Poemi (Esiodo)/Prefazione/Prefazione

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Esiodo - I poemi (Antichità)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
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Dopo l’incomparabile primavera omerica, fiorita sulle coste luminose della Ionia, troviamo in terra propriamente ellenica, e precisamente nelle vallee della Beozia, una seconda fioritura: la poesia esiodea. Assai lontana dalla sublime arte di Omero, essa è tuttavia ricca di molteplici interessi; ma non riesce possibile parteciparli, anzi neppur sentirne l’importanza, e quasi direi, l’esistenza, qualora essa venga considerata a sé, avulsa dalle condizioni storiche che la determinano e la foggiano. Qui, come forse in nessun altro fenomeno della poesia greca è indispensabile il sussidio dell’erudizione.



Se cerchiamo di stringere in brevissime linee sintetiche l’immenso materiale della tradizione antica, e quello, che di giorno in giorno va crescendo, degli scavi e delle ricerche archeologiche, noi possiamo oggi concludere con sicurezza che i fattori etnici del popolo greco si possono comporre in tre gruppi principali.

I. Pelasgi. ― È il nome generico delle genti che troviamo sul suolo greco ai primi albori della storia. Un gran numero di tribú, ciascuna con un nome diverso. E che diversa [p. viii modifica]ne fosse l’origine, è anche presumibile: però, alla lunga, acquistano caratteri comuni, che li unificano e li distinguono da una seconda ondata, che, del resto, non solo non li discaccia. ma non presenta alcuna delle caratteristiche delle invasioni. È l’ondata dei cosí detti

II. Fenici. - Oggi si ammette in genere che questi Fenici, il cui nome ricorre con tanta frequenza nei poemi omerici, non siano da identificar senz’altro coi Fenici semiti della tradizione. Questo nome serviva a designare, un po’ genericamente, le genti non perfettamente identificate, che approdavano alle coste greche, per commerci, piraterie, penetrazioni piú o meno pacifiche. Fra esse, in primissimo luogo, gli Egèi, E cosí si spiega come questo popolo, che in effetto, come oramai dimostrano ad usura le scoperte archeologiche, esercitò cosí grande influsso su tutta la Grecia, non sia in apparenza mai ricordato dagli autori greci1.

E questa dei Fenici non fu, ripetiamo, una invasione, bensí una lenta penetrazione, che, ad ogni modo, per lungo tempo improntò della sua civiltà raffinata l’antico strato pelasgico.

Assai piú ebbero carattere d’invasori gli

III. Achei. - Con questo nome si identifica una serie di invasioni, che, a loro volta, si distinguono in due gruppi, uno maggiore, degli Achei propriamente detti, l’altro, che in certo modo chiude la serie, dei Dori. Anche gli Achei portano elementi di civiltà (per esempio, il ferro). Però, nel complesso, non vediamo che improntino troppo di sé le genti autoctone. Essi, invece, si lasciano dominare dalla civiltà fenicio-egea; e n’esce quella sottospecie della civiltà egea che prende nome di micenaica.

[p. ix modifica]Questa è la cornice generale nella quale s’inquadrano le storie delle singole regioni di Grecia; le quali poi, per le differenze di reazione, determinate da fattori differenti (varietà del fondo originario, luoghi, eventi) assumono ciascuna una fisionomia diversa.



Vediamo la Beozia, che qui c’interessa ora piú da vicino.

I Pelasgi che l’abitavano anticamente, e la cui presenza è oggi mirabilmente confermata dalle scoperte archeologiche, sono designati dagli autori antichi con varii nomi: Aòni, Tèmmici, Ianti, (Paus., IX, 51), Lèlegi (id., 401), Ectèni (Strabone, VII, 321, IX, 401). E questi ultimi sarebbero stati i piú antichi di tutti, secondo un luogo di Pausania (IX, 5), il quale traccia della primitiva Tebe una storia che si accorda assai bene coi risultati dell’archeologia.

