Saggio di curiosità storiche intorno la vita e la società romana del primo trentennio del secolo XIX/Il Potere Temporale - Sua prima caduta nel secolo XIX

Il Potere Temporale — Sua prima caduta nel secolo XIX

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Il Potere Temporale

Sua prima caduta nel secolo XIX.


Il Potere Temporale dei Papi, nel secolo XIX, può a buon diritto ritenersi esistito solamente di nome: dal mille ottocento al mille ottocento settanta, ossia dalla sua restaurazione, dopo la prima Repubblica Romana, sino alla sua definitiva caduta, noi lo vediamo spesso in mezzo al disordine più umiliante, vero governo fantasma, eclissarsi e sparire, lasciando spesso i suoi sudditi infelici in balia del primo venuto; lo vediamo, è vero, ricomparire poco dopo, circondato e protetto da picche e baionette straniere, in attitudine feroce, non per incominciare però una nuova vita, ma per riprendere l’antica. Incapace di qualunque risoluzione, anche nelle minime difficoltà, il Governo Pontificio viveva alla giornata, lasciando indisturbati i faziosi e diventando feroce contro i più remissivi: tale il Governo di Roma negli ultimi anni dell’ingloriosa sua vita, tale nella sua lunga e fatale agonia.

Nel 1800 Pio VII, riposto appena sul trono, si adoperò con il suo Ministro, Ercole Consalvi, per riformare lo Stato, avendo in animo d’inaugurare una nuova era nella storia del Potere Temporale, ma furono vinti ben presto dall’ambiente e dagli avvenimenti, come abbiamo già notato, e travolti, mentre la macchina dello stato riprendeva l’antica via. Finché durò la pace e l’armonia con Napoleone, il Governo di Roma trasse avanti i suoi giorni abbastanza lietamente, ma quando questa venne in modo brusco a mancare, cominciarono allora per esso i dolorosi guai: il suo territorio non venne più rispettato, la sua autorità non più curata.

Le milizie italiche e franche, che, sulla fine del 1805, si dirigevano verso Napoli, cominciarono allora a poco a poco ad impossessarsi e stanziarsi nel territorio pontificio con vari pretesti, costringendo i poveri sudditi a sborsare grandi somme, mentre il Governo di Roma, incapace di romperla definitivamente e coraggiosamente, ripetendo a mezza voce innocue proteste, assisteva impassibile a questi continuati soprusi. Non seguirò tutte le lunghe ed intricate questioni che si dibatterono tra l’Imperatore e il Papa in quest’occasione, ma mi piace [p. 35 modifica]riportare dal Diario la narrazione dei passi graduali, compiuti dalle truppe e dal Governo di Francia, prima di giungere alla totale soppressione del Potere Temporale:

«22 Ottobre 1805. — Si sente che i Francesi occupano tutto il litorale Pontificio dell’Adriatico, e che intanto ci domandino denari a titolo d’imprestito.

20 Novembre. — E venuta spedizione d’Ancona colla notizia che il Generale Francese, comandante le truppe colà stanziate, ha imposto una contribuzione di 100 mila scudi, ripartendola sulle provincie della Marca e dello Stato di Urbino, e da pagarsi in brevissimo termine, sotto, la pena dell’esecuzione militare. Giorni sono erano state avanzate al Governo delle istanze di grandiose somministrazioni in generi ed in danaro per la truppa Francese, e la risposta essendo stata negativa, nel proclama pubblicato dal surriferito Generale si dice, che questa contribuzione viene imposta atteso il rifiuto di S. Santità alle richieste fattele.

3 Dicembre — Per mezzo di due spedizioni venute dalla Marca si è saputo che 1500 uomini delle truppe francesi di Ancona si sono avanzati a Macerata e che ne entreranno nello Stato sino a 30 mila sotto gli ordini del Principe Eugenio Beauharnais, Viceré d’Italia, per prendervi delle posizioni in osservazione delle truppe Anglo-Russe di Napoli, sino che ricevano gli ordini dell’Imperatore Napoleone. Nuova consolantissima per noi. — In Ancona contribuzioni e requisizioni orribili per parte di quel General Francese Montrichard.

6 Dicembre. — Si sente da Ancona che quel General Francese ha dichiarato la piazza in stato d’assedio ed è per conseguenza poco men che cessata del tutto l’autorità Pontificia, essendo stata creata dal Generale medesimo una deputazione per tutto ciò che può aver rapporto coll’armata francese.

