Ricordanze della mia vita/Parte terza/X. Il pensiero della famiglia

X. Il pensiero della famiglia

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X

(Il pensiero della famiglia).

Santo Stefano, 5 marzo (1854).

Dopo tre mesi che giunsi nell’ergastolo ne feci una descrizione, che non so se sia andata perduta, come son perdute tante altre carte che ho scritte. {{|Io scrivo perché scrivendo il duol si disacerba}}, perché ho bisogno di scrivere; e s’io non scrivo, non vivo. Che orrore e che tremore io sentivo allora vedendomi in questo luogo e tra questi uomini: come raccapricciavo ad udire raccontare da fiere bocche fierissime uccisioni, descrivere i colpi di coltello, l’assalire, il ferire, il morire; come inorridivo al veder le continue risse, e le spesse uccisioni! Ho veduto versar tanto sangue, far tante scelleraggini, ho udito da tre anni parlar di tanti delitti, che ora vedo ed odo ogni cosa freddamente: l’anima mi si è incallita, non sento piú orrore pel delitto, misero a me, che mi manca per essere anch’io uno scellerato? O madre mia, o padre mio, deh venite a salvare il figliuol vostro: vedete, o anime benedette e carissime, vedete tra quali orrori io son caduto: pregate Iddio innanzi al quale ora siete, che abbia pietá dell’anima mia, che la sciolga da questo corpo, che non la faccia piú insozzare in questa putrida cloaca di sangue e di misfatti. E voi, o carissime immagini della pudica e dolente moglie mia, di quella angioletta della mia Giulia, e del mio Raffaele, venite innanzi a me, fate che io vi rimiri, e mi santifichi questi occhi, co’ quali non vedo altro che orrori nefandi. Dove sono gli occhi tuoi, o Gigia mia, il tuo sorriso, le tue parole che mi scendevano sí soavi [p. 342 modifica] al cuore? Povera compagna della vita mia e delle sventure mie, dove sono i nostri figliuoli che un dí ci stavano intorno? Io mi poneva Raffaele sopra un ginocchio, e Giulia sopra un altro, e li abbracciava e diceva loro tante parole care e tante altre ne udivo da essi: tu ci guardavi tutti e tre, udivi, e tacitamente godevi rimirando tuo marito e i tuoi figliuoli. Dov’è la pace, la serenitá, la innocenza della nostra famigliuola? Tutto è svanito e non tornerá piú. I nostri figliuoli son cresciuti fra i dolori, non ricordano altro che sventure. Raffaele ancora fanciullo ha dovuto esulare dal suo paese, dove il padre fu dannato a morte; ed ora va vagando sull’oceano ai lidi delle Americhe, e da quelle lontane regioni, ed in mezzo ai flutti ed alle burrasche egli manda un sospiro ed un pensiero al padre suo sepolto nell’ergastolo, alla madre sua ed alla sorella, due donne sole, derelitte, dimenticate dal mondo. Mandiamo la nostra benedizione al figliuol nostro. Iddio lo protegga, Iddio lo difenda, Iddio lo benedica come lo benediciamo noi.

Ora qui è cominciato il passaggio degli uccelli: e quasi ogni dí io vedo in quello spazio di cielo che ricopre l’ergastolo passare stuolo di grandi e di piccoli uccelli. Oh quanto io invidio le ali ad una rondine, ad una lodoletta, ad una tortorella! Se io avessi le ali, io volerei senza stancarmi mai, e saprei trovare la nave che porta il figliuolo mio diletto: mi poserei sovra un’antenna e lo riguarderei. Vorrei vedere quanto è cresciuto, come ha abbronzata la faccia al sole ed al mare, vorrei udirlo parlare, guardarlo negli occhi per sapere che fa e che pensa e che sente.

Spesso quando il tramonto è sereno ed io con gli altri sette, che son meco nello stesso covile, sono chiuso, mi siedo e volgo gli occhi alla piccola e bassa finestra ferrata. A quest’ora io taccio, e malinconicamente guardo il cielo a traverso i ferri, e nel cielo vedo una stella bellissima e lucente, nella quale io fisso lo sguardo, e il pensiero, e l’anima. Parmi talora che io voli a lei, e talora che ella venga a me, che io le parli, che ella mi sorrida col sorriso del mio Raffaele, e Raffaele [p. 343 modifica] mio che mi parla; cosí vivi, cosí lucenti splendevano gli occhi suoi. Quante cose io dico a quella stella, al mio Raffaele, il quale parmi che mi si avvicini, prenda i ferri con la mano, e mi dica: «Beneditemi, o padre mio»: ed io lo benedico. La stella tramonta, e s’accende il lume, si chiude la finestra, ed io scrivo quello che vado fantasticando dolorosamente.