Poesie (Parini)/III. Il Giorno, secondo l'ultima redazione/III. Il Vespro

III. Il Vespro

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III

IL VESPRO

Ma de gli augelli e de le fere il giorno
e de’ pesci squammosi e de le piante
e dell’umana plebe al suo fin corre.
Giá sotto al guardo de la immensa luce
5sfugge l’un mondo: e a berne i vivi raggi
Cuba s’affretta e il Messico e l’altrice
di molte perle California estrema:
e da’ maggiori colli e dall’eccelse
ròcche il sol manda gli ultimi saluti
10all’Italia fuggente; e par che brami
rivederti, o signor, prima che l’Alpe
o l’Appennino o il mar curvo ti celi
a gli occhi suoi. Altro finor non vide
che di falcato mietitore i fianchi
15su le campagne tue piegati e lassi,
e su le armate mura or braccia or spalle
carche di ferro, e su le aeree capre
de gli edifici tuoi man scabre e arsicce,
e villan polverosi innanzi a i carri
20gravi del tuo ricolto, e su i canali
e su i fertili laghi irsuti petti
di remigante che le alterne merci

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a’ tuoi comodi guida ed al tuo lusso;
tutti ignobili aspetti. Or colui veggia
25che da tutti servito a nullo serve.
     Pronto è il cocchio felice. Odo le rote,
odo i lieti corsier che all’alma sposa
e a te suo fido cavalier nodrisce
il placido marito. Indi la pompa
30affrettasi de’ servi; e quindi attende
con insigni berretti e argentee mazze
candida gioventú che al corso agogna
i moti espor de le vivaci membra:
e nell’audace cor forse presume
35a te rapir de la tua bella i voti.
     Che tardi omai? Non vedi tu com’elia
giá con morbide piume a i crin leggeri
la bionda che svaní polve rendette;
e con morbide piume in su la guancia
40fe’ piú vermiglie rifiorir che mai
le dall’aura predate amiche rose?
Or tu nato di lei ministro e duce
Passisti all’opra; e di novelli odori
la tabacchiera e i bei cristalli aurati
45con la perita mano a lei rintègra:
tu il ventaglio le scegli adatto al giorno;
e tenta poi fra le giocose dita
come agevole scorra. Oh qual con lieti
né ben celati a te guardi e sorrisi
50plaude la dama al tuo sagace tatto!
     Ecco ella sorge, e del partir dá cenno:
ma non senza sospetti e senza baci
a le vergini ancelle il cane affida,
al par de’ giochi, al par de’ cari figli,
55grave sua cura: e il misero dolente
mal tra le braccia contenuto e i petti
balza e guaisce in suon che al rude vulgo
ribrezzo porta di stridente lima;

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e con rara celeste melodia
60scende a gli orecchi de la dama e al core.
     Mentre cosí fra i generosi affetti
e le intese blandizie e i sensi arguti
e del cane e di sé la bella oblia
pochi momenti; tu di lei piú saggio
65usa del tempo: e a chiaro speglio innante
i bei membri ondeggiando alquanto libra
su le gracili gambe; e con la destra
molle verso il tuo sen piegata e mossa
scopri la gemma che i bei lini annoda;
70e in un di quelle ond’hai si grave il dito
l’invidiato folgorar cimenta:
poi le labbra componi; ad arte i guardi
tempra qual piú ti giova; e a te sorridi.
Al fin tu da te sciolto, ella dal cane,
75ambo al fin v’appressate. Ella da i lumi
spande sopra di te quanto a lei lascia
d’eccitata pietá l’amata belva;
e tu sopra di lei da gli occhi versi
quanto in te di piacer destò il tuo volto.
80Tal seguite ad amarvi: e insieme avvinti,
tu a lei sostegno, ella di te conforto,
itene omai de’ cari nodi vostri
grato dispetto a provocar nel mondo.
     Qual primiera sará che da gli amati
85voi sul vespro nascente alti palagi
fuor conduca, o signor, voglia leggiadra?
Fia la santa Amistá, non piú feroce
qual ne’ prischi eccitar tempi godea
l’un per l’altro a morir gli agresti eroi;
90ma placata e innocente al par di questi
onde la nostra etá sorge si chiara
tli Giove alti incrementi. Oh dopo i tardi
de lo specchio consigli e dopo i giochi,
dopo le mense, amabil dea, tu insegni