31 Dicembre. — Per quel che si sente delle disposizioni delle truppe francesi, che vengono a favorirci, pare che vogliano occupare una linea da Macerata sino a Civita; Castellana per osservare tutte le strade, che dal Regno di Napoli mettono nello Stato Pontificio,

3 Gennaio 1806. — E arrivato un Commissario ordinario Francese per concertare le misure occorrenti per l’ [p. 36 modifica]approvvisionamento del corpo di truppa che deve avanzarsi sino a Civitacastellana.

i6 Gennaio. — Per una determinazione del tutto inaspettata presa dal Maresciallo Massena (giunto da qualche giorno a Spoleto quale comandante supremo dell’Armata) oggi si è saputo che tutto il corpo di truppa, esistente nell’Umbria, deve traslocarsi nelle provincie di Sabina, Marettima e Campagna e Lazio, ove gli accantonamenti saranno Velletri, Tivoli e Frascati, ed il quartier generale in Albano. In conseguenza di che domani cominceranno a sfilare nelle vicinanze di Roma, vale a dire a Ponte Molle, le truppe suddette, di dove, senza passare por la città, (dicesi) si recarono al loco destino.

17 Gennaio. — È venuta una Deputazione della Sabina per esporre al Governo lo stato di fame assoluto, in cui si trova quella provincia per le requisizioni sofferte».

Il giorno 18 Gennaio cominciarono realmente a giungere alle porte di Roma i vari corpi d’armata francese e un gran numero di gente accorse ad assistere alla sfilata. Ai soldati fu impedito l’ingresso nella città, ma questo venne permesso agli ufficiali, i quali tutti ne approfittarono, e dal provvido Governo vennero alloggiati prima nelle pubbliche locande e poi, essendo queste ripiene, nelle case particolari. Ogni giorno giungevano nuove truppe, riducendo, dice il nostro Diarista, alla disperazione tutti i paesi, dai quali arrivavano continue deputazioni a Roma per domandare pietà inutilmente; ma il Governo del Papa si mostrò impotente a difendere i diritti dei suoi sudditi, e le requisizioni crebbero ogni giorno più in luogo di diminuire. Invano la Curia bandiva tridui ed il Papa si portava a dir mossa nei sotterranei di S. Pietro, Napoleone divenne ogni giorno più invadente ed accampò sempre nuove pretese. Intanto, per far fronte agli straordinari bisogni dello Stato e singolarmente allo sbilancio, cagionato dalle spese del passaggio dell’Armata Francese, con un editto di Monsignor Tesoriere, il Governo si trovò costretto ad imporre una nuova tassa.

Il richiamo del Cardinale Fesch, ambasciatore di Francia in Roma, fece per un momento sperare che il Cardinal Consalvi, coi suoi reclami, avesse vinto, e che i Francesi non volessero più proseguire nella via di soprusi inaugurata, ma fu [p. 37 modifica]breve illusione, poiché il successore, M. Alquier, fece presto comprendere che nulla era cambiato, permettendo che nel Maggio 1806 il Generale Francese mettesse il sequestro in Ancona sopra tutte le casse dello Stato ed innalzasse colà, nel Palazzo Pubblico, lo Stemma del Regno Italico. Il popolo, che non va mai più in là della causa immediata, fremeva ed accumulava sempre più il suo odio contro i Francesi, ritenuti causa di tutti i mali; la mattina del 7 giugno dello stesso anno, un macellaio, mentre alcuni ufficiali francesi passeggiavano per il Corso, ferì a morte, con un colpo di stile nei reni, uno di questi, correndo poscia a rifugiarsi nel Palazzo Ruspoli. Un nugolo di Francesi, formatosi in un batter d’occhio, voleva penetrare nel Palazzo per far di quell’audace giustizia sommaria, ma vi si appose energicamente il Principe, il quale non volle consegnarlo ad altri che ai soli soldati pontifici. Due giorni dopo si videro inaspettatamente affisse le consuete tavolette dei condannati e la mattina del nove l’infelice macellaio, dell’età di ventott’anni appena, pendeva dalla forca di Ponte S. Angelo: in tal modo il Governo del Papa cercava d’acquistar grazie presso il Governo Francese. Poco dopo si permise anche che la Cavalleria Polacca venisse passata in rivista e manovrasse entro Roma stessa a Villa Pinciana, con gran concorso di gente; ma a tutte queste carezze rispondeva rudemente Napoleone collo smembrare lo Stato Pontificio, accordando in feudo al Signor Talleyrand, ministro degli affari esteri, lo stato di Benevento e quello di Pontecorvo al Maresciallo Bernadotte.

Nel Giugno 1806 il Cardinal Consalvi, stanco e sfiduciato abbandonava il Segretariato e veniva chiamato in sua vece il Cardinal Casoni, mentre le truppe pontificie venivano costrette a passare sotto il comando francese nella Marca, nello Stato d’Urbino, in Macerata ed in Ascoli. Anche le turbe degl’Insorgenti vennero a funestare nello stesso anno il territorio pontificio ed il Governo venne così a trovarsi, come un D. Abbondio qualunque, proprio in mezzo a due fuochi. Eppure, fra tanti malanni, il Cardinal Segretario di Stato non trovava di meglio che lanciare un editto ai Romani per proibire loro ogni comunicazione cogl’Insorgenti, che infestavano le frontiere, per proibire ogni discorso in luogo pubblico su materie politiche.

[p. 38 modifica]I Francesi approfittavano di quest’acquiescenza per commettere nuovi soprusi, ma Napoleone, sebbene desiderasse ardentemente liquidare la questione romana, pure, occupato nelle cose Austro-Russe, cercava di non ridurre il Papa agli estremi, per non accrescere il numero dei suoi nemici.

Nei cittadini però cresceva sempre più l’esasperazione contro i Francesi, e contro di questi venivano ogni giorno affissi scritti satirici e minatori. Ma il Governo Pontificio perseguitò questa legittima reazione, emanando vari editti contro gli autori delle anonime satire e Napoleone, tenero a tanta attenzione, dopo aver sistemato gli affari di Austria, Russia e Prussia, rivolse la sua attenzione a Roma. Le lunghe trattative, condotte artatamente con tanta lentezza, tra lui e Pio VII intorno a varie questioni, vennero riprese con più vigore; il Papa esitava a cedere su alcune richieste, ma Napoleone, nel gennaio 1808, ruppe violentemente le trattative minacciando l’occupazione definitiva di tutte le provincie dello Stato, e la guarnigione militare in Roma, se entro cinque giorni non si mandasse dal Papa un’adesione perfetta ed intiera a tutte le domande fatte. Le risposte aspettate da Napoleone non vennero ed il due di Febbraio del 1808 la minaccia venne eseguita; la fine s’approsimava.

» 2 Febbraio 1808. — Questa mattina il corpo di truppa francese, che nella notte aveva fatto sosta alla Storta, è entrato tutto in Roma con artiglieria e in apparenza ostile, avendo fatto prigioniero il picchetto di soldati pontifici che stava di guardia a Porta del Popolo e intimata la resa al Castel S. Angelo che gli è stato ceduto con protesta. La truppa quindi si è sparsa per la città, situandosi in vari luoghi della medesima e fra gli altri a Piazza Colonna, ove si è fatta partire dalla gran guardia la truppa pontificia, subentrandovi la francese: Dopo alcune ore è stata poi distribuita in vari Conventi. Anche sulla Piazza di Montecavallo è seguito lo stesso, ma sin’ora seguita la Guardia Reale nostra e quella degli Svizzeri e della Guardia Nobile al Palazzo Apostolico. Il numero delle truppe entrate si fa ascendere a cinque mila uomini circa, il General Miollis (comandante in capo) alloggia in Casa Barberini. Questa mattina è stato affisso in vari luoghi della città un Proclama [p. 39 modifica]stampato in nome del Segretario di Stato nel quale si dice che S. Santità, essendosi trovata nella necessità di negare il suo consenso ad alcuna delle istanze fattele per parte di S. M. l’Imperatore dei Francesi, ed essendone seguita l’occupazione Militare dello Stato e della sua Capitale, protesta contro questa occupazione e intende che restino illesi i diritti della S. Sede e termina col raccomandare ed ordinare di bene accogliere gl’individui d’una nazione che ha dati a S. B.ne tanti segni d’amore e di riverenza nel suo viaggio a Parigi.

26 Febbraio. — Da questa notte si sono cominciate a prendere per parte del Comando militare francese delle misure, di cui non si conosce l’oggetto: girano per la città numerose pattuglie anche di cavalleria, le guardie sono rinforzate per tutto. Il Colonnello Bracci, comandante la truppa pontificia, cui era stato intimato di consegnare gli stati della truppa stessa, e che vi si era ricusato in sequela degli ordini che aveva ricevuti, questa mattina è stato arrestato presso il Generale Comandante della Piazza. Si dice abbia subito la stessa sorte il Colonnello Colli comandante del Castello. Anche Monsignor Governatore è stato chiamato dal Generale Miollis, ove lo ha condotto un aiutante del medesimo. In seguito si è portato dal Papa. A tutti gli uffizi di Posta sono state poste delle guardie francesi, ed è stato vietato dar cavalli di posta ad alcuno sino a nuovo ordine, non esclusi i corrieri che dovevano partir questa sera.

27 Febbraio — Questa notte sono stati chiamati presso il Generale Miollis tutti i comandanti della truppa pontificia, cioè il Maggiore Prali dell’infanteria, il Maggiore Reali della cavalleria, il tenente colonnello Colli dell’artiglieria e di Castello e l’aiutante maggiore Resta ed è stato loro intimato di condurre ciascuno i loro rispettivi corpi in Piazza Colonna. Essendosi rifiutati d’eseguire tale ordine senza l’autorizzazione del proprio Governo, si sono recati presso il Cardinal Segretario di Stato, da cui hanno avuto istruzioni negative. Ritornati con queste dal Generale Miollis, sono stati mandati dal Generale comandante la Piazza, il quale, persistendo essi nel loro rifiuto, li ha ritenuti in sua casa. Intanto dei corpi di truppa francese si sono recati a tutte le caserme, ove si trova truppa pontificia, [p. 40 modifica]ed hanno a questa intimato o di pensare a difendersi, o di rendersi prigionieri, o di venire con loro alla Piazza Colonna, al qual terzo partito si sono appigliati.

In Piazza (ove era fermata la truppa francese) essendo venuto, oltre il comandante della Piazza, il Generale Miollis, è stato loro dichiarato che da questo punto passavano sotto gli ordini del Comando francese e che avrebbero avuto, come la truppa francese, il soldo e le razioni. È stata anche letta una patente spedita in nome di S. M. l’Imperatore Napoleone, con cui il tenente colonnello Fries viene dichiarato colonnello delle truppe papali, le quali per ora devono seguitare ad usare la coccarda pontificia. A tutto questo non è stato risposto che col silenzio generale. Le guardie nobili e svizzere non sono state comprese in tutto l’avvenuto. — Oggi medesimo il Direttore della Posta Italica è stato incaricato d’impossessarsi dell’ufficio di Posta pontificio, che gli è stato rimesso con protesta tanto in nome del Governo, quanto in nome della casa Falconieri, che ne ha l’appalto».

In tal modo si protrasse per vari mesi la situazione di Roma: 11 Comando Francese faceva ogni giorno qualche passo in avanti, ma senza ancora l’idea di spingere le cose agli estremi, poiché l’orizzonte politico andava di nuovo annebbiandosi; i Cardinali, con vari pretesti, furono quasi tutti allontanati da Roma, lasciando il Papa quasi completamente isolato, e costringendolo a nominare suoi segretari, in sostituzione del Casoni, il Cardinal Gabrielli ed a poca distanza di tempo il Card. Pacca. I prelati, addetti in qualche modo al servizio del Papa, vennero intimati di ritornare nelle loro città native, ed in varie volte, accompagnati dalla forza militare a Piazza del Popolo, furono costretti a partire.

La Segreteria di Stato, temendo da un momento all’altro il cambiamento di Governo, mandò ordini ai suoi impiegati di rifiutarsi di seguitare ad esercitare le loro funzioni, se la forza militare francese s’impadronisse delle redini del Governo, ma il cambiamento temuto non venne, sebbene numerose truppe francesi fossero mandate al Palazzo del Governo, alle Carceri nuove, a Campidoglio, al quartiere della Guardia reale ed a quello della Consulta, e dal Comandante Herbin fosse intimato [p. 41 modifica]nell’Aprile a tutti gli sbirri di tutti i Tribunali di non riconoscere altra Autorità che la francese. Nell’Aprile stesso furono arrestati tutti i componenti la Guardia Nobile, e contemporaneamente la truppa francese entrava nel Palazzo di Montecavallo, ma senza l’intenzione di romperla definitivamente; il governo del Papa restava ancora nominalmente in piedi, nella sua lenta agonia di vecchio organismo, e la scena comica, tra esso e il Comando delle truppe francesi, si protraeva senza grand’interesse ora con passi avanti ora con passi indietro. Ad accrescere il ridicolo, in ogni ricorrenza fausta del Papa, le truppe francesi facevano parata in piazza S. Pietro, l’artiglieria sparava a salve, ed il Generale Miollis, nel Palazzo Doria, ove alloggiava, faceva illuminazione di fiaccole e lanternoni.

Nel 12 Maggio 1808 fu pubblicato il decreto che riuniva al Regno Italico la Marca, il Ducato d’Urbino e Camerino, ma per Roma nessun provvedimento ancora. Il Generale Miollis, in attesa degli ordini di Napoleone, restava intanto il vero padrone dello Stato; giustizia vuole si ricordi che egli venne a poco a poco introducendo varie savie riforme nella città, facendo decretare che né carrozza, né uomo potesse uscire dopo un’ora di notte senza lume, reprimendo molti ed inveterati abusi, domandò le rivolte che spesso scoppiavano. Quando però Napoleone si fu liberato degli affari di Spagna e di Napoli e quando ebbe ancora per una volta fiaccato l’audacia dell’Austria, da Vienna rivolse a Roma ogni suo pensiero. Per ogni dove si parlava delle sue vittorie, nessuno più osava resistergli; in Roma l’agitazione era grande e dall’alto del Quirinale si vegliava, sempre in attesa di eventi: il sole del 10 Giugno 1809 annunziò ai cittadini che il Potere Temporale era caduto.1

Purtroppo però questa caduta non fu definitiva; cinque anni dopo, l’11 Maggio 1814, il Cardinal Rivarola, Delegato Apostolico, riassumeva in nome del Papa il possesso di una parte dello Stato Pontificio e pochi giorni dopo, fra le acclamazioni generali, ritornava in Roma, dopo dolorose traversie, [p. 42 modifica]il Pontefice Pio VII. Grandi furono le feste fatte per il ritorno del Papa; per moltissime sere si ripeterono fuochi di giubilo e nella sera del 17 luglio fu inaugurato anche in suo onore il primo lume a gas; nel Casino fuori porta S. Pancrazio, detto il Vascello di Giraud, si dette nel 18 Luglio una solenne cantata dal titolo «Roma liberata dai Galli» con intervento di numerosissime e autorevolissime persone.

Il governo dei preti non poteva però dimenticare tutto ciò che era successo negli anni passati e meditava vendette; quindi, protetto dalle baionette straniere, inaugurò una feroce reazione: perseguitò quei che avevano fatto adesione al Governo Francese, ed istruì un clamoroso processo di Lesa maestà contro i rei della scalata del luglio 1809. Non contento poi di questo po’ po’ di reazione, ristabilì le giurisdizioni feudali e li dì 7 agosto, nella chiesa di S. Ignazio, in mezzo ad una folla di porporati e devoti, emanava il Breve della ripristinazione dei Gesuiti. Davanti all’imperversare di tanta reazione cominciò a farsi nuovamente sentire qualche voce ribelle: nella notte stessa del 7 fu arrestato un uomo che affiggeva i ritratti del Papa nelle chiaviche con sotto la parola «Finis». Il Governo, restaurato appena, volle mostrare al mondo la sua fortezza con la reazione più feroce contro i massoni ed i carbonari, la sua previdenza coll’ordinare Missioni nelle pubbliche piazze, ma intanto gli assassini ed i briganti diventavano signori di Roma e dei dintorni, costringendo il governo stesso impotente a domarli, a venir con loro a patti, ed i detenuti di Castel S. Angelo fuggivano impunemente senza poter essere rintracciati. Pur tuttavia la censura teatrale conservava in questi tristi frangenti, tutto il suo buon umore e, prevedendo chi sa quali pericoli, nel titolo della nuova opera del Rossini «L’italiana in Algeri» che doveva darsi al Valle nella sera del 14 Gennaio 1815, volle che fosse cambiato nell’altro «Il naufragio felice».

Prima però che il Governo fosse completamente ristabilito giungeva la nuova della fuga di Napoleone dall’isola d’Elba a mettere tutta la Corte pontificia nella confusione e nella paura.

Invano s’innalzarono voti che venisse arrestato il gran fuggitivo; la bandiera tricolore francese riapparve acclamata da [p. 43 modifica]tutti nella Provenza, e procede libera, tra il delirio di tutto un popolo, sino a Parigi. Né ciò bastando, ad accrescere il terrore, si sparse come un baleno la voce che il re di Napoli, Giovacchino Murat, si moveva colle sue truppe per coadiuvare i progetti Napoleonici. All’annunzio che il 22 Marzo 181 5 le truppe napoletane erano entrate effettivamente per Terracina nello Stato Romano, in Roma si fu tutti in orgasmo e non si pensò che a fuggire: «il Papa stesso, così scrive il nostro Diarista, dopo aver fatto a Monte Cavallo la solita funzione di tutta la famiglia, si è incamminato verso il mezzogiorno nella forma consueta verso il Vaticano, come praticava sempre per il passato, per restarvi i giorni santi. Circa poi le 2,30 pomeridiane in carrozza e due cavalli, senza farsi conoscere, è partito per porta Angelica alla volta di Viterbo. Il mattutino in Cappella Sistina vi è stato secondo il solito, ma il pubblico ha aspettato invano il S. Padre. Verso le 22 è stata affissa ima notificazione del Segretario di Stato in cui si partecipa al pubblico il ritiro momentaneo di S. Santità».

La partenza del Papa determinò quella di tutti i cardinali e prelati e quella dei ministri e rappresentanti degli altri Stati Cosi ancora una volta questo Governo fantasma cadeva, ancora una volta lo Stato Romano veniva lasciato in balia del primo venuto. Alla partenza del Papa fu creata è vero una Giunta di Stato per l’amministrazione provvisoria, ma questa Giunta non dette quasi mai segno di vita, lasciando la città nei tumulti e lasciando che le truppe napoletane scorazzassero liberamente e giungessero sino a Roma. Ma se poco era stato il danno che lo Stato Romano ebbe a risentire in questo primo periodo dell’invasione napoletana, grandissimi furono invece quelli che si verificarono dopo la venuta dell’Esercito austriaco, condotto dal Nugent; l’esercito invasore e l’esercito dell’ordine si contesero la nobile palma del primato nelle stragi e nelle rapine tutto a danno dell’infelice suddito pontificio2. Quando poi le [p. 44 modifica]brave milizie austriache ebbero ristabilito, con i loro soliti modi, l’ordine in tutto lo Stato, ricomparve alfine la Giunta provvisoria, ricomparve il Governo Pontificio, non più tremante dì paura, ma, protetto dalle milizie tedesche, in attitudine di vittorioso. Il 7 Giugno dello stesso anno rientrava in Roma il Papa Pio VII e poco dopo venivano a lui restituite le antiche terre dello Stato Pontificio sgombrate dagli Austriaci. Il Potere Temporale risorgeva.


Note

  1. Il nostro Diario dal 1809 al 1814 presenta una lunga lacuna.
  2. Ricordo a questo proposito quanto ebbe a soffrire una cittadina dello Stato Pontificio alla quale mi legano quasi vincoli patrii. Nella notte del 1° maggio 1815 un numeroso stuolo di Napoletani, condotti da Camillo Borgia di Velletri, il quale era corso a iscriversi nelle truppe del Murat, che aveva inalberato la bandiera dell’Indipendenza Italica, penetrò in Ceprano, uccidendo i pochi birri che vi si trovavano ed incendiando la città. Le fiamme rovinarono quasi tutto il caseggiato: due giorni dopo un corrispondente delle «Notizie del giorno» scriveva spaventato che ancora ardevano le case del Marchese Ferrari e dei Sig, De Camillis. L’impressione prodotta in tutto lo Stato Romano per questo fatto fu immensa ed essa si riflette perfino negli ordini del giorno del Nugent. Ecco quanto scriveva a questo riguardo il nostro Diarista in data del 3 Maggio:
          «Si sente da Ceprano che un corpo Napoletano (che si dice comandato da Camillo Borgia) essendosi inoltrato verso quel paese ed essendosi ivi suonato campana a martello e fatto qualche resistenza i Napoletani, avendo avuto il disopra, erano entrati nel paese incendiandone una parte».