Poesie (Parini)/III. Il Giorno, secondo l'ultima redazione/Appendice I. Frammenti de La Notte

Appendice I. Frammenti de La Notte

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Appendice I. Frammenti de La Notte
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APPENDICE I

Frammenti de LA NOTTE

I.

     V’ha chi ben sa quale ogni scudo ammetta
cognate insegne, quali adornin forme
di solenne divisa i cocchi e i servi,
e qual d’ozi lontani aggia decoro
5ogni progenie. Innanzi a lui stan cheti
gli splendidi magnati a cui per sorte
scenda torbido il sangue, o ne la cieca
ombra de’ tempi si nasconda un avo
a i cittadini ed a la patria infesto,
     10Ve’ chi ben sa come si deggia a punto
fausto di nozze o pur d’estremi fati
miserabile annuncio in carta esporre.
Lui scapigliati e torbidi la mente
per la gran doglia a consultar sen vanno
15i novi eredi: né giá mai fur viste
tante vicino a la cumea caverna
foglie volar d’oracoli notate,
quanti avvisi ei raccolse, i quali un giorno
per gran pubblico ben serbati fièno.

II.

 A lei vegnente
sorgon plaudendo i cavalier gentili.
A lei vegnente l’inclite matrone

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con severo contegno in su le gote
5stampan di mano in man due baci appunto,
e con pari contegno in su le gote
poi ricevon da lei due baci a punto.
Tal se volgendo i due begli occhi grandi
ne le sale del ciel Giuno sen viene
10dal talamo immortale, ove rendette
padre d’un altro nume il gran tonante,
i maschi eterni e le divine temine
di letizia e di festa a lei dan segno.
A lei di Cirra il vago dio che torna
15pur or dal giro suo dove correndo
sparse di raggi d’oro ampia ricchezza,
chinasi e versa dal bocchin socchiuso
eleganze straniere: a lei Gradivo,
stretti i gomiti al fianco e il petto alzato
20e la canna pendente infra le dita,
mollemente sorride: anco Cillenio
col piumato cappel sotto all’ascella
e d’alati fermagli il piede ornato,
rompe la folla, e di lontan comincia
25a spander di parole alto profluvio,
applaudendo a la diva. Idalia intanto,
chiara nel ciel per variati amori
e per arguta di parlar licenza,
corre improvviso ad abbracciarla, e s’alza,
30e non so che susurrale all’orecchio.
Quella, semplice ancor, tigne il bel volto
d’un vermiglio importuno, e questa cade
supina in sul sedile, alti mandando
scoppi di risa, e rigonfiando ansante
35ciò che del molle seno anco le resta,
che di veli mal chiuso i guardi cerca
che il cercarono un tempo. A tale aspetto
la casta diva de le selve amica
raggrinza i labbri, e nauseando volge
40al biondo Ganimede i guardi obliqui,
mentre girando per lo ciel dispensa
di nettare gelato almo conforto.

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II.

O mente serbatrice de le cose,
lusinga il mio garzon, mentre l’altera
gente s’afFolla; e di’ per qual cagione
dal canapè si rapida declini.

IV.

 In van pregato
fu il zotico marito, in van di pianto
si rigaron le gote, in vano ad arte
si negò, si concesse, in van fu armata
terribil convulsioni Stette il marito
duro al par di un macigno, e mai non volle
scender dal sangue d’Agilulfo, o in una
sillaba pur dell’avolo il cognome
correggere o piegar con suon piú dolce.

V.

 Il padre eterno
l’occhio girò per l’orizzonte immenso
de’ capricci donneschi; ed a gran pena
veggendone il confin, cesse a’ lor voti.

VI.

     Quindi le antiche madri ed Opi e Vesta
e la gran genitrice de gli dèi,
la turrita Cibele, arman sdegnate
i piú remoti dell’oscuro caos
titoli e fregi. Orribile scompiglio
tutto scuote l’Olimpo; e a novo assalto
sembran venire i figli di Titano.
Sorrise amaramente il sommo Giove
a i tumulti indecenti: e la gran testa
crollando un poco sotto al torvo ciglio,
meditò la vendetta.