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95come il giovin marchese al collo balzi
del giovin conte; e come a lui di baci
le gote imprima; e come il braccio annode
l’uno al braccio dell’altro; e come insieme
passeggino elevando il molle mento
100e volgendolo in guisa di colomba;
e palpinsi e sorridansi e rispondansi
con un vezzoso «tu». Tu fra le dame
sul mobil arco de le argute lingue
i giá pronti a scoccar dardi trattieni,
105s’altra giugne improvviso a cui rivolti
pendean di giá: tu fai che a lei presente
non osin dispiacer le fide amiche:
tu le carche faretre a miglior tempo
di serbar le consigli. Or meco scendi;
110e i generosi ufici e i cari sensi
meco detta al mio eroe; tal che, famoso
per entro al suon de le future etadi,
e a Pilade s’eguagli e a quel che trasse
il buon Tesèo da le tenarie foci.
115Se da i regni che l’Alpe o il mar divide
dall’italico lido, in patria or giunse
il caro amico; e da i perigli estremi
sorge d’arcano mal, che in dubbio tenne
lunga stagione i fisici eloquenti,
120magnanimo garzone, andrai tu forse
trepido ancora per l’amato capo
a porger voti sospirando? Forse
con alma dubbia e palpitante i detti
e i guardi e il viso esplorerai de’ molti
125che il giudizio di voi menti si chiare
fra i primi assunse d’Esculapio alunni?
O di leni origlieri all’omer lasso
porrai sostegno; e vital sugo a i labbri
offrirai di tua mano? O pur, con lieve
130bisso il madido fronte a lui tergendo,

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e le aurette agitando, il tardo sonno
inviterai a fomentar con l’ali
la nascente salute? Ahi no; tu lascia
lascia che il vulgo di si tenui cure
135le brevi anime ingombri; e d’un sol atto
rendi l’amico tuo felice a pieno.
     Sai che fra gli ozi del mattino illustri,
del gabinetto al tripode sedendo,
grand’arbitro del bello, oggi creasti
140gli eccellenti nell’arte. Onor cotanto
basti a darti ragion su le lor menti
e su l’opre di loro. Util ciascuno
a qualch’uso ti fia. Da te mandato,
con acuto epigramma il tuo poeta
145la mentita virtú trafigger puote
d’una bella ostinata: e l’elegante
tuo dipintor può con lavoro egregio
tutti dell’amicizia, onde ti vanti,
compendiar gli ufici in breve carta;
150o se tu vuoi che semplice vi splenda
di nuda maestade il tuo gran nome;
o se in antica lapide imitata
inciso il brami; o se in trofeo sublime
accumulate a te mirar vi piace
155le domestiche insegne, indi un bone
rampicar furibondo, e quindi l’ale
spiegar l’augel che i fulmini ministra,
qua timpani e vessilli e lance e spade,
e lá scettri e collane e manti e velli
160cascanti argutamente. Ora ti vaglia
questa carta, o signor, serbata all’uopo;
or fia tempo d’usarne. Esca e con essa
del caro amico tuo voli a le porte
alcun de’ nunci tuoi; quivi deponga
165la tessera beata; e fugga; e torni
ratto sull’orme tue, pietoso eroe,

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che giá pago di te ratto a traverso
e de’ trivi e del popolo dilegui.
Giá il dolce amico tuo nel cor commosso,
170e non senza versar qualche di pianto
tenera stilla, il tuo bel nome or legge,
seco dicendo: — Oh ignoto al duro vulgo
sollievo almo de’ mali! Oh sol concesso
facil commercio a noi alme sublimi
175e d’affetti e di cure! Or venga il giorno
che si grate alternar nobili veci
a me sia dato! — Tale sbadigliando
si lascia da la man lenta cadere
l’amata carta; e te, la carta e il nome
180soavemente in grembo al sonno oblia.
     Tu fra tanto colá rapido il corso
declinando intraprendi ove la dama
co’ labbri desiosi e il premer lungo
del ginocchio sollecito ti spigne
185ad altre opre cortesi. Ella non meno
all’imperio possente, a i cari moti
dell’amistá risponde. A lei non meno
palpita nel bel petto un cor gentile.
     Che fa l’amica sua? Misera! Ieri,
190qual fusse la cagion, fremer fu vista
tutta improvviso, ed agitar repente
le vaghe membra. Indomito rigore
occupolle le cosce; e strana forza
le sospinse le braccia. Illividirò
195i labbri onde l’Amor l’ali rinfresca;
enfiò la neve de la bella gola;
e celato candor da i lini sparsi
effuso rivelossi a gli occhi altrui.
Gli Amori si schermiron con la benda;
200e indietro rifuggironsi le Grazie.
In vano il cavaliere, in van lo sposo
tentò frenarla, in van le damigelle

