Prefazioni e polemiche/VI. Prefazioni al dizionario delle lingue italiana ed inglese (1760)/II.

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VI. Prefazioni al dizionario delle lingue italiana ed inglese (1760) - I. VII. Prefazione a tutte l’opere di Niccolò Machiavelli (1772)

[p. 148 modifica]148 PREFAZIONI E POLEMICHE II In quelle poche righe che vanno in fronte al primo tomo, ho già accennate le ragioni per le quali questo mio dizionario si debbe avere per molto migliore che non alcuno di quelli che l’hanno precorso; né sarebbe cosa bella ripetere qui in italiano quello che già s’è detto in inglese. Nulladimeno, per non privare questo tomo del solito ornamento d’una prefazione, farò qui quattro parole della lingua di quest’isola, a fine d’incoraggiare i miei paesani a studiarla a forza e a farsene bravamente padroni. Anch’io, insieme con molti de’ nostri letterati italiani, m’immaginava un tempo che l’affaticarsi ad apprendere lingue viventi fosse un’opera quasimente perduta, né mi opponeva troppo volentieri a certe buone persone le quali, con più che magistrevole contegno, usavano spesso ripetermi che le due lingue morte insieme con la viva nostra bastavano ad informare gli uomini di tutto quello che agli uomini occorre sapere. Avanzando poscia alquanto con gli anni, parevami che l’arricchirsi ancora della francese fosse il non plus ultra d’ogni galantuomo; e dopo d’aver letti Montagne, Pascale, Malebranche, Cornelio, Molière, La Fontaine e alcuni altri conosciutissimi scrittori di quella nazione, m’era fitto in capo che nulla più si potesse trovare in una moderna favella veramente meritevole dell’onorate vegghie d’una persona studiosa. Ma molto piacevolmente m’avveddi essermi ingannato a partito, allora che mi trovai mediocremente mastro del britannico parlare. Oh, quante belle e grandi cose, paesani miei, ho lette in questi libri, che non si leggono in quelli d’altre genti! Passerò in silenzio un Hooker, uno Scot, un Clarice, un Bentley, uno Stillingfleet, un Tillotson e centinaia d’altri loro teologi e sacri oratori, che, valorosamente battagliando contra i numerosi scredenti del loro e d’altri paesi, hanno in mille modi e poco meno che con geometrica evidenza provata la verità della religione rivelata, cosi che hanno costretti gli ateisti e i deisti a rifuggirsi [p. 149 modifica]

negli Sterili deserti dell’ ignoranza, o a nascondersi nelle caliginose cave della mentecataggine. Non dirò verbo de’ loro filosofi e cercatori diligentissimi della natura, come a dire un Bacone, un Boyle, un Newton e tant’altri scrutinatori dell’uomo e dell’altr’opere della mano onnipotente. Lascerò indietro i loro tanti moralisti, i lor politici, gí’ istorici e cronologisti loro, i meccanici numerosissimi, e farò solamente alcune poche parole de’ loro poeti, perché «questo è l’umore dov’io pecco», per servirmi d’un modo di dire del nostro Derni. Quanta carta però non mi converrebbe scarabocchiare f)er darvi solo una malabbozzata idea d’uno Shakespeare, d’uno Spencer, d’un Milton, d’un Dr\-den e di molt’ altri divini spiriti, che accozzando, chi piú chi meno, alla schiettezza della poesia greca la venustá de’ latini, la vaghezza degl’italiani e la nitidezza de* francesi con la robustezza e fantasticaggine della Sassonia e delle Gaule, hanno prodotta una maniera di pensar poetico, della quale noi, successori del Lazio e imitatori di quegli antichi dell’Acaia, non ci curiamo ancora quanto dovremmo fare, contentandoci troppo mansuetamente che i nostri poeti abbiano con iscrupolosa industria modellati i pensieri loro e il loro modo di poetare sugli esemplari greci e latini. Pur troppo è vero! Noi non sappiamo quasi che questi arditi e liberi isolani hanno fatto un cosi maraviglioso impasto d’immagfini orientali e settentrionali, e che hanno creata questa rara poesia, alla quale i verseggiatori della Senna e i poeti dell’Arno darebbono molto altissimo luogo nel concetto loro, se da buon senno l’apparassero. Che non poss’io tradurre soltanto un paio di scene di Shakespeare o uno squarcio solo di Milton, e dare una esatta copia della elevatezza, della baldanza e della impetuosa e nobil furia degli originali? Ma, o sia ch’io non abbia bastevole perizia della lingua nostra, o sia che la lingua nostra non abbia nervi e muscoli abbastanza, io non mi ci so arrischiare. Vedo bene i frutti sull’albero, e vedo che sono poma d’oro da far gola a chiunque; ma il terribile genio di tramontana che li guarda non mi lascia stendere la vogliosa mano a ricoglieme pure un panierino; onde quando me ne tornerò alla mia contrada, sará pur mestieri che i miei [p. 150 modifica]

dolci paesani si contentino d’alcune poche foglie, che a stento ho ricolte di terra e riposte con molta cura fra i pochi regali poetici che ho speranza di recar loro quando che sia.

Voi dunque, che ve la godete per quelle benedette spiagge d’Italia, studiate un poco il linguaggio degl’inglesi, e siate certi, senza ch’io vi dica di piú, che da’ libri loro apprenderete cose che non vi possono essere insegnate da libri greci o da libri latini, e molto meno da libri francesi. Valete e a rivederci presto.