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VII.

     Signor, che fai? Cosí dell’opre altrui
inoperoso spettator non vedi
giá la sacra del gioco ara disposta
a te pur anco? E nell’aurato bronzo
5che d’attiche colonne il grande imita
i lumi sfavillanti, a cui nel mezzo
lusingando gli eroi sorge di carte
elegante congerie intatta ancora?
Ecco s’asside la tua dama, e freme
10omai di tua lentezza; eccone un’altra,
ecco l’eterno cavalier con lei,
che ritto in piè del tavolino al labbro
piú non chiede che te; e te co i guardi,
te con le palme desiando affretta.
15Questi, or volgon tre lustri, a te simile
corre di gloria il generoso stadio
de la sua dama al fianco. A lei l’intero
giorno il vide vicino, a lei la notte
innoltrata d’assai. Varia tra loro
20fu la sorte d’amor, mille le guerre,
mille le paci, mille i furibondi,
scapigliati congedi, e mille i dolce
palpitanti ritorni, al caro sposo
noti non sol, ma nel teatro e al corso
25lunga e trita novella. Alfine Amore,
dopo tanti travagli, a lor nel grembo
molle sonno chiedea, quand’ecco il Tempo
tra la coppia felice osa indiscreto
passar volando; e de la dama un poco,
30dove il ciglio ha confin, riga la guancia
con la cima dell’ale, all’altro svelle
parte del ciuffo che nel liquid’aere
si conteser di poi Paure superbe.
Al fischiar del gran volo, a i dolci lai
35de gli amanti sferzati, Amor si scosse,
il nemico senti, l’armi raccolse,
a fuggir cominciò. — Pietá di noi,

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pietá! — gridari gli amanti: — or se tu parti,
come sentir la cara vita, o come
40piú lunghi desiarne i giorni e l’ore? —
Né giá in van si gridò. La gradi mano
verso l’omero armato Amor levando,
rise un riso vezzoso; indi un bel mazzo
de le carte che Felsina colora
45tolse da la faretra, e — Questo, — ei disse, —
a voi resti in mia vece. — Oh meraviglia!
Ecco que’ fogli, con diurna mano
e notturna trattati, anco d’amore
sensi spirano e moti. Ah se un invito,
50ben comprese giocando e ben rispose
il cavalier, qual de la dama il fiede
tenera occhiata che nel cor discende;
e quale a lei voluttuoso in bocca
da una fresca rughetta esce il sogghigno!
55Ma se i vaghi pensieri ella disvia
solo un momento, e il giocatore avverso
util ne tragge, ah! il cavaliere allora
freme geloso, si contorce tuttofa
irrequieto scricchiolar la sedia;
60e male e violento aduna, e male
mesce i discordi de le carte semi,
onde poi l’altra giocatrice a manca
ne invola il meglio: e la stizzosa dama
i due labbri aguzzando il pugne e sferza
65con atroce implacabile ironia,
cara a le belle multilustri. Or ecco
sorger fieri dispetti, acerbe voglie,
lungo aggrottar di ciglia, e per piú giorni
a la veglia, al teatro, al corso, in cocchio,
70trasferito silenzio. Al fin, chiamato
un per gran senno e per veduti casi
Nestore tra gli eroi famoso e chiaro,
rompe il tenor de le ostinate menti
con mirabil di mente arduo consiglio.
75Cosí ad onta del tempo, or lieta or mesta
l’alma coppia d’amarsi anco si finge,
cosí gusta la vita. Egual ventura

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t’è serbata, o signor, se ardirá mai,
ch’io non credo però, l’alato veglio
80Smovere alcun de’ preziosi avori
onor de’ risi tuoi, si che le labbra
si ripieghino a dentro, e il gentil mento
oltre i confili de la bellezza ecceda.