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che su lo sposo e il cavaliere e lei
scorrean col guardo, e poi ristrette insieme
205malignamente sorrideansi in volto.
Ella truce guatando curvò in arco
duro e feroce le gentili schiene:
scalpitò col bel piede; e ripercosse
la mille volte ribaciata mano
210del tavolier ne le pugnenti sponde.
Livida, pesta, scapigliata e scinta
al fin stancò tutte le forze; e cadde
insopportabil pondo sopra il letto.
     Né fra l’intime stanze o fra le chiuse
215gemine porte il prezioso evento
tacque ignoto molt’ore. Ivi la Fama
con uno il colse de’ cent’occhi suoi;
e il bel pegno rapito usci portando
fra le adulte matrone, a cui segreto
220dispetto fanno i pargoletti Amori,
che da la maestá de gli otto lustri
fuggon volando a piú scherzosi nidi.
Una è fra lor che gli altrui nodi or cela
comoda e strigne; or d’ispida virtude
225arma suoi detti; e furibonda in volto
e infiammata ne gli occhi alto declama,
interpreta, ingrandisce i sagri arcani
de gli amorosi gabinetti; e a un tempo
odiata e desiata eccita il riso
230or co’ propri misteri or con gli altrui.
La vide, la notò, sorrise alquanto
la volatile dea, disse: — Tu sola
sai vincere il clamor de la mia tromba. —
Disse, e in lei si mutò. Frese il ventaglio,
235prese le tabacchiere, il cocchio ascese;
e lá venne trottando ove de’ grandi
è il consesso piú folto. In un momento
lo sbadigliar s’arresta. In un momento

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tutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbri
240si raccolgono in lei: ed ella al fine,
e ansando e percotendosi, con ambe
le mani, le ginocchia, il fatto espone
e del fatto le origini riposte.
Riser le dame allor, pronte domane
245a fortuna simil, se mai le vaghe
lor fantasie commoverá negato
da i mariti compenso a un gioco avverso,
o in faccia a lor per deitá maggiore
negligenza d’amante, o al can diletto
250nata súbita tosse: e rise ancora
la tua dama con elle: e in cor dispose
di teco visitar l’egra compagna.
     Ite al pietoso uficio, itene or dunque:
ma lungo consigliar duri tra voi
255pria che a la meta il vostro cocchio arrive.
Se visitar, non giá veder l’amica
forse a voi piace, tacita a le porte
la volubile rota il corso arresti:
e il giovanetto messagger salendo
260per le scale sublimi a lei v’annunzi
si che voi non volenti ella non voglia.
Ma, se vaghezza poi ambo vi prende
di spiar chi sia seco, e di turbarle
l’anima un poco, e ricercarle in volto
265de’ suoi casi la serie, il cocchio allora
entri: e improvviso ne rimbombi e frema
l’atrio superbo. Egual piacere inonda
sempre il cor de le belle, o che opportune
o giungano importune alle lor pari.
     270Giá le fervide amiche ad incontrarse
volano impazienti: un petto all’altro
giá premonsi abbracciando; alto le gote
d’alterni baci risonar giá fanno;
giá strette per la man, co’ dotti fianchi

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275ad un tempo amendue cadono a piombo
sopra il sofá. Qui l’una un sottil motto
vibra al cor dell’amica: e a i casi allude
che la fama narrò; quella repente
con un altro l’assale. Una nel viso
280di bell’ire s’infiamma: e l’altra i vaghi
labbri un poco si morde: e cresce in tanto
e quinci ognor piú violento e quindi
il trepido agitar de i duo ventagli.
Cosí, se mai al secol di Turpino
285di ferrate guerriere un paro illustre
si scontravan per via, ciascuna ambiva
l’altra provar quel che valesse in arme;
e dopo le accoglienze oneste e belle
abbassavan lor lance, e co’ cavalli
290urtavansi feroci; indi, infocate
di magnanima stizza, i gran tronconi
gittavan via de lo spezzato cerro,
e correan con le destre a gli elsi enormi.
Ma di lontan per l’alta selva fiera
295un messagger con clamoroso suono
venir s’udiva galoppando; e l’una
richiamare a re Carlo, o al campo l’altra
del giovane Agramante. Osa tu pure,
osa, invitto garzone, il ciuffo e i ricci
300si ben finti stamane all’urto esporre
de’ ventagli sdegnati: e a nuove imprese
la tua bella invitando, i casi estremi
de la pericolosa ira sospendi.
     Oh solenne a la patria, oh all’orbe intero
305giorno fausto e beato, al fin sorgesti,
di non piú visto in ciel roseo splendore
a sparger l’orizzonte! Ecco la sposa
di ramni eccelsi l’inclit’alvo al fine
sgravò di maschia desiata prole
310la prima volta. Da le lucid’aure

