Ricordanze della mia vita/Parte terza/XXII. Il buonissimo forzato

XXII. Il buonissimo forzato

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(Il buonissimo forzato).

Santo Stefano, 7 dicembre (1854).

Ed anche nell’ergastolo doveva io trovare uno che mi ravvivava le primissime memorie della mia fanciullezza, e che dice di avermi portato tra le braccia quando ero fanciullo. Costui è di Avella, paesetto vicino Nola, e chiamasi Stefano Simeone: è qui da trent’anni, ed attende la grazia sovrana solita a concedersi agli ergastolani che per trent’anni serbano buona condotta. È amato da tutti come buonissimo forzato, quando s’ubbriaca non fa altro che ridere. Io ne vidi la moglie, donna provetta, ma bella asciutta, intatta per serbata castitá, per amore che ella porta al marito, che ella è venuta a vedere ventisei volte in trent’anni (esempio unico), perché ella mi diceva: «Mio marito è innocente: la notte che fu commesso il misfatto pel quale è condannato, egli era con me coricato, eravamo sposati da otto mesi. Considerate voi se posso saperlo!».

Quanto mi piace che quest’uomo non sia creduto ribaldo! Ora egli tra un mese o due tornerá alla sua buona Agata, che l’aspetta e lo ama come quando avevano vent’anni entrambi. Dopo trent’anni! quanto tempo io sono vissuto e ricordo, tanto tempo egli è stato qui.