Queste genti — egli narra — erano per la massima parte pastori e contadini, e vivevano disseminate in tanti piccoli centri, lontanissime dalla raffinatezza egèa, ma non prive d’una certa civiltà, né d’un senso d’arte, che si rivela nei vasi Minii, la cui industria aveva il suo centro maggiore in Orcomeno.

Fra loro sopraggiunge Cadmo con le sue schiere di Fenici. Gli Ianti, sopraffatti, come scende la notte, si dànno alla fuga. Gli Aòni, invece, si rivolgono supplici a Cadmo, che permette a loro di rimanere, e di mescolarsi coi Fenici. Gli Aòni seguitarono ad abitare al piano, nelle loro borgate; e Cadmo fondò sopra un colle una città che fu detta Cadmèa. Ma poi, col tempo, crescendo la gente, la città primitiva divenne roccaforte, e tutto intorno le crebbe, e si stese ai suoi piedi, la nuova e piú grande Tebe.

Questo processo è il solito di tutte queste invasioni; né uno storico moderno avrebbe potuto descriverlo con maggior precisione.

[p. x modifica]E appunto gli scavi archeologici hanno messo in luce in Beozia, sopra lo strato pelasgico, uno strato non già fenicio, nel senso comune, ma sicuramente egeo2. Donde la conclusione, quasi certa, che egeo dové appunto essere Cadmo3.

Poi, d’un tratto, la reggia di Cadmo crolla dalle fondamenta, la sua progenie è sterminata, egli deve andare in esilio. E la leggenda, che attribuisce a Diòniso offeso tutto questo scempio, ci appare viva dei piú abbaglianti colori. Ma è abbastanza facile ridurla al nucleo storico: una nuova invasione che scaccia gli antichi signori. E mentre, per esempio, nelle Baccanti d’Euripide l’esilio di Cadmo è avvolto fra dense brume di leggenda, Pausania dice, con precisione geografica, che, discacciato dalla Beozia, emigrò in Illiria.

E chi furono i nuovi invasori nascosti sotto il nome di Diòniso? — Qui le fonti ci abbandonano, o, meglio, ci riferiscono un intrigo dinastico, che non ha molta importanza, perché, evidentemente, è un accomodamento posteriore, escogitato per trovare una discendenza legittima ad una nuova dinastia, quella dei famosi Labdàcidi; i quali, poi, sembrerebbero davvero Achèi: cosí perfettamente la storia di Edipo e quella dei suoi figli s’inquadra in quella degli Achei, che è tutta un tessuto di violenze, d’inganni, d’orribili delitti4.

Sotto questa dinastia, Tebe sale ad alta potenza; e due coalizioni si formano per abbatterla. La prima (I sette a Tebe) fallisce al suo scopo; la seconda, invece (Epigoni), riesce; e Tebe è, per la seconda volta, distrutta dalle fondamenta.

Poco dopo scoppia la guerra di Troia. Nel breve spazio che separa questa guerra dalla seconda distruzione, non [p. xi modifica]immagineremo che la città potesse risorgere e rifiorire; e dopo la guerra di Troia comincia la generale decadenza achea, alla quale Tebe non poté certo sottrarsi. In realtà, dopo il sacco degli epigoni, la città di Cadmo cessò di contare nel mondo acheo.



Ma, appena varcato il famoso Medio Evo ellenico (seguitiamo a chiamarlo cosí, tanto per intenderci), troviamo proprio qui, su questa terra già affaticata da tante gloriose ed orride vicende, i primi germi della nuova poesia d’Ellade. Troviamo i poemetti che vanno sotto il nome di Esiodo, e che sono, precisamente, i seguenti:

La Teogonia. - Un tentativo di ridurre a sistema organico l’infinita moltitudine di creature divine o comunque demoniache, che costituivano il patrimonio mitico-religioso degli Elleni.

Le Opere e i Giorni. - Una raccolta di precetti etici e pratici, intercalati di una favola e di brani mitici abbastanza lunghi. In essa fanno corpo tre brani di evidente serrata omogeneità, uno, il piú lungo, sul lavoro dei campi, uno su la navigazione, un terzo sui giorni fausti ed infausti.