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fu il nobile vagito accolto a pena,
che cento messi a precipizio uscirò
con le gambe pesanti e lo spron duro
stimolando i cavalli, e il gran convesso
315dell’etere sonoro alto ferendo
di scutiche e di corni: e qual si sparse
per le cittadi popolose, e diede
a i famosi congiunti il lieto annunzio:
e qual per monti a stento rampicando
320trovò le ròcche e le cadenti mura
de’ prischi feudi ove la polve e l’ombra
abita e il gufo; e i rugginosi ferri
sopra le rote mal sedenti al giorno
di novo espose, e fe’ scoppiarne il tuono;
325e i gioghi de’ vassalli e le vallee
ampie e le marche del gran caso empieo.
Né le muse devote, onde gran plauso
venne l’altr’anno a gl’imenei felici,
giá si tacquero al parto. Anzi, qual suole
330lá su la notte dell’ardente agosto
turba di grilli, e piú lontano ancora
innumerabil popolo di rane
sparger d’alto frastuono i prati e i laghi,
mentre cadon su lor fendendo il buio
335lucide strisce, e le paludi accende
fiamma improvvisa che lambisce e vola;
tal sorsero i cantori a schiera a schiera;
e tal piovve su lor foco febeo,
che di motti ventosi alta compagine
340fe’ dividere in righe, o in simil suono
uscir pomposamente. Altri scoperse
in que’ vagiti Alcide, altri d’Italia
il soccorso promise, altri a Bisanzio
minacciò lo sterminio. A tal clamore
343non ardi la mia Musa unir sue voci:
ma del parto divino al molle orecchio

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appressò non veduta; e molto in poco
strinse dicendo: — Tu sarai simile
al tuo gran genitore. — .    .    .    .    .    
.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
     350Giá di cocchi frequente il corso splende:
e di mille che lá volano rote
rimbombano le vie. Fiero per nova
scoperta biga il giovine leggiadro
che cesse al carpentier gli aviti campi,
355lá si scorge tra i primi. All’un de’ lati
sdraiasi tutto: e de le stese gambe
la snellezza dispiega. A lui nel seno
la conoscenza del suo merto abbonda;
e con gentil sorriso arde e balena
360su la vetta del labbro; o da le ciglia,
disdegnando, de’ cocchi signoreggia
la turba inferior: soave in tanto
egli alza il mento, e il gomito protende;
e mollemente la man ripiegando,
365i merletti finissimi su l’alto
petto si ricompon con le due dita.
Quinci vien l’altro che pur oggi al cocchio
da i casali pervenne, e giá s’ascrive
al concilio de’ numi. Egli oggi impara
370a conoscere il vulgo, e giá da quello
mille miglia lontan sente rapirsi
per lo spazio de’ cieli. A lui davanti
ossequiosi cadono i cristalli
de’ generosi cocchi oltrepassando;
375e il lusingano ancor perché sostegno
sia de la pompa loro. Altri ne viene
che di compro pur or titol si vanta;
e pur s’affaccia, e pur gli orecchi porge,
e pur sembragli udir da tutti i labbri
380sonar le glorie sue. Mal abbia il lungo
de le rote stridore, e il calpestio

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de’ ferrati cavalli, e l’aura e il vento
che il bel tenor de le bramate voci
scender non lascia a dilettargli ’l core.
385Di momento in momento il fragor cresce,
e la folla con esso. Ecco le vaghe
a cui gli amanti per lo di solenne
mendicarono i cocchi. Ecco le gravi
matrone che gran tempo arser di zelo
390contro al bel mondo, e dell’ignoto corso
la seelerata polvere dannáro;
ma poi che la vivace amabil prole
crebbe, e invitar sembrò con gli occhi Imene,
cessero alfine; e le tornite braccia,
395e del sorgente petto i rugiadosi
frutti prudentemente al guardo aprirò
de i nipoti di Giano. Affrettan quindi
le belle cittadine, ora è piú lustri
note a la Fama, poi che a i tetti loro
400dedussero gli dèi; e sepper meglio,
e in piú tragico stil da la teletta
a i loro amici declamar l’istoria
de’ rotti amori; ed agitar repente
con celebrata convulsion la mensa,
405il teatro e la danza. Il lor ventaglio
irrequieto sempre or quinci or quindi
con variata eloquenza esce e saluta.
Convolgonsi le belle: or su l’un fianco
or su l’altro si posano, tentennano,
410volteggiano, si rizzan, sul cuscino
ricadono pesanti, e la lor voce
acuta scorre d’uno in altro cocchio.
     Ma ecco alfin che le divine spose
degl’italici eroi vengono anch’esse.
415Io le conosco a i inessaggier volanti
che le annuncian da lungi, ed urtan fieri,
e rompono la folla; io le conosco