VIII.

     Ma d’ambrosia e di nettare gelato
anco a i vostri palati almo conforto,
terrestri deitadi, ecco sen viene;
e cento Ganimedi, in vaga pompa
5e di vesti e di crin, lucide tazze
ne recan taciturni; e con leggiadro
e rispettoso inchin, tutte spiegando
dell’omero virile e de’ bei fianchi
le rare forme, lusingar son osi
10de le Cinzie terrene i grandi obliqui.
Mira, o signor, che a la tua dama un d’essi
lene s’accosta e con sommessa voce
e mozzicando le parole alquanto,
onde pur sempre al suo signor somigli,
15a lei di gel voluttuoso annuncia
copia diversa. Ivi è raccolta in neve
la fragola gentil che di lontano
pur col soave odor tradí se stessa;
v’è il salubre limon; v’è il molle latte;
20v’è con largo tesor culto fra noi
pomo stranier che coronato usurpa
loco a i pomi natii; v’è le due brune
odorose bevande che pur dianzi,
di scoppiato vulcan simili al corso,
25fumanti, ardenti, torbide, spumose,
inondavan le tazze; ed or congeste
sono in rigidi coni a fieder pronte
di contraria dolcezza i sensi altrui.
Sorgi tu dunque, e a la tua dama intendi
30a porger di tua man, scelto fra molti,
il sapor piú gradito. I suoi desiri

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APPENDICE I

ella scopre a te solo: e mal gradito
o mal lodato almen giugne il diletto,
quando al senso di lei per te non giunge.
35Ma pria togli di tasca intatto ancora
candidissimo lin che sul bel grembo
di lei scenda spiegato, onde di gelo
inavvertita stilla i cari veli
e le frange pompose in van minacci
40di macchia disperata. Umili cose
e di picciol valore al cieco vulgo
queste forse parran, che a te dimostro
con si nobili versi, e spargo ed orno
de’ vaghi fiori de lo stil ch’io colsi
45ne’ recessi di Pindo; e che giá mai
da poetica man tocchi non furo.
Ma di si crasso error, di tanta notte
giá tu non hai l’eccelsa mente ingombra,
signor, che vedi di quest’opre ordirsi
50de’ tuoi pari la vita, e sorger quindi
la gloria e lo splendor di tanti eroi
che poi prosteso il cieco vulgo adora.

IX.

     Poi che tant’opre e gloriose hai solo
fatte in un giorno, almo signore, or vieni
meco e discendi ne la valle inferna.
Né il lusingante con la cetra Orfeo,
5né l’armato di clava Ercole invitto,
ambo di mostri domatori un giorno,
sarien si chiaro a scintillar saliti
lá per la volta dell’etereo polo,
se non tentato giú per l’ombre eterne
10lasciato avesser l’ultimo periglio.
Né di te degno e dell’eterna Clio
saria il tuo vate, se de gli altri al paro
poi non guidasse il suo cantato eroe,
felice temerario, in faccia a Pluto.
15Vergine furibonda e scapigliata
de le cui voci profetanti tutta

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ululava l’euboica riviera
ne’ prischi tempi, e che guidasti a Dite
il timoroso de gli dèi troiano,
20tu predinne le sorti e tu ne assisti
mentre, d’un semideo guidando i passi,
scendo, uom mortale, e penetrar son oso
i ridotti dell’ombre e il regno avaro.
Ma, oh Dio! giá mi trasformo; ecco ecco un velo
25ampio, nero, lugubre a me d’intorno
si diffonde, mi copre. In grembo ad esso
si rannicchiati le braccia, e veggio a pena
zoppicarmi del piè la punta estrema
sotto spoglie novelle. Orrida giubba
30di negro velo anch’essa a me dal capo
scende sul dorso, e si dilata e cela
e mento e gola e petto. Ahimè, il sembiante
sorge privo di labbra, esangue, freddo
e di squallore sepolcral coperto.