aspettare per qualche ora e più. Alfine, dopo le due pomeridiane, mentre la piazza presentava per la moltitudine degli ombrelli un bellissimo colpo d’occhio, comparve la Croce sulla loggia e venne dato al popolo aspettante il fausto annunzio «Habemus pontificem» mentre il forte di Castel S. Angelo sparava a festa.

L’E.mo Castiglioni era stato eletto Papa ed aveva assunto il nome di Pio VIII.


Note

  1. Vedi G. PetraiRoma anedottica pag. 242 e 247 e seg. — Silvagni D.La Corte e la Società di Roma nel secolo XVIII e XIX vol. 3° pag. 133 e 8eg.
  2. Essa scoppiò violenta nel 1830, durante la Sede vacante per la morte di Pio VIII. A proposito di misure eccezionali merita di essere riportato quanto «riferisce il nostro Diarista nella nota del 20 Febbraio. Nella notte scorsa in una casa alla Lungara sono state arrestate circa 24 o 25 persone, pare, addette a qualche proscritta società segreta, e si dice nell’atto di ammettere un nuovo confratello. Vi era alla testa un frate sfratato, uno appartenente alla milizia urbana dì Campidoglio ecc, e tutti avevano delle armi» . Ed in data del 22. «In seguito all’arresto seguito l’altra notte alla Lungara sono state arrestate altre persone, tra le quali un tal Maio Napoletano, un tal Pignalverd Spagnuolo ed altri». Pochi giorni più tardi altri molti ne vennero arrestati in un’osteria fuori porta Portese, tutti per le stesse ragioni. Quest’infelici vennero quasi tutti condannati alla fortezza e nel 10 ottobre dello stesso anno, in diverse vetture, ammanettati e scortati da Carabinieri, in pieno giorno e colla maggiore pubblicità, facendo la strada del Corso, vennero fatti partire da Roma alla volta del forte di S. Leo.
  3. Confr. Diario di Roma — Febbraio 1829 e Silvagni vol. 3° p. 285 e seg.