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da la turba de’ servi al vomer tolti,
perché oziosi poi di retro pendano
420al carro trionfai con alte braccia.
Male a Giuno ed a Pallade-Minerva
e a Cinzia e a Citerea mischiarvi osate
voi pettorute naiadi e napee,
vane di picciol fonte o d’umil selva,
425che a gli egipani vostri in guardia diede
Giove dall’alto. Vostr’incerti sguardi,
vostra frequente inane maraviglia,
e l’aria alpestre ancor de’ vostri moti
vi tradiscono, ahi lasse! e rendon vana
430la multiplice in fronte ai palafreni
pendente nappa ch’usurpar tentaste,
e la divisa onde copriste il mozzo
e il cucinier che la seguace corte
accrebber stanchi, e i miseri lasciáro
435canuti padri di famiglia soli
ne la muta magion serbati a chiave.
Troppo da voi diverse esse ne vanno
ritte negli alti cocchi alteramente;
e a la turba volgare che si prostra
440non badan punto: a voi talor si volge
lor guardo negligente e par che dica:
— Tu ignota mi sei; — o nel mirarvi
col compagno susurrano ridendo.
     Le giovinette madri de gli eroi
445tutto empierono il corso, e tutte hati seco
un giovinetto eroe o un giovin padre
d’altri futuri eroi che a la teletta,
a la mensa, al teatro, al corso, al gioco,
segnaleransi un giorno; e fien cantati,
450s’io scorgo l’avvenir, da tromba eguale
a quella che a me diede Apollo, e disse:
— Canta gli Achilli tuoi, canta gli Augusti
del secol tuo. — Sol tu manchi, o pupilla

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del piú nobile mondo: ora ne vieni
455e del rallegrator dell’universo
rallegra or tu la moribonda luce.
     Giá tarda a la tua dama; e giá con essa
precipitosamente al corso arrivi.
Il memore cocchier serbi quel loco
460che voi dianzi sceglieste, e voi non osi
tra le ignobili rote al vulgo esporre,
se star fermi vi piace; ed oltre scorra,
se di scorrer v’aggrada; e a i guardi altrui
spiegar gioie novelle, e nuove paci
465che la pubblica fama ignori ancora.
Né conteso a te fia per brevi istanti
uscir del cocchio: e sfolgorando intorno,
qual da repente spalancata nube,
tutti scoprir di tua bellezza i rai,
470nel tergo, ne le gambe e nel sembiante
simile a un dio; poi che a te, non meno
che all’altro semideo, Venere diede
e zazzera leggiadra e porporino
splendor di gioventú, quando stamane
475allo speglio sedesti. Ecco son pronti
al tuo scendere i servi. Un salto ancora
spicca e rassetta gl’increspati panni
e le trine sul petto: un po’ t’inchina:
ai lucidi calzari un guardo volgi:
480ergiti, e marcia dimenando il fianco.
O il corso misurar potrai soletto
se il passeggiar tu brami: o tu potrai
dell’altrui dame avvicinarti al cocchio,
e inerpicarti, et introdurvi il capo
485e le spalle, e le braccia, e mezzo ancora
dentro versate. Ivi salir tant’alto
fa le tue risa, che da Iunge le oda
la tua dama, e si turbi, ed interrompa
il celiar degli eroi che accorser tosto

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490tra il dubbio giorno a custodirla in tanto
che solinga rimase. O sommi numi,
sospendete la notte: e i fatti egregi
del mio giovin signor splender lasciate
al chiaro giorno. Ma la notte segue
495sue leggi inviolabili, e declina
con tacit’ombra sopra l’emispero;
e il rugiadoso piè lenta movendo,
rimescola i color vari infiniti,
e via gli sgombra con l’immenso lembo
500di cosa in cosa: e suora de la morte
un aspetto indistinto, un solo volto
al suolo, ai vegetanti, agli animali,
ai grandi ed a la plebe equa permette;
e i nudi insieme e li dipinti visi
505de le belle confonde e i cenci e l’oro:
né veder mi concede all’aere cieco
qual de’ cocchi si parta o qual rimanga
solo all’ombre segrete: e a me di mano
tolto il pennello, il mio signore avvolge
510per entro al tenebroso umido velo.