Rime varie (Alfieri, 1912)/XLIII. Al sepolcro di Lodovico Ariosto
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Vittorio Alfieri - Rime varie (1776-1799)
XLIII. Al sepolcro di Lodovico Ariosto
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XLIII [lx].[1]
Al sepolcro di Lodovico Ariosto.
«Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori,»[2]
Le cortesie, l’imprese, ove son ite?
Ecco un avello, intorno a cui smarrite
4Stanno, aspettando in van[3] che altr’uom le onori.
Sovr’esso io veggo in varj eletti cori
E le Grazie e le Muse sbigottite;
E par che a prova[4] l’una l’altra invite
8 A spander nembo di purpurei fiori.
Oh glorïosa in vero ombra felice,
Che giaci infra sí nobile corteggio[5]
11Nella beata tua terra nutrice!
Qual già fosse il tuo nome, omai nol chieggio:
Fama con tromba d’oro a tutti il dice:
14L’Italo Omero[6] entro quest’urna ha seggio.
Note
- ↑ Nel 1777, scrivendo alcuni giudizi su’ principali nostri poeti, intorno all’Ariosto l’A. si esprimeva cosí: «Si succede [nel Furioso] una immaginazione all’altra con tanta rapidità, con tanto fuoco che non lascia mai languire chi legge... (Vegg. G. A. Fabris, I primi scritti in prosa di V.A., Firenze, Sansoni, 1899, 22); ma nell’Autobiografia resulterebbe che gradualmente egli passò da una specie di avversione contro il poema dell’Ariosto all’ammirazione piú grande; infatti, all’anno 1760, scrive che il continuo interrompimento delle storie dell’Orlando Furioso l’annoiava a tal punto che gli era impossibile andare innanzi, mentre all’anno 1783 si leggono le segg. parole: «Questi quattro nostri poeti [Dante, il Petrarca, l’Ariosto e il Tasso] erano allora, e sono, e sempre saranno i miei primi, e direi anche soli di questa bellissima lingua... e, dopo sedici anni ormai ch’io li ho giornalmente alle mani, mi riescono sempre migliori nel loro ottimo, e direi anche utilissimi nel loro pessimo: ch’io non asserirò con cieco fanatismo, che tutti e quattro a luoghi non abbiano e il mediocre ed il pessimo; dirò bensí che assai vi può imparare anche dal loro cattivo; ma da chi ben si addentra nei loro motivi e intenzioni; cioè da chi, oltre l’intenderli pienamente e gustarli li sente» (IV, 10°). In questo medesimo anno 1783, ritornando da Padova a Bologna, l’A. passò per Ferrara «alfine di compiere il suo quarto pellegrinaggio poetico, col visitarvi la tomba e i manoscritti dell’Ariosto»: il 18 giugno compose il presente sonetto.
- ↑ 1. È necessario ricordare che questo è il primo verso dell’Orlando furioso?
- ↑ 4. In van, sia perché è morta la poesia cavalleresca, sia perché un ingegno pari a quello dell’Ariosto non tornerà piú.
- ↑ 7. A prova, a gara.
- ↑ 11. Questo non è rigorosamente vero: l’Ariosto non nacque a Ferrara, ma a Reggio d’Emilia; anche nell’Aut. (III, 3°), l’A. incorse nella medesima inesattezza: «Passai anche questa città [Ferrara] senza pur ricordarmi ch’ell’era la patria e la tomba di quel divino Ariosto...».
- ↑ 14. Ferrarese Omero è detto l’Ariosto dal Bentivoglio (Selvaggio Porpora) nel congedo apposto alla traduzione della Tebaide di Stazio, che l’A. lesse, postillò e ridusse in gran parte a forma dialogica (Aut., IV, l°).