Lo Scudo d’Ercole. - Un brano di vera e propria epica, nella quale una lunga descrizione dello scudo dell’eroe è inquadrata nel racconto della lotta fra lui e Cigno spalleggiato da Marte.

Oltre a queste opere, che sono giunte sino a noi, se non integre, almeno, presumibilmente, quali le conobbe il mondo classico, altre ne furono dagli antichi attribuite ad Esiodo. E cioè:

Le Eoe, o Catalogo delle Donne. - Era un elenco delle donne mortali, che, unite d’amore con qualche Nume, [p. xii modifica]avevano generato gli eroi. Era, dice bene il Christ, «il gran magazzino da cui la lirica corale e i logografi solevano attingere le antiche leggende». Accanto alle Eoe, si ricordavano

Le grandi Eoe. - E pare fossero un poema ben distinto dal primo; ma non ne sappiamo altro.

Le grandi Opere. - Pare vi si ragionasse delle attività umane reputate piú alte e nobili, e che il titolo fosse stato scelto in contrapposizione a quello de Le opere e i giorni, dove si parlava essenzialmente della coltivazione dei campi.

Le nozze di Ceice. - Poemetto epico, in cui si descrivevano le nozze di Ceice con Alcione, avvenute sotto gli auspici di Ercole.

Egimio. - Cantava la lotta di Egimio, appartenente all’antichissima stirpe dei Dorii, coi Lapiti. Epico, e, sembra, assai ricco di episodii.

Melampodia. - Si aggirava intorno alla figura dell’indovino Melampo di Dilo, famoso perché avrebbe superato nell’arte di sciogliere indovinelli il celeberrimo Calcante, e lo avrebbe fatto morire di passione.

Sentenze di Chirone. - Sappiamo solo che era un poemetto didascalico.

Già nell’antichità erano sospetti come apocrifi altri poemetti, e cioè:

La Astronomia.

I Dattili Idei.


Ora, facendo astrazione dai particolari, questi poemetti, riguardo alla materia, si possono dividere in tre gruppi principali: poesia epica (storia dei Numi e degli eroi); poesia religiosa: poesia gnomica.

Ma per intendere bene il carattere e il valore di questa poesia, bisogna assolutamente bandire dalle nostre menti il concetto moderno, che, su per giú, considera la letteratura in [p. xiii modifica]genere e la poesia in ispecie come un oggetto di lusso. Ai tempi d’Esiodo, come a quelli d’Omero, la scrittura certo esisteva; ma era conosciuta solo da pochi iniziati, i poeti, i sacerdoti. E a soddisfare il bisogno ideale, eppure assai profondo, nel cuore umano, di conoscere il passato, e l’altro, pratico, di avere sempre vivo e presente il tesoro di cognizioni e di precetti tecnici od etici accumulato nell’esperienza dei secoli, serviva la parola, e la parola congegnata in versi, perché meglio s’imprimesse nella memoria. Le distinzioni che verranno in seguito, fra poesia e prosa, con tutte le sottospecie, ancora non esistono; e il poema epico è anche storia, e il poema didascalico è trattato scientifico, e il poema teogonico è insieme fisica e metafisica, e l’ammonimento in esametri o in distici è trattato di filosofia morale.

E allora s’intende bene che il corpus che va sotto il nome di Esiodo, non va considerato come una raccolta di poemetti nel senso moderno: essa è una vera e propria enciclopedia. Un riflesso, dunque, che nella sua integrità dové essere completo della vita materiale e intellettuale della Beozia, sette secoli prima di Cristo.

Procediamo ora allo studio dei singoli poemetti.


Note

  1. Vedi la mia prefazione all’Iliade. Su questo argomento oramai c’è tutta una letteratura. Ma chi non si lascia trascinare dai preconcetti, difficilmente può respingere queste conclusioni generali.
  2. Lo provano specialmente gli scavi del Keramopullos nella cittadella preellenica.
  3. L’ipotesi fu principalmente avanzata da Arturo Evans nel suo lavoro Scripta Minoa, 1909.
  4. Vedi, in questa collezione, la prefazione all’Iliade, pag. XXII.