Camillo Brambilla

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Obolo di Cremona del secolo duodecimo Quarto di lira
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II.

Forte-bianco di Giovanni Giacomo Paleologo

(1418-1445).



Le angustie che a causa dì continuate questioni coi vicini Duchi di Savoia e di Milano tennero agitatissimo il non breve periodo di tempo in cui Gian-Giacomo Paleologo, figlio di Teodoro II Marchese di Monferrato, tenne il dominio delle terre a lui soggette, furono causa di molta decadenza economica e tale da escludere la possibilità di un ben attivo ed abbondante lavoro della moneta. Rilevava simile fatto l’illustre Domenico Promis trattando nella sua Memoria terza sulle monete del Piemonte1, appunto di quelle dei Paleologhi del Monferrato, dolendosi di non poter produrre per Gian Giacomo più di due pezzi, un grosso bianco cioè, ed un quarto di grosso. Né altro pezzo qualsiasi per detto Marchese aggiunse il Promis ai due ora accennati, pur non poche, di Monferrato, nuovamente pubblicandone nel 18712. Cosi pure nessun pezzo di Gian-Giacomo ebbero a render pubblico il Maggiora-Vergano, ed il dotto [p. 436 modifica]signor Chalon fra le monete del Monferrato, illustrato dal primo nella Rivista d’Asti nel 1867, e dal secondo nella Revue belge del 1866. Lo stesso deve ripetersi per Vincenzo Promis, che alcune inedite pur di quella serie comprese nella sua Memoria quarta di Monete di zecche italiane3.

Un’aggiunta però era stata fatta dall’eruditissimo Vincenzo Lazari alle due monete, che per Gian-Giacomo, aveva pubblicate Domenico Promis, e ciò in una diligente recensione che del lavoro di questi aveva dettata per l’Archivio storico italiano4. Accennava il Lazari di aver veduto fra i manoscritti del valente nummografo Giorgio Viani un bel disegno di una moneta, che cosi descrive: da un lato la epigrafe IOHANES • IACHOBVS preceduta da una crocetta fra due piccole rose, gira intorno alla croce ancorata, e dall’altro nel centro sta una O accosciata e traversata da una I e nel giro la scritta MARC MONTISFERATI. Il Lazari inclinava a ritenere che tale pezzo lavorato per Gian-Giacomo Paleologo e del peso di grani toscani 15 secondo l’annotazione Viani, potesse essere un Forte-bianco.

Trovandomi possessore di un discreto esemplare della moneta già appartenente a Giorgio Viani, ed esattamente descritta dal Lazari, ed avendone un disegno fatto egregiamente dal Kunz, pensai potesse tornarne gradita la pubblicazione, anche perchè il cenno fattone quasi incidentalmente da Lazari non trovasi in opera speciale numismatica, e la esistenza di tal pezzo non fu di poi rilevata dai varii scrittori, che si occuparono delle monete dei Paleologhi di Monferrato, giusta quanto più sopra già ebbi ad accennare. [p. 437 modifica]Come vedesi dal disegno, la mia moneta corrisponde esattamente alla descrizione, che dalle memorie del Viani era ritratta da Lazari. Questi però non offre alcuna notizia sulla qualità del metallo di cui la moneta fosse composta, come poteva desiderarsi per accogliere o meno la qualifica di forte-bianco dubitativamente annunciata. Debbo pertanto osservare, che il mio esemplare abbastanza conservato, come appare dalla sua fedele riproduzione, è di lega bassissima a non più di 150 millesimi di fino, e pesa milligrammi 730, che ben da vicino corrispondono ai grani toscani 15 (milligrammi 735) della moneta posseduta dal Viani.

Domenico Promis discorrendo appunto dei forti-bianchi, ossia ottavi di grosso battuti pei marchesi di Monferrato5, ne rileva la disuguaglianza di peso trovandosene, come esso scrive, di grani 18, 17 e 15. Pel peso, dunque nulla osta ad accettare la qualifica di forte-bianco proposta dal Lazari, tanto più che è a ritenersi, che, se in migliore condizione, l’esemplare che io presento supererebbe di buon dato l’attuale suo peso.

Quanto alla lega del metallo, che affermai non superiore ai millesimi 150 di argento o fino, essa starebbe in buona proporzione col grosso e col quarto di grosso pubblicati per Gian Giacomo dal Promis, il primo indicandosi del peso di grammi 2.188 a millesimi 600, il secondo del peso di grammi 1.067 a millesimi 250. Il forte-bianco od ottavo di grosso, se si ricorda la consueta inferiorità dei pezzi monetari minori, abbastanza bene si presenta col peso di milligrammi 730 o 735, e coll’intrinseco a millesimi 150.

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Tali pezzi a bassa lega indicavansi colla denominazione di bianchi perchè prima della loro emissione venivano imbiancati con leggero intonaco argentino, per agevolarne il corso colla buona ingannevole apparenza.

Il Promis trovava che le due monete di Gian Giacomo Paleologo da lui pubblicate superano in delicatezza d’incisione tutte le antecedenti; credo, che anche la presente, pel suo aspetto non comune, e per la nitidezza dei caratteri, stia a confermare l’osservazione dell’illustre numismatico di Torino.

Note

  1. Torino, 1858.
  2. Miscellanea di Storia Italiana. Vol. XII. Torino.
  3. Torino, 1882.
  4. Nuova serie, Tom. VII, pag. 169. Firenze, 1858.
  5. Memoria citata del 1858, pag